Rifiuti. Interventi di recupero ambientale. P.A. e obbligo di ricerca del responsabile dell’inquinamento. Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento.

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica) n. 202 del 13 aprile 2016 (ud. 24 marzo 2016)
Pres. Gabbricci, Est. Chiettini
Rifiuti. Interventi di recupero ambientale

Gli artt. 239 e seguenti (sulla “bonifica dei siti contaminati”) del d.lgs. n. 152 del 2006 addossano l’obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, comprese le prime misure di messa in sicurezza e la presentazione del piano di caratterizzazione, al responsabile dell’inquinamento, che le autorità amministrative hanno l’onere di ricercare. Tuttavia, nell’ipotesi di mancata esecuzione dei prescritti interventi da parte del responsabile dell’inquinamento, l’art. 250 stabilisce che le procedure e gli interventi di recupero ambientale devono essere eseguiti dalla Pubblica amministrazione competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto degli interventi. Uniche condizioni di legittimità per l’esercizio del potere sostitutivo è il decorso del termine e la non controversa inerzia del soggetto chiamato ex lege ad eseguire le procedure codificate dagli artt. 242 e seguenti.

N. 00202/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00151/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 151 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Ripristini Valsugana S.r.l., in persona del liquidatore pro tempore, e Simone Gosetti, rappresentati e difesi dagli avv.ti Nicola Degaudenz e Antonio Piraino e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Degaudenz in Trento, via della Prepositura, n. 32

contro

– Comune di Roncegno Terme, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Sergio D’Amato e con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, via Suffragio, n. 122;
– Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Nicolò Pedrazzoli, Fernando Spinelli e Giuliana Fozzer ed elettivamente domiciliata presso l’Avvocatura della Provincia in Trento, Piazza Dante, n. 15

per l’annullamento

* – quanto al ricorso introduttivo:

– dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Roncegno Terme n. 1/2015, prot. n. 1527, adottata il 19 febbraio 2015, avente a oggetto “ex cava Monte Zaccon. Esecuzione interventi di bonifica e di messa in sicurezza ai sensi dell’art. 242 e altri del d.lgs. 152/2006”;

– della deliberazione della Giunta provinciale di Trento n. 2285, di data 24 ottobre 2013, di approvazione, ai sensi dell’art. 77 bis del D.P.G.P. 26 gennaio 1987, n. 1-41/Leg., del piano di caratterizzazione e dell’analisi di rischio dell’area della ex cava di Monte Zaccon nel Comune di Roncegno Terme;

* – quanto al ricorso per motivi aggiunti:

– della deliberazione della Giunta provinciale di Trento n. 1598, di data 21 settembre 2015, di approvazione del progetto operativo di bonifica con messa in sicurezza dell’area ex cava di Monte Zaccon nel Comune di Roncegno Terme;

– del progetto operativo di bonifica con messa in sicurezza dell’area ex cava di Monte Zaccon nel Comune di Roncegno, prot. n. 3617 di data 15 aprile 2015;

– di ogni atto presupposto o consequenziale o comunque connesso a quelli impugnati.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roncegno Terme;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Trento;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 marzo 2016 il cons. Alma Chiettini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con l’atto introduttivo del presente giudizio la società Ripristini Valsugana e l’ing. Gosetti hanno impugnato:

a) – l’ordinanza del Sindaco del Comune di Roncegno Terme n. 1/2015, di data 19.2.2015, avente ad oggetto l’ordine di provvedere alla bonifica e alla messa in sicurezza del sito ex cava Monte Zaccon, emessa ai sensi degli artt. 244, comma 2, e 242, comma 7, del d.lgs. 3.4.2006, n. 152;

b) – la deliberazione della Giunta provinciale di Trento n. 2285, del 24 ottobre 2013, che ha approvato il piano di caratterizzazione e l’analisi di rischio sito specifica per la suddetta area.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di diritto:

I – con riferimento alla deliberazione provinciale n. 2285/2013: violazione dell’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006; esercizio di potere sostitutivo in violazione di legge;

i ricorrenti affermano che il piano di caratterizzazione sarebbe stato adottato senza coinvolgerli e sostengono che l’Amministrazione comunale avrebbe potuto redigerlo direttamente, surrogandosi ai responsabili, solo dopo aver “preso atto della loro inerzia”;

II – con riferimento all’ordinanza sindacale n. 1/2015: violazione dell’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006; esercizio di potere sostitutivo in violazione di legge;

i deducenti affermano che l’Amministrazione avrebbe potuto agire in surroga solo a seguito dell’accertamento dell’inosservanza di una diffida; sostengono, poi, che la Provincia avrebbe esercitato illegittimamente il potere sostitutivo, in assenza delle condizioni per procedere e sostituendosi al Comune;

III – violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi; violazione degli artt. 23 e 97 della Costituzione e dell’art. 21 septies della l. 7.8.1990, n. 241;

l’ordinanza si tradurrebbe in un provvedimento innominato e atipico, nonché adottato in carenza dei presupposti della contingibilità e dell’urgenza;

IV – incompetenza del Comune, violazione degli artt. 244, comma 2, e 177, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006;

V – omessa comunicazione di avvio del procedimento; violazione degli artt. 21, 25 e 27 della l.p. 30.11.1992, n. 23, e degli artt. 7 e 10 della l. 7.8.1990, n. 241;

VI – eccesso/sviamento di potere, violazione dell’art. 244, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006.

2. Con la memoria versata in atti in data 19 ottobre 2015 parte ricorrente ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 102 quater, comma 6, del D.P.G.P. 26.1.1987, n. 1-41/Leg, in relazione all’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione e agli artt. 4, primo comma, e 8 del D.P.R. 31.9.1972, n. 670, sostenendo che il Comune non potrebbe avere alcuna competenza in materia ambientale.

3. Con ricorso per motivi aggiunti i ricorrenti hanno impugnato la sopravvenuta deliberazione della Giunta provinciale n. 1598, di data 21 settembre 2015, con cui è stato approvato il progetto operativo di bonifica con messa in sicurezza dell’area ex cava Monte Zaccon, deducendo i seguenti, ulteriori, motivi di diritto:

I – violazione degli artt. 244 e 250 del d.lgs. n. 152 del 2006; eccesso di potere per esercizio di potere sostitutivo in violazione di legge;

solo a seguito della presa d’atto dell’inerzia dei ricorrenti sarebbe stato possibile procedere (con le operazioni di caratterizzazione del sito e con la predisposizione del progetto di bonifica) surrogandosi ad essi, i quali sostengono di non essere mai stati intimati ad effettuare alcunché;

II – violazione dell’art. 242, commi 7 e 8, del d.lgs. n. 152 del 2006; poiché il progetto di bonifica conterrebbe una serie di contraddizioni e non avrebbe individuato le migliori tecniche di intervento a costi sostenibili.

4. Le Amministrazioni intimate, comunale provinciale, si sono costituite in giudizio eccependo in rito e chiedendo, comunque, la reiezione del ricorso nel merito perché infondato.

5. In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno presentato ulteriori documenti nonché memorie illustrative delle rispettive posizioni.

6. Alla pubblica udienza del 24 marzo 2016 il ricorso è stato chiamato e, su richiesta dei procuratori delle parti costituite, è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1.1. In punto di fatto, è doveroso principiare ricordando che le complesse vicende giudiziarie e amministrative che hanno interessato il sito di recupero ambientale denominato ex cava di Monte Zaccon nel Comune di Roncegno Terme (un’area agricolo-boschiva di proprietà e gestita dalla società Ripristini Valsugana iscritta, al tempo, nel registro delle imprese autorizzate a operazioni di recupero di rifiuti in regime semplificato per il recupero dei rifiuti non pericolosi), hanno avuto inizio otto anni fa, a seguito di indagini della Polizia giudiziaria e con il sequestro preventivo ordinato dal G.I.P. del Tribunale di Trento in data 28.11.2008, in accoglimento della richiesta della Procura della Repubblica dello stesso Tribunale che contestava alla nominata Società l’illecito utilizzo di una grande quantità di rifiuti non ammissibili in quel sito. Agli scopi dell’indagine la Procura aveva disposto l’acquisizione di una consulenza tecnica d’ufficio per accertare la tipologia dei rifiuti presenti e se gli stessi erano ammissibili al recupero ambientale e se erano da qualificare pericolosi, nonché la quantità di rifiuti non conformi ai parametri di legge.

Il documento finale di quella consulenza, depositato in data 24.8.2009, ha dato atto dello stato dei luoghi e delle attività tecniche effettuate, ha descritto i campioni prelevati e le modalità di composizione degli stessi nonché le attività svolte presso i laboratori di analisi e gli esiti delle stesse, il tutto in contraddittorio con la presenza dei periti di tutte le parti interessate. Le conclusioni di quella fondamentale prima parte dell’indagine possono essere così riassunte:

– sono state specificate le tipologie dei rifiuti scaricate nell’ex cava negli anni dal 2001 al 2008, precisando che “dal 2007 e per tutto il 2008 … alle scorie metallurgiche si aggiungono altre tipologie di rifiuto alcune delle quali non erano ammissibili nell’attività di recupero ambientale, fra cui terre provenienti dalla bonifica di siti contaminati da prodotti petroliferi quali carburanti e combustibili, fanghi contenenti stirene, fibre e fanghi provenienti dall’industria cartaria che non potevano essere utilizzati nelle condizioni di progetto”;

– è stato accertato che sia i rifiuti prelevati sulla superficie laterale dell’area che quelli stoccati a quota zero, nonché le matrici campione da + 10 m. sino alla profondità di 15 m., presentavano valori (es: cromo, vanadio, zinco, bario, floruri, rame) superiori a quelli prescritti dal D.M. 5.2.1998 e quindi inidonei per essere utilizzati in attività di recupero ambientale; in definitiva, su 34 campioni prelevati, solo 2 hanno dimostrato l’idoneità ad essere utilizzati nella detta attività;

– è stato così affermato che “il 98% dei campioni prelevati, rappresentativi dell’intero spessore del ripristino, hanno restituito valori analitici di inammissibilità in recuperi ambientali”; inoltre, “dei rifiuti accettati presso il sito di Monte Zaccon alcuni non erano ammissibili per provenienza in quanto non previsti dal D.M. 5.2.1998 … tra questi i fanghi provenienti dalla depurazione dei reflui di attività industriali dedite alla produzione delle cosiddette marmo resine contaminate da stirene; rifiuti di natura inorganica contenenti elevati quantitativi di sali di calcio e magnesio e contaminati da stirene; matrici terrose provenienti dall’attività di bonifiche di siti contaminati”, mentre altri rifiuti, seppur richiamati dal citato D.M., “non presentavano nella sostanza le caratteristiche chimiche per essere introdotti in recuperi ambientali, quali le scorie provenienti da vari insediamenti dediti alla metallurgia termica dei materiali ferrosi”; in conclusione, “nel 2007 sono stati scaricati 90.071.750 kg. di rifiuti non idonei rispetto al totale scaricato di 108.487.530 kg. (pari all’83%); nel 2008 sono stati scaricati 249.882.350 kg. di rifiuti non idonei rispetto al totale scaricato di 311.365.313 kg. (pari all’80%)”;

– infine, è stato rilevato che i rifiuti ritrovati contenenti sostanze pericolose di natura organica si sarebbero dovuti smaltire in discariche dotate di barriere impermeabilizzanti di adeguato spessore, di un sistema di raccolta dei percolati e di verifica dell’eventuale trasferimento dei carichi inquinanti nelle matrici ambientali, nelle acque superficiali e profonde; che erano stati scaricati e messi a contatto rifiuti inorganici (quali le scorie di acciaierie e altro) con rifiuti organici fermentabili (quali i fanghi di cartiera, stabili solo in ambiente aerobico): il che, in ambiente anaerobico, porta alla formazione di metano, per cui necessitava “nell’immediato”: la “messa in sicurezza del sito attraverso idonea copertura che limiti l’infiltrazione delle acque nella massa dei rifiuti” e la realizzazione di “opere di captazione e di aspirazione del biogas che si sta formando nella massa dei rifiuti al fine di contenere quanto più possibile la migrazione dello stesso all’interno delle fratturazioni della roccia ed evitare accumuli dello stesso evitando possibili esplosioni”.

1.2. Nel mese di settembre 2009 il Comune di Roncegno Terme ha formalmente acquisito agli atti detta perizia e, in ragione dell’autorevolezza della fonte di provenienza (Autorità giudiziaria che aveva già ottenuto il provvedimento di sequestro dell’area), dell’inequivocabilità delle risultanze in essa contenute e delle chiare e tassative prescrizioni che erano state impartite per l’immediato, il successivo 5 novembre 2009 ha adottato un’ordinanza contingibile e urgente con cui ha ordinato alla Società Ripristini Valsugana “di attivare le misure di messa in sicurezza del sito nei termini di legge e di comunicare al Comune preventivamente gli interventi da mettere in atto e le modalità operative adottate”.

La società Ripristini Valsugana impugnò la citata ordinanza in questa sede, ma il ricorso fu respinto con sentenza n. 9, pubblicata il 26 gennaio 2011, passata in giudicato.

1.3. Quanto al ricorrente ing. Simone Gosetti, già consigliere delegato e amministratore unico della nominata Società, sono stati a lui contestati una serie di reati connessi alla gestione dei rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi, nonché l’illecito utilizzo di una grande quantità di rifiuti non ammissibili nelle operazioni di recupero ambientale, di cui agli artt. 260, 256, comma 3 e 5, e 258, comma 4, del codice in materia ambientale. In seguito, la sussistenza di tali reati è stata accertata in primo e in secondo grado (sentenza del G.U.P. del Tribunale di Trento n. 122/11, depositata il 28.2.2011, e sentenza della Corte di Appello di Trento n. 69/13, depositata il 28.6.2013) e confermata dalla Corte di Cassazione penale (sentenza n. 40811/14, depositata il 2.10.2014).

La perizia posta a fondamento delle citate pronunce ha affermato che “soltanto il 6,6% delle 419.074 tonnellate di rifiuti conferiti nel 2009 e nel 2008 era ammissibile nell’impianto della Ripristini Valsugana” ma che, indipendentemente dalle esatte quantità di rifiuti, sia non ammissibili sia pericolosi ma egualmente conferiti nella ex cava, “emerge il dato storico del positivo accertamento della natura irregolare dei rifiuti abbancati … poiché non provenivano da attività di scavo ma da attività di bonifica di siti contaminati”, il che imponeva “la loro caratterizzazione come rifiuti pericolosi” (cfr. pagg. 39, 40 e 41 sentenza n. 122/2011).

In concreto, con le citate pronunce del Giudice penale, l’amministratore della Società è stato ritenuto colpevole di aver trasformato un sito di recupero ambientale in una discarica abusiva, conferendo in essa ingenti quantitativi di rifiuti non pericolosi e pericolosi, comunque non ammissibili per la presenza di sostanze contaminanti in concentrazioni superiori ai limiti di legge ovvero non ammissibili in considerazione della loro natura. Di conseguenza, egli è stato condannato anche “al ripristino dello stato dell’ambiente nel sito della Monte Zaccon” (cfr. doc. nn. 5, 6, 7 e 19 in atti della Provincia).

1.4. È anche pacifico in atti, e fra le parti, che la ricorrente Società Ripristini Valsugana non ha mai adempiuto alle prescrizioni impartite dall’Amministrazione, nell’immediato, con la sopra citata ordinanza contingibile e urgente, e che nemmeno il ricorrente ing. Gosetti ha adempiuto all’ordine impartito dal Giudice penale con la condanna menzionata.

2.1. Ora, occorre prendere in esame le vicende fattuali che hanno condotto all’adozione dei provvedimenti qui impugnati, che devono essere ricostruite in rigorosa successione cronologica.

Si deve subito rilevare che gli adempimenti urgenti e improrogabili per la messa in sicurezza del sito inquinato, fra cui la copertura di esso per limitare l’infiltrazione di acque piovane, puntualmente ordinati alle parti qui ricorrenti con il provvedimento contingibile e urgente del 5 novembre 2009, sono stati in seguito eseguiti non dai responsabili dell’inquinamento (che, pertanto, disattesero quegli ordini) ma dall’Amministrazione pubblica.

2.2. Nel periodo successivo, ossia dagli ultimi mesi dell’anno 2009 e fino al 31 ottobre 2012 (quindi, per tre anni), il Comune non poté che accertare l’inerzia dei ricorrenti, i quali mai avviarono il successivo adempimento obbligatorio che compete ex lege al responsabile dell’inquinamento: ossia la presentazione “nei successivi trenta giorni” (dall’adozione delle misure di messa in sicurezza di emergenza), del “piano di caratterizzazione”, come dispone il comma 3 dell’art. 242 del d.lgs. n. 152 del 2006.

Per il vero, dopo la notifica dell’ordinanza contingibile e urgente la Società ricorrente, dichiarandosi “proprietario non responsabile dell’inquinamento dell’ex cava Monte Zaccon ed estranea ai fatti di cui al procedimento penale pendente presso la Procura della Repubblica di Trento”, preannunciò al Comune il ricorso giurisdizionale avverso quell’ordinanza e si dichiarò disponibile a “collaborare attivamente” a seguito “delle indagini che il gruppo di lavoro nominato dalla Provincia ha in corso” (cfr. doc. n. 14 in atti del Comune).

Nondimeno, come già detto, gli interessati si limitarono a impugnare in questa sede quell’ordine contingibile e urgente ma, nonostante il predetto termine di trenta giorni sia ordinatorio, mai avviarono le procedure operative e amministrative prescritte dagli artt. 242 e seguenti del codice dell’ambiente. Per correlato profilo, si deve anche osservare che il fatto che i ricorrenti non abbiamo mai avuto la concreta intenzione di occuparsi delle operazioni di caratterizzazione (prima) e di predisposizione di un progetto di bonifica del sito (poi) trova conferma nelle affermazioni contenute nell’atto introduttivo del presente giudizio, laddove si sottolineano, con preoccupazione, i “costi cospicui” della bonifica e si sostiene che, in relazione ad essi, “Ripristini Valsugana S.r.l. versa in condizioni economiche critiche” e che l’ing. Gosetti “è stato colpito giudiziariamente in via esecutiva su tutti i beni di sua proprietà” (cfr. pag. 24, affermazioni ribadite a pag. 13 dell’atto con motivi aggiunti).

Pertanto, stante la perdurante inesecuzione degli obblighi competevano al responsabile dell’inquinamento, il Comune di Roncegno Terme attivò il disposto dell’art. 250 che dispone: “qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo … le procedure e gli interventi di cui all’articolo 242 sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente”.

Giova qui specificare che scopo del piano di caratterizzazione è raccogliere in un unico documento tutte le informazioni inerenti il sito: dalla sua descrizione dal punto di vista geologico ed idrogeologico alla ricostruzione storica delle attività produttive ivi svolte, dalla individuazione delle indagini già effettuate alla definizione del piano di investigazione, fino all’elaborazione di un modello concettuale definitivo del sito, con le caratteristiche specifiche in termini di stato delle fonti della contaminazione, grado ed estensione della stessa nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque superficiali e sotterranee e nell’ambiente, e con i percorsi di migrazione dalle sorgenti di contaminazione.

Chiamato dunque ex lege – stante l’inerzia, protrattasi per anni, del privato – a porre in essere direttamente tale compito, alquanto complesso per un Comune di modeste dimensioni, Roncegno Terme chiese la collaborazione dell’Amministrazione provinciale (con nota del 31 ottobre 2012) con la quale ha quindi stipulato, in data 7 giugno 2013, un accordo di programma al fine di “provvedere direttamente alla redazione del piano di caratterizzazione e dell’analisi del rischio” avvalendosi, però, dei risultati delle indagini già svolte nell’area di causa da un gruppo di lavoro interdisciplinare che la Provincia costituì ancora nell’autunno dell’anno 2009 con il compito di effettuare approfondimenti di indagini nell’areale dell’ex cava di causa.

In attuazione dell’accordo di programma il Comune trasmise alla Provincia il piano di caratterizzazione e l’analisi di rischio sito-specifica che, ai sensi del comma 3 dell’art. 242, sono stati approvati con deliberazione della Giunta provinciale n. 2285, del 24 ottobre 2013 (I° provvedimento impugnato).

2.3. Dopo la pubblicazione della citata sentenza delle Corte di Cassazione con cui sono state definitivamente accertate le responsabilità dell’inquinamento, il Comune ha emesso l’ordinanza-diffida prevista dall’art. 244, comma 2, del codice dell’ambiente al fine di “diffidare” la società Ripristini Valsugana “a provvedere ai sensi del presente titolo” e segnatamente, ai sensi del comma 7 dell’art. 242 che recita: “il soggetto responsabile sottopone alla Provincia, nei successivi sei mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente …” (II° provvedimento impugnato).

2.4. Nei mesi successivi, constatata l’ininterrotta inattività della Società interessata, il Comune ha nuovamente agito in sostituzione, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 244 (“se il responsabile non provvede … gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall’Amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall’articolo 250”), e ha quindi redatto il progetto di bonifica con messa in sicurezza permanente del sito, progetto che è stato poi approvato dalla Provincia di Trento in data 21 settembre 2015, ai sensi degli artt. 77 bis, comma 2, e 102 quater del testo unico delle leggi provinciali in materia di inquinamenti (III° provvedimento impugnato).

3.1. Pertanto, a fronte della patente e incontestata inattività dei soggetti responsabili di un grave inquinamento ambientale, definitivamente accertati tali anche in sede penale, il Comune competente ha posto in essere gli adempimenti di legge in via sostitutiva, ai sensi del comma 4 dell’art. 244 e dell’art. 250 dello stesso testo unico.

In altri termini, appurata l’indiscussa inattività per comportamento concludente del soggetto responsabile dell’inquinamento (che aveva persino omesso di eseguire le operazioni urgenti per la messa in sicurezza dell’area), l’Amministrazione locale ha attivato il potere sostitutivo affidatole dalla disciplina legislativa all’esame, le cui uniche condizioni di legittimità sono il decorso del termine previsto per provvedere e l’inoppugnabile inerzia del soggetto (chiamato in primis, ex lege, ad eseguire le procedure codificate dagli artt. 242 e seguenti), e ciò al fine di salvaguardare il primario interesse ambientale che sarebbe compromesso dall’inadempimento dei responsabili della contaminazione. Tale potere viene espletato nell’interesse generale della comunità e non dei sostituiti, sebbene gli effetti incidano sulla loro sfera giuridica, cosicché essi si avvalgono dei risultati derivanti da un’attività altrui. Difatti, l’intervento sostitutivo del Comune è volto non a sanzionare il privato inadempiente (che, conseguentemente, non perde la possibilità di attivarsi operativamente fin tanto che non sia intervenuta l’Amministrazione) ma a garantire che l’interesse pubblico a contenere e a eliminare la contaminazione venga comunque tutelato, non importando se dal responsabile in via primaria o da chi è titolare di competenza sostitutiva. In tal senso si osserva che non è emerso, neppure in corso di giudizio, che gli interessati ricorrenti e responsabili avessero, nel frattempo, compiuto o iniziato attività per evitare di essere così sostituiti.

3.2. Nondimeno, i soggetti responsabili dell’inquinamento hanno via via impugnato in questa sede amministrativa l’ordinanza-diffida e gli atti sostitutivi posti in essere dall’Amministrazione, sollevando plurime censure, la maggior parte delle quali riguardanti, sostanzialmente, la asserita non conoscenza dell’obbligo di eseguire quegli adempimenti e la dedotta mancata partecipazione alla redazione dei documenti impugnati. Solo con il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti sono state introdotte censura di merito che investono il progetto definitivo di bonifica.

4. Tutte le censure sollevate sono infondate e devono essere respinte. Di conseguenza, per esigenze di economia processuale si prescinde dall’esame delle eccezioni in rito opposte dalle difese delle Amministrazioni resistenti.

4.I. Con riferimento alla deliberazione provinciale n. 2285 del 2013, di approvazione del piano di caratterizzazione, con il primo motivo si deduce che la stessa sarebbe stata adottata senza coinvolgere la Società ricorrente e che l’Amministrazione pubblica avrebbe potuto redigere direttamente quel piano solo dopo aver “preso atto formalmente dell’inerzia dei ricorrenti”.

L’argomentazione è infondata.

La predisposizione del piano di caratterizzazione del sito contaminato costituisce un adempimento obbligatorio ex lege a seguito del solo accertamento dell’avvenuto superamento del livello della concentrazione soglia di contaminazione, anche per un solo parametro; in tal senso il comma 3 dell’art. 242 recita: “il responsabile dell’inquinamento ne dà immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate. Nei successivi trenta giorni, presenta alle predette amministrazioni, nonché alla regione territorialmente competente il piano di caratterizzazione”.

Più in generale, gli artt. 239 e seguenti (sulla “bonifica dei siti contaminati”) del d.lgs. n. 152 del 2006 addossano l’obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, comprese le prime misure di messa in sicurezza e la presentazione del piano di caratterizzazione, al responsabile dell’inquinamento, che le autorità amministrative hanno l’onere di ricercare. Tuttavia, nell’ipotesi di mancata esecuzione dei prescritti interventi da parte del responsabile dell’inquinamento, l’art. 250 stabilisce che le procedure e gli interventi di recupero ambientale devono essere eseguiti dalla Pubblica amministrazione competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto degli interventi (cfr. C.d.S., sez. VI, 9.1.2013, n. 56; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 3.7.2012, n. 6033). E, come si è già detto, uniche condizioni di legittimità per l’esercizio del potere sostitutivo è il decorso del termine e la non controversa inerzia del soggetto chiamato ex lege ad eseguire le procedure codificate dagli artt. 242 e seguenti. Entrambe le condizioni erano sussistenti, incontrovertibilmente, nella vicenda di causa quando, al posto dei ricorrenti, si è mossa l’Amministrazione.

4.II. Con riferimento all’ordinanza sindacale n. 1 del 2015, di diffida a provvedere alla redazione del progetto operativo degli interventi di bonifica, con il secondo motivo si deduce che la stessa sarebbe fondata su di un piano di caratterizzazione alla redazione del quale non hanno partecipato i ricorrenti (quel piano non sarebbe quindi “loro opponibile”) e che la Provincia avrebbe esercitato illegittimamente un’attività sostitutiva. Con il quinto motivo, che può essere esaminato congiuntamente al secondo, si denuncia l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo e, più in generale, la mancata attivazione di un contraddittorio procedimentale.

Tali argomentazioni non possono essere condivise.

Al sussistere della sola condizione che i “soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo”, l’attivazione del potere sostitutivo è prevista, ex lege, dall’art. 250, il quale recita “le procedure e gli interventi di cui all’articolo 242 sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l’ordine di priorità fissato dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate”. E che in dette operazioni poste in essere dal soggetto pubblico sostituto, intervenuto a seguito dell’inazione dei responsabili, debba essere coinvolto, in contraddittorio, il soggetto inadempiente costituisce una tesi che nella vicenda di causa si deve respingere, e ciò non tanto perché tale obbligo non è testualmente previsto dalla legge (come affermano le parti resistenti), ma piuttosto perché l’attivazione del potere sostitutivo, a seguito della conclamata inadempienza del privato, è logicamente inconciliabile con successive (e dunque tardive) pretese di partecipazione da parte dello stesso privato.

Errato è poi sostenere che il piano di caratterizzazione, adottato nell’esercizio di potere sostitutivo, sia stato in realtà predisposto da un soggetto non titolare di potestà sostitutiva, ossia dalla Provincia.

È vero che il Comune di Roncegno Terme, che ha adottato quel piano e che lo ha trasmesso alla Provincia per la sua approvazione, si è avvalso delle risultanze di attività istruttorie già svolte dall’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente. A tale riguardo occorre però rammentare che la Provincia di Trento esercita le competenze in materia ambientale avvalendosi della nominata Agenzia (A.P.P.A.), dotata di autonomia organizzativa, amministrativa, tecnica e contabile, con funzioni di prevenzione, di controllo e di vigilanza, e con compiti di consulenza tecnico – scientifica e di controllo tecnico da prestare anche a favore degli enti locali.

Così, al momento dell’adozione del piano di caratterizzazione, il Comune di Roncegno Terme si è avvalso delle conoscenze e delle competenze altamente specialistiche di analisi e di indagine dell’Agenzia, e così dell’istruttoria tecnica già svolta da questa e dall’apposito gruppo di lavoro multidisciplinare costituito proprio al fine di effettuare un approfondimento di indagine sullo stato ambientale dell’areale in cui insiste l’ex cava Monte Zaccon (cfr., in termini, T.R.G.A. Trento, 28.4.2014, n. 164): ma ciò non significa in alcun modo che il progetto di piano sia imputabile ad un soggetto diverso dallo stesso Comune, il quale soltanto si è assunto la responsabilità tecnico-amministrativa dei contenuti del piano stesso.

4.III. Con riferimento all’ordinanza sindacale n. 1 del 2015, di diffida a provvedere alla predisposizione del progetto operativo degli interventi di bonifica, ai sensi dell’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, con il terzo motivo dell’atto introduttivo si denuncia la “totale assenza di motivi contingibili e urgenti” e la violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi.

L’argomentazione muove da un erroneo presupposto, non trattandosi di un’ordinanza contingibile e urgente bensì, sia nominalmente sia sostanzialmente, del tipico ordine-diffida emesso ai sensi del comma 2 dell’art. 244.

4.IV.1. Sempre con riferimento all’ordinanza sindacale n. 1 del 2015, con il quarto motivo dell’atto introduttivo si deduce l’incompetenza del Comune.

L’argomentazione è infondata, perché il comma 6 dell’art. 102 quater del testo unico delle leggi provinciali sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti affida proprio al comune territorialmente competente il compito di emanare tale tipologia di ordinanze.

4.IV.2. A tale riguardo, con la memoria depositata in data 19.10.2015 parte ricorrente mostra di dubitare della legittimità costituzionale di tale previsione normativa, sul rilievo che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione di legge della Regione Emilia Romagna che affidava competenze ambientali ai comuni, rilevando che “la disciplina ambientale, che scaturisce dall’esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, costituisce un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato” (cfr. sentenza n. 214 del 2008).

L’argomentare è manifestamente infondato.

La Corte costituzionale ha sanzionato una disposizione di legge regionale che prevedeva che procedimenti di bonifica di siti contaminati già avviati alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3.4.2006, n. 152, potessero essere conclusi sulla base della legislazione vigente alla data del loro avvio, in tal modo “escludendo la facoltà che gli interventi di bonifica già autorizzati in forza del regime previgente possano essere rimodulati alla luce della nuova disciplina e rivelando un disfavore per l’applicazione di quest’ultima”, stante il manifesto “favor del legislatore statale per l’applicazione della disciplina sopravvenuta in riferimento non solo ai procedimenti in corso, ma anche ai procedimenti già conclusi, riconoscendo in relazione a questi ultimi la facoltà di proporre istanza di rimodulazione degli interventi già autorizzati, ma non realizzati”.

Per contro, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, la normativa trentina ha stabilito che le disposizioni del testo unico provinciale in materia di bonifica di siti inquinati continuano ad applicarsi ma alla luce della sopravvenuta normativa statale (“in coerenza con il titolo V della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006”), fermo restando solo il riparto di competenza tra la Provincia e i comuni risultante dall’articolo 77 bis e il potere affidato ai “comuni di adottare i provvedimenti previsti dall’articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006” (cfr. art. 102 quater del d.P.G.P. 26.1.1987, n. 1-41/Legisl.).

Ne consegue che la portata sostanziale delle modifiche introdotte nel 2005 in tema di bonifica dei siti inquinati dal Legislatore statale, nonché le agevolazioni per transitare dal vecchio al nuovo regime, sono state recepite dal Legislatore provinciale, che ha solo mantenuto il regime del riparto delle competenze, poiché nel sistema dello Statuto speciale d’autonomia il ruolo e le attività dei comuni sono significativamente collegati e condizionati dalle competenze attribuite alla Provincia autonoma, perché è quest’ultima il centro da cui si snodano gli interventi strategici che interessano i poteri locali.

Ciò trova conferma:

– nella disciplina stabilita dalla norma di attuazione che ha esteso ai comuni della Regione le funzioni amministrative conferite in via generale dallo Stato al livello locale, limitandone però di fatto la concreta operatività ai soli casi in cui tali funzioni non risultino già conferite (per statuto o per norma di attuazione) alle Province (D.P.R. 19.11.1987, n. 526, concernente l’estensione alla Regione Trentino – Alto Adige ed alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24.7.1977, n. 616);

– nella possibilità per la Provincia di “delegare” funzioni agli enti locali, (art. 18, secondo comma, Statuto), e nella facoltà riconosciuta sempre alla Provincia di “attribuire” direttamente ai comuni funzioni proprie (cfr. art. 15 del D.P.R. n. 526 del 1987, come da ultimo modificato dal d.lgs. 28.7.1997, n. 275).

4.V. Con il sesto motivo dell’atto introduttivo, e con riferimento specifico all’ordinanza gravata, si denuncia eccesso/sviamento di potere affermando che nessun superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) sarebbe stato rinvenuto, per cui non vi sarebbe stata alcuna necessità di predisporre il contestato piano di caratterizzazione.

Tale argomentazione è infondata.

Già la prima perizia svolta nell’ambito del procedimento penale aveva evidenziato le complesse criticità presenti del sito causate, principalmente, dalla composizione chimica dei materiali ivi depositati. Successivamente, le primissime indagini preliminari ambientali sono state svolte (non dai responsabili dell’inquinamento, come stabilito dal comma 2 dell’art. 242 del codice dell’ambiente, ma) dalla Provincia (sempre in via sostitutiva e, per quella fase, senza lamentele da parte dei ricorrenti) e, per essa, dal gruppo di lavoro multidisciplinare costituito – dopo la consultazione dell’esito della perizia del consulente incaricato dalla Procura della Repubblica – per valutare gli aspetti più rilevanti connessi alla tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Ebbene, quelle indagini preliminari, effettuate a seguito dell’accesso alle aree a quel tempo sequestrate, avevano immediatamente evidenziato un’anomala concentrazione (con superamento del limite di cui alla tabella 2 del d.lgs. n. 152 del 2006) di ferro, di manganese, di arsenico e di alluminio. Da ciò, stante l’avvenuto superamento delle CSC, e per più di un parametro, l’obbligo di presentare il piano di caratterizzazione del sito, ai sensi del comma 3 dell’art. 242, e con i requisiti stabiliti dallo stesso d.lgs. n. 152 del 2006.

Non è irrilevante qui osservare che i ricorrenti erano a conoscenza dell’esito di dette indagini preliminari e anche della documentazione istruttoria di provenienza provinciale (documentazione che, come è già stato ricordato, è stata poi utilizzata dal Comune per predisporre il qui contestato piano di caratterizzazione), come è comprovato dalle numerose richieste di accesso, regolarmente evase dall’Amministrazione, presentate nel corso degli anni 2009 e 2010 dai loro procuratori (cfr. doc. da n. 8 a n. 15 in atti della Provincia).

5.I. Il primo motivo del ricorso per motivi aggiunti reitera, in sintesi, le denuncie articolate con i motivi del ricorso introduttivo avverso:

– l’operato della Provincia, che ha costituito il citato gruppo di lavoro il mese antecedente la data della prima ordinanza comunale per la messa in sicurezza del sito, e che ha approvato il piano di caratterizzazione in assenza di coinvolgimento procedimentale e senza prendere formalmente atto dell’inerzia dei ricorrenti;

– l’operato del Comune, che ha “centrifugato” la relazione finale del gruppo di lavoro nella proposta di piano di caratterizzazione, tramite “un accordo di programma illogico” e la “totale assenza di partecipazione dei ricorrenti”.

A tali argomentazioni è sufficiente replicare rinviando alle osservazioni sin qui svolte.

5.II. Il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti si appunta, invece, avverso il progetto operativo di bonifica, approvato dalla Giunta provinciale il 21 settembre 2015.

Si afferma che il progetto di bonifica non definirebbe alcun obiettivo o limite di concentrazione da raggiungere essendo il rispetto di tale limite già assicurato allo stato attuale; che vi sarebbe contraddizione sull’asserita presenza di gas metano, definita “eventuale” ma per la quale si prevede di realizzare una copertura totale della cava con una rete di captazione del gas; che il gas metano non sarebbe prodotto dai fanghi di cartiera poiché essi hanno una composizione analoga alla carta con i relativi processi di marcescenza; che non sarebbe stato considerato che il parametro arsenico sarebbe endemico nella zona della Valsugana e, quindi, non correlabile alla presenza di contaminazione.

Anche queste argomentazioni non possono essere condivise.

Vi è anzitutto da premettere che il progetto di bonifica ha preso in considerazione le valutazioni espresse dall’analisi di rischio allegata al piano di caratterizzazione da cui era emerso, in estrema sintesi, che:

– l’acqua presente sul fondo del catino di roccia sui cui insiste l’ex cava Monte Zaccon presenta picchi di arsenico, alluminio e ferro oltre i limiti di legge stabiliti per le acque sotterraneee;

– la falda delle acque sotterranee non presenta, allo stato, superamenti delle CSC;

– tuttavia, l’elemento critico è costituito dal contatto fra le acque meteoriche e i materiali depositati nel catino; difatti, le precipitazioni meteoriche, fonte principale dell’alimentazione idraulica del catino, si infiltrano nei materiali illegittimamente e illecitamente depositati, si arricchiscono degli elementi presenti in quei materiali abbancati (con permeabilità elevata che facilita il processo di lisciviazione) e raggiungono il fondo roccioso dell’ex cava; da qui, le acque di percolazione si infiltrano nelle fratture della roccia e scorrono verso il fondovalle, dove si immettono nella falda (cfr. analisi di rischio sito specifica, pagg. 14, 15 e 16);

– di conseguenza, il progetto definitivo di messa in sicurezza propone la realizzazione di una copertura superficiale completa (“capping”) di tutta l’area dell’ex cava, a fini impermeabilizzanti, e non solo per il sistema di captazione del biogas (cfr. relazione tecnico-descrittiva, pagg. 21 e 22).

Quanto a quest’ultima problematica, ossia la produzione di biogas a causa della presenza di fanghi di cartiera, la documentazione tecnica agli atti è univoca nell’evidenziare che, a differenza della tesi sostenuta dai ricorrenti, i fanghi di cartiera presentano un comportamento in condizioni anaerobiche (altamente degradabile) diverso da quello indotto da condizioni aerobiche (stabile). Pertanto, il piano di caratterizzazione ha valutato la produzione di biogas da tali fanghi ed escluso, allo stato, sulla base delle concentrazioni rilevate e della loro localizzazione, che si possa raggiungere il limite di esplosività (pag. 17). Tuttavia, il progetto di bonifica non ha potuto trascurare la presenza di biogas, soprattutto perché si propone di impermeabilizzare l’area con una copertura che, da un lato, impedisce l’infiltrazione delle acque piovane, ma, da altro lato, ostruisce la volatizzazione del biogas. Pertanto, senza alcun salto logico (come sostengono i ricorrenti) e al solo fine di impedire accumuli di biogas e sovrappressioni sulla barriera impermeabile, il progetto prevede la realizzazione di un sistema di captazione costituito da alcuni pozzi.

Da ultimo, con riferimento al parametro arsenico riscontrato in misura superiore alla CSC per le acque sotterranee, l’ipotesi di parte ricorrente che tale semimetallo sarebbe presente quale fondo naturale nel suolo di ampie zone della Valsugana è smentita de plano dalla documentazione tecnica prodotta dalla Provincia, dalla quale si evince che solo le aree a nord ubicate in sinistra orografica del fiume Brenta (ove vi sono giacimenti minerari) sono interessate dalla presenza di tale elemento, mentre le aree a sud in destra orografica del fiume – ove insiste l’ex cava Monte Zaccon – non conoscono detto elemento a causa del differente contesto idrogeologico (cfr. deliberazione della Giunta provinciale 3.7.1999, n. 1666, e Carta litologica e dei lineamenti strutturali del Trentino).

In conclusione, il progetto all’esame prevede la messa in sicurezza del sito mediante la sua copertura superficiale (con strati di materiali specifici e impermeabilizzanti per circa 150-200 cm.) e il successivo rinverdimento dell’area che sarà poi colonizzata da specie naturali ma non da piante con radici a fittone che potrebbero danneggiare il “capping”. La destinazione finale dell’area permane a “sito bonificato di tipo industriale”. In tal modo è rispettato il disposto del comma 8 dell’art 242 del d.lgs. n. 152 del 2006 che prevede “criteri per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza operativa o permanente … a costi sostenibili”, ai sensi dell’Allegato 3 alla parte quarta del decreto, denominato “criteri generali per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza (d’urgenza, operativa o permanente), nonché per l’individuazione delle migliori tecniche d’intervento a costi sopportabili”.

6.1. In conclusione, sulla base delle argomentazioni sopra esposte, il ricorso deve essere respinto.

6.2. Le spese seguono la soccombenza e devono essere accollate alle parti ricorrenti nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino – Alto Adige / Südtirol, sede di Trento,

definitivamente pronunciando sul ricorso n. 151 del 2015

lo respinge.

Condanna, in solido, Ripristini Valsugana S.r.l. e Simone Gosetti al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano nella misura di euro 3.000,00 (tremila), oltre a oneri di legge, a favore di ciascuna delle Amministrazioni pubbliche qui resistenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 24 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:

 Angelo Gabbricci, Presidente FF

Mauro Pedron, Consigliere

Alma Chiettini, Consigliere, Estensore

Depositata in segreteria il 13 aprile 2016