Rifiuti. Conferimento e trattamento di rifiuti dall’impianto trattamento meccanico biologico – TMB – dei rifiuti alla discarica. Ruolo dell’ente pubblico territoriale e sua esclusione quale “intermediario”.

TAR Marche, Ancona, Sez. I, sentenza n. 672 del 29 novembre 2016 (ud. 7 ottobre 2016 e 18 novembre 2016)

Pres.Filippi – Est. Capitanio

Rifiuti. Conferimento e trattamento di rifiuti dall’impianto trattamento meccanico biologico – TMB – dei rifiuti alla discarica. Art. 183, lett. l), d. lgs. n. 152/2006. Ruolo di intermediario ed ente pubblico territoriale. Esclusione.

L’ente pubblico titolare del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti non può assumere in radice la qualifica di intermediario di rifiuti, dato che è tenuto ad affidare a soggetti privati la gestione del servizio. E’ evidente che l’ente concedente, nel momento in cui affida la gestione ad un operatore privato, non acquisisce la materiale disponibilità dei rifiuti, ma non per questo assume la qualifica di intermediario di rifiuti. Fra l’altro il legislatore prevede l’iscrizione all’Albo solo per le aziende speciali, i consorzi di Comuni e le società di gestione dei servizi pubblici e stabilisce che l’iscrizione è valida solo per i servizi di gestione (diretta) dei rifiuti urbani prodotti nell’ambito territoriale di riferimento. L’individuazione della qualifica di intermediario di rifiuti è in realtà finalizzata ad evitare che l’operatore realmente responsabile della gestione possa sottrarsi ai conseguenti oneri (la cui inosservanza ha rilevanza anche penale), mediante l’affidamento delle fasi operative ad altri operatori e la conservazione dei soli compiti di gestione amministrativo-finanziaria.

TAR MARCHE, Ancona, Sez. I, sentena n. 672 del 29 novembre 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 757 del 2015, proposto da:
Società Ascoli Servizi Comunali S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Daniele Carissimi C.F. CRSDNL73B22G478G, con domicilio eletto presso Avv. Antonio Di Stasi, in Ancona, via degli Orefici, 5;

contro

Assemblea Territoriale d’Ambito dell’ATO n. 5 Ascoli Piceno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Ortenzi C.F. RTNMSM57D13E783Y, con domicilio eletto presso Avv. Maurizio Discepolo in Ancona, via Matteotti, 99;
Comune di Ascoli Piceno, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Geta S.r.l., Picenambiente S.p.A., non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

– della delibera n.21 del 29 settembre 2015 dell’Assemblea Territoriale d’Ambito ATA Rifiuti – ATO 5 avente ad oggetto: “Approvazione num. 4 Schemi di convenzione per la disciplina del conferimento e trattamento dei rifiuti – CER 200301 e CER 200303 – all’impianto TMB di Relluce e successivo smaltimento nella discarica Geta in Loc. Alto Bretta di Ascoli Piceno”;

– di ogni atto presupposto, connesso e conseguente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Assemblea Territoriale d’Ambito dell’ATO n.5 Ascoli Piceno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2016 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il ricorso che perviene alla odierna decisione afferisce all’impugnazione della deliberazione n. 21 del 29/9/2015 dell’Assemblea Territoriale d’Ambito n. 5 (d’ora in poi anche ATA n. 5), con la quale sono stati approvati gli schemi di convenzione per la disciplina del conferimento e trattamento di rifiuti aventi codice CER 200301 e 200303 dall’impianto trattamento meccanico biologico – TMB – dei rifiuti sito in località Relluce alla discarica sita in località Alto Bretta (entrambi gli impianti ricadono nel territorio di Ascoli Piceno).

Tale atto si ricollega ad una serie di decreti emessi dal Presidente della Provincia di Ascoli Piceno ai sensi dell’art. 191 D.Lgs. n. 152/2006 e dichiaratamente finalizzati a fronteggiare una fase emergenziale nel ciclo di gestione dei rifiuti solidi urbani prodotti nel territorio provinciale.

Con le predette ordinanze, il Presidente della Provincia ha disposto l’abbancamento temporaneo dei r.s.u. nella citata discarica (gestita dalla ditta GETA) di Alto Bretta, discarica che in via ordinaria è autorizzata a ricevere solo rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi. I rifiuti in questione subiscono un trattamento preliminare presso l’impianto TMB di Relluce (gestito invece dalla ricorrente Ascoli Servizi Comunali – d’ora in poi anche A.S.C.).

2. La ricorrente è una società mista locale, partecipata per il 60% dal Comune di Ascoli Piceno e per il restante 40% dal socio privato Ecoinnova, affidataria dal 2003 della gestione del Polo di Relluce (composto da una discarica per r.s.u. – che ha esaurito la propria capacità ricettiva alla fine del mese di gennaio 2015 – e dal citato impianto TMB).

A.S.C. ritiene di essere stata lesa dal provvedimento impugnato e dal complessivo operato della Provincia di Ascoli Piceno e dell’ATA n. 5, e ciò per il fatto che le amministrazioni intimate starebbero perseguendo sotto traccia l’obiettivo di estromettere A.S.C. dalla gestione del ciclo dei rifiuti, quale risulterà dall’emanando nuovo Piano d’Ambito.

Tale obiettivo verrebbe perseguito attraverso:

– da un lato, l’adozione e la successiva reiterazione da parte del Presidente della Provincia, che è anche presidente dell’ATA, delle ordinanze ex art. 191 T.U. n. 152/2006 (atti che sono stati impugnati da A.S.C. e dal Comune di Ascoli Piceno con i ricorsi nn. di R.G. 226/2015, 256/2015, 688/2015, 699/2015, 260/2016 e 267/2016, anch’essi decisi alla odierna udienza pubblica);

– per altro verso, dapprima l’omessa e poi la negativa conclusione della procedura di V.I.A. sul progetto di ampliamento della discarica di Relluce presentato da A.S.C. (procedura per la quale è competente la stessa Provincia);

– infine, la sollecitazione rivolta dall’ATA n. 5 alla Regione Marche di disporre il trasferimento dell’impianto di Relluce alla stessa ATA (la Regione risulta infatti proprietaria superficiaria dell’impianto). A tale sollecitazione la Regione ha dato positivo riscontro con la deliberazione di G.R. n. 513/2015, oggetto di separata impugnativa con i ricorsi nn. 696 e 697/2015 R.G. (anch’essi passati in decisione all’odierna udienza pubblica).

Il combinato disposto di tali atti, a detta della ricorrente, fa in modo che A.S.C. sarebbe di fatto estromessa dalla gestione del ciclo provinciale dei rifiuti (essendo obbligata a trasferire l’impianto all’ATA e non disponendo di ulteriore capacità di abbancamento dei rifiuti), il che poi legittimerebbe l’ATA a non prevederne più il coinvolgimento nell’adottando nuovo Piano d’Ambito.

Di qui la legittimazione e l’interesse alla proposizione del presente ricorso, con cui A.S.C. lamenta in sostanza la non remuneratività della nuova tariffa predisposta dall’ATA per la gestione del servizio in questa fase emergenziale (€ 95/ton). Per questo A.S.C. si è rifiutata di sottoscrivere la convenzione approvata dall’ATA, ritenendo viziati i provvedimenti presupposti.

In particolare, la ricorrente evidenzia che l’importo della tariffa va a remunerare per la gran parte GETA, mentre ad essa ricorrente competono solo i corrispettivi per le operazioni di accettazione/pesatura dei rifiuti (€ 2,60/ton oltre a IVA) e di trattamento meccanico (€ 26,89/ton oltre a IVA, che però A.S.C. deve poi girare alla ditta Ecoimpianti, affidataria e gestore dell’impianto TMB).

3. Questi i motivi di ricorso (a premessa dei quali A.S.C. ripercorre il lungo iter procedimentale che ha caratterizzato la presente fase emergenziale e ribadisce anche in questa sede le censure dedotte nei coevi ricorsi):

– incompetenza dell’ATA a gestire la fase emergenziale, in relazione a quanto dispone l’art. 191 del T.U.A.;

– illegittimità dell’affidamento del servizio ad A.S.C. “a sanatoria” dal 1° febbraio 2015;

– violazione degli artt. 183 e 212 T.U.A. (in quanto l’ATA assume di fatto la qualifica di intermediario di rifiuti, pur non essendo un’impresa e pur non essendo iscritta all’Albo Nazionale dei Gestori di Rifiuti per tale attività);

– travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti (con riguardo alla questione della proprietà dell’impianto di Relluce – proprietà che secondo la ricorrente non può essere riconosciuta alla Regione – ed al fatto che il procedimento autorizzatorio per la realizzazione della vasca n. 6 a Relluce si sia concluso negativamente – così non sarebbe, perché il giudizio negativo di V.I.A. espresso dalla Provincia non chiude il procedimento autorizzatorio);

– violazione artt. 41 e 23 Cost. (quanto alla non remuneratività della tariffa approvata dall’ATA);

– violazione dell’art. 32 della L. n. 69/2009 (poiché l’impugnata deliberazione non è stata pubblicata all’Albo Pretorio on line dell’ATA o comunque sul sito dell’Autorità d’Ambito).

4. Si è costituita l’ATA n. 5, chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 7 ottobre 2016 la causa è passata in decisione.

5. Il ricorso va respinto, per le ragioni di seguito esposte.

Va in premessa rilevato che la società ricorrente fonda la presente azione sul presupposto (implicito) della fondatezza delle ragioni esposte nei citati coevi ricorsi nn. 256/2015, 699/2015 e 260/2016 R.G., visto che:

– in condizioni normali, la maggior parte delle censure dedotte nel presente giudizio non avrebbe alcuna possibilità di accoglimento, visto che le tariffe dei servizi pubblici sono per natura fissate unilateralmente dagli enti pubblici titolari dei servizi stessi (e questo distingue la tariffa dal prezzo di mercato). E’ ovvio che la determinazione della tariffa presuppone un’attività istruttoria, nonché il rispetto dei parametri eventualmente fissati dalla legge o dall’autorità di regolazione di settore, ma a questo riguardo eventuali censure debbono porre in discussione la compiutezza dell’istruttoria e, in ogni caso, dare conto della non remuneratività della tariffa;

– nella specie, A.S.C. non ha formulato censure in tal senso, limitandosi a contestare l’importo della tariffa. Ma è ovvio che, non svolgendo più la massima parte del servizio (ossia l’abbancamento in discarica dei rifiuti), la ricorrente non ha diritto a vedersi corrispondere dai Comuni che fanno parte dell’Ambito la tariffa intera, ma questo non è di per sé illegittimo.

E’ evidente quindi che il presente ricorso in tanto può trovare accoglimento in quanto venga ritenuta illegittima in radice tutta la gestione della fase emergenziale, a cominciare dai provvedimenti adottati dal Presidente della Provincia ai sensi dell’art. 191 T.U.A. (in forza dei quali l’abbancamento dei rifiuti avviene ormai dal mese di febbraio 2015 presso la discarica di proprietà di GETA).

Peraltro, con sentenza resa in pari data, tutti i ricorsi proposti da Ascoli Servizi Comunali e dal Comune di Ascoli Piceno sono stati respinti, il che fa venire meno la cornice di riferimento delle censure dedotte nel presente giudizio.

6. Ad ogni buon conto, tutti i motivi di ricorso sono infondati nel merito.

Iniziando dall’ultimo, lo stesso è chiaramente improntato ad un esasperato formalismo, visto che la mancata pubblicazione di un provvedimento amministrativo può al massimo incidere sulla eseguibilità dell’atto (stante il disposto dell’art. 21-bis della L. n. 241/1990) e/o sulla decorrenza del termine di impugnazione, ma non anche sulla legittimità in sé della decisione amministrativa.

Il fatto che la ricorrente abbia impugnato la deliberazione n. 21/2015 entro il sessantesimo giorno dalla sua adozione dimostra che A.S.C. ben conosceva l’esistenza e il contenuto dell’atto, e questo se non altro per il fatto che, come afferma la stessa ricorrente, la delibera costituisce l’ennesimo tassello di una vicenda unitaria.

7. Quanto alla dedotta incompetenza dell’ATA, si osserva che:

– è certamente vero che l’art. 7 della L.R. n. 24/2009 e s.m.i. si riferisce alla gestione ordinaria del servizio de quo, ma è altrettanto vero che una tariffa deve essere determinata anche per le gestioni emergenziali;

– in questo senso, e considerato anche che le autorità monocratiche munite del potere di ordinanza extra ordinem non dispongono di strutture burocratiche proprie (vedasi in tal senso la sentenza di questo TAR n. 467/2015), non si vede perché la determinazione della tariffa e degli altri aspetti amministrativi della vicenda non potesse essere rimessa all’autorità competente in via ordinaria. Nei vari decreti presidenziali adottati ai sensi dell’art. 191 D.Lgs. n. 152/2006 la regolazione degli aspetti finanziari è espressamente rimessa alla convenzione da stipularsi fra ATA, Comuni e società incaricate della gestione delle varie fasi del servizio, per cui sotto questo profilo l’ATA non ha fatto altro che eseguire le citate ordinanze. Si deve anzi ritenere, proprio alla luce delle prospettazioni di parte ricorrente, che la determinazione della tariffa da parte di un’assemblea collegiale sia preferibile alla decisione “solitaria” di un’autorità monocratica.

8. Quanto al contenuto del provvedimento impugnato ed agli atti presupposti, si possono fare le seguenti considerazioni:

– la deliberazione n. 21/2015 riguarda solo la gestione amministrativa della fase emergenziale, non avendo l’ATA modificato in alcun modo le prescrizioni imposte con le ordinanze del Presidente della Provincia oggetto di separata contestazione;

– la necessità di assumere la decisione qui avversata è sorta proprio in conseguenza del comportamento ostruzionistico di A.S.C., concretizzatosi nel rifiuto di sottoscrivere la convenzione predisposta dall’ATA agli inizi del 2015. Ciò ha determinato l’impossibilità per i Comuni dell’ATO di liquidare le fatture presentate dalla società ricorrente, visto che gli enti pubblici sono legittimati ad eseguire pagamenti solo se le prestazioni rese dal privato trovano giustificazione in contratti stipulati in forma scritta (in questo senso, la nota del presidente dell’ATA prot. n. 21215 del 30/4/2015 – doc. allegato 34 al ricorso – non recava l’ordine di non pagare le fatture, ma solo un invito ai Comuni a verificare se esistevano i presupposti per rifiutare il pagamento, alla luce delle norme di contabilità degli enti locali, ed in particolare dell’art. 113, comma 11, T.U.E.L.);

– la ricorrente, che pure evidenzia di avere ottemperato prontamente alle varie ordinanze presidenziali e che ha comunque in parte qua impugnato i provvedimenti medesimi, ben avrebbe potuto firmare la convenzione con riserva di contestare il quantum (il che le avrebbe consentito comunque di incassare immediatamente una parte delle somme di sua spettanza);

– di per sé, la decisione dell’ATA di incassare direttamente dai Comuni l’importo della tariffa e di ripartirlo poi fra le ditte incaricate delle varie fasi della gestione emergenziale (A.S.C., Picenambiente e Secit) non incide in alcun modo sui diritti delle ditte stesse, le quali hanno solo interesse a che le somme spettanti vengano liquidate tempestivamente. Al riguardo, e seppure ciò non costituisce oggetto del petitum, va puntualizzato che, avendo l’ATA disposto una modifica retroattiva delle modalità di regolazione contabile della fase gestionale, A.S.C. ha diritto a vedersi corrispondere gli importi relativi alle operazioni di “fatturazione-gestione amministrativa” effettivamente svolte in esecuzione delle ordinanze emergenziali nn. 16, 30 e 57 del 2015. Ma ciò presuppone che la ricorrente sottoscriva la convenzione, perché in caso contrario per conseguire il pagamento delle somme in questione dovrebbe proporre l’azione di cui all’art. 2041 c.c.;

– A.S.C. non è credibile nel momento in cui sostiene che gli obblighi di sua spettanza derivanti dalle ordinanze presidenziali ex art. 191 (ed in particolare dalla n. 155/2015) siano stati chiariti solo ex post (vedasi il carteggio di cui ai documenti allegati nn. 43, 44 e 45 al ricorso). Tale asserzione collide con quanto affermato a pagina 10 del ricorso, essendo evidente che la pronta e completa osservanza delle disposizioni presidenziali presuppone la loro perfetta comprensione. Per cui, delle due l’una: o non è vero che A.S.C. ha eseguito integralmente le prefate ordinanze oppure non è vero che il contenuto delle ordinanze fosse criptico in parte qua.

Per cui anche sotto questo profilo il ricorso va respinto.

9. Del tutto infondato è il motivo con cui si deduce la violazione degli artt. 183, let. l), e 212 T.U.A., visto che:

– l’art. 183, let. l), del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce che intermediario è “…. qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi, compresi gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilità dei rifiuti…”. L’ATA non è qualificabile in alcun modo come un’impresa (il che è riconosciuto dalla stessa ricorrente);

– l’ente pubblico titolare del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti non può assumere in radice la qualifica di intermediario di rifiuti, visto che, ai sensi dell’art. 202 T.U.A., esso è tenuto ad affidare a soggetti privati la gestione del servizio. Ed è evidente che l’ente concedente, nel momento in cui affida la gestione ad un operatore privato, non acquisisce la materiale disponibilità dei rifiuti, ma non per questo assume la qualifica di intermediario di rifiuti. L’art. 212, comma 5, del T.U.A. prevede l’iscrizione all’Albo solo per le aziende speciali, i consorzi di Comuni e le società di gestione dei servizi pubblici e stabilisce che l’iscrizione è valida solo per i servizi di gestione (diretta) dei rifiuti urbani prodotti nell’ambito territoriale di riferimento;

– l’individuazione della qualifica di intermediario di rifiuti è in realtà finalizzata ad evitare che l’operatore realmente responsabile della gestione dei rifiuti possa sottrarsi ai conseguenti oneri (la cui inosservanza, come è noto, ha rilevanza anche penale), mediante l’affidamento delle fasi operative ad altri operatori e la conservazione dei soli compiti di gestione amministrativo-finanziaria (in questo senso è rilevante l’inciso “…compresi gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilità dei rifiuti…”);

– con specifico riguardo al caso di specie, la sottoscrizione di convenzioni con i 33 Comuni dell’Ambito e con le ditte private incaricate dalle citate ordinanze presidenziali di svolgere le varie fasi del servizio risponde unicamente a finalità di regolazione finanziaria, per cui non si è avuta alcuna diretta ingerenza dell’ATA nelle attività di trattamento dei rifiuti.

10. Quanto alla dedotta erroneità dei presupposti, si osserva che:

– in primo luogo, le vicende relative al trasferimento dell’impianto TMB ed alla procedura di V.I.A. sul progetto di costruzione della vasca n. 6 nel sito di Relluce non costituiscono certo la ragione fondamentale ed imprescindibile su cui si fonda l’atto impugnato;

– in secondo luogo, alla luce della presunzione di legittimità dei provvedimenti della P.A. ben poteva l’ATA considerare tali vicende come concluse dal punto di vista amministrativo (avendo la Regione autorizzato il trasferimento dell’impianto TMB ed essendosi il sub-procedimento di V.I.A. concluso con il giudizio negativo della Provincia), non essendo rilevante il fatto che di tali atti fosse stata già “minacciata” (o già avviata) l’impugnativa in sede giudiziaria.

Poiché nel momento in cui la deliberazione n. 21/2015 è stata adottata i citati provvedimenti esplicavano in pieno i propri effetti, anche questo gruppo di censure va disatteso.

11. Nel merito, parte ricorrente non contesta l’importo della tariffa dimostrandone l’inidoneità a remunerare i costi che i gestori delle varie fasi del servizio sono tenuti a sopportare. Sotto questo profilo, dunque, la censura è inammissibile per genericità.

Per tutti i profili di ordine generale della vicenda si rimanda alla sentenza resa in pari data sui citati ricorsi nn. di R.G. 226/2015, 256/2015, 688/2015, 699/2015, 260/2016 e 267/2016.

12. In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna la società ricorrente al pagamento in favore dell’ATA n. 5 delle spese di giudizio, che ritiene di liquidare in € 1.000,00, oltre ad accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Ancona nelle camere di consiglio dei giorni 7 ottobre 2016 e 18 novembre 2016, con l’intervento dei magistrati:

Maddalena Filippi, Presidente

Tommaso Capitanio, Consigliere, Estensore

Francesca Aprile, Primo Referendario