LUOGHI CONFINATI E AMBIENTI SOSPETTI DI INQUINAMENTO. Il nuovo chiarimento del Inl con nota n. 694/2024.

Con una recente nota n. 694 del 24 gennaio 2024 la Direzione Generale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha risposto ad alcune richieste di chiarimento riferite ai luoghi confinati ed eventuali ambienti sospetti di inquinamento, riferite all’obbligatorietà della certificazione dei contratti ai sensi del Titolo VIII, capo I, del D.Lgs. n. 276/2003 per il personale impiegato in servizi resi in ambienti sospetti di inquinamento o confinati in regime di appalto o subappalto.

Nella nota in esame vengono illustrati i requisiti e le qualifiche professionali prescritti alle imprese o ai  lavoratori autonomi nonchè l’individuazione dell’organo di certificazione cui far riferimento in relazione ai contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore (ma non anche del contratto “commerciale” di appalto).

Di seguito il testo integrale della nota del’Inl:

Nota dell’ispettorato nazionale del Lavoro 24 gennaio 2024, n. 694

Oggetto: D.P.R. n. 177/2011 problematiche sui luoghi confinati e ambienti sospetti di inquinamento.

Sono pervenute a questa Direzione generale, da parte degli Uffici territoriali, alcune richieste di chiarimento in ordine alle problematiche concernenti l’obbligatorietà della certificazione dei contratti ai sensi del Titolo VIII, capo I, del D.Lgs. n. 276/2003 per il personale impiegato in servizi resi in ambienti sospetti di inquinamento o confinati in regime di appalto o subappalto, problematica sulla quale occorre svolgere le seguenti osservazioni condivise con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

In via preliminare occorre evidenziare che il D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177 ha dato attuazione all’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 81/2008 e ha introdotto alcune disposizioni finalizzate a qualificare le imprese ed i lavoratori operanti in “in ambienti sospetti di inquinamento di cui agli articoli 66 e 121 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e negli ambienti confinati di cui all’allegato IV, punto 3, del medesimo decreto legislativo” (art. 1, comma 2).

L’art. 2 del D.P.R. n. 177/2011 prevede che qualsiasi attività lavorativa, nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, possa essere svolta unicamente da imprese o lavoratori autonomi che siano in possesso dei requisiti previsti dallo stesso articolo.

Le lettere a) e b), dell’art. 2 citato evidenziano un’applicazione rigorosa ed integrale delle norme di sicurezza in materia di valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria ed adozione delle misure di gestione delle emergenze. Il suddetto obbligo vale per tutte le tipologie di azienda e quindi anche per i lavoratori autonomi, soprattutto in termini di sorveglianza sanitaria.

Inoltre il comma 1, lett. c), dell’art. 2 del medesimo D.P.R. n. 177/2011 prevede, quale requisito obbligatorio, la “presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30 per cento della forza lavoro, con esperienza almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, in questa seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Tale esperienza deve essere necessariamente in possesso dei lavoratori che svolgono le funzioni di preposto”. La misura del 30% deve intendersi riferita al personale impiegato sulla specifica attività, indipendentemente dal numero complessivo della forza lavoro della stessa azienda (vedi nota MLPS prot. n. 11649 del 27 giugno 2013).

La citata disposizione impone dunque alle imprese l‘obbligo di utilizzo di personale qualificato, stabilendone i requisiti minimi – esperienza almeno triennale – e la tipologia contrattuale, la quale deve essere generalmente di tipo subordinato a tempo indeterminato. Qualora l’impresa decida di utilizzare personale con altre tipologie contrattuali, allora l’impresa dovrà procedere alla certificazione del contratto di lavoro ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del D.Lgs. n. 276/2003. Inoltre, nel caso in cui l’impiego del personale in questione avvenga in forza di un contratto di appalto, occorrerà certificare i relativi contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore – ancorché siano contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato – ma non certificare anche il contratto “commerciale” di appalto. Tali certificazioni, ovviamente, potranno essere utilizzate dall’appaltatore per tutta la durata dei rapporti di lavoro cui si riferiscono, a prescindere dalla circostanza che la certificazione sia stata effettuata in occasione di uno specifico appalto.

Tale posizione interpretativa deriva anzitutto dalla disamina delle ulteriori disposizioni di cui al D.P.R. n. 177/2011 e, in particolare, dell’art. 2, comma 2 – secondo il quale “in relazione alle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati non è ammesso il ricorso a subappalti, se non autorizzati espressamente dal datore di lavoro committente e certificati (…)” – che subordina il ricorso al subappalto ai casi in cui sia autorizzato dal committente e sia certificato ai sensi del titolo VII, capo I del D.Lgs. n. 276/2003.

Se dunque l’intento del legislatore era quello di rendere obbligatoria la certificazione dei contratti di lavoro in tutte le ipotesi di esternalizzazione dell’attività produttiva – ivi compresi i contratti di appalto e non solo di subappalto – lo avrebbe previsto in maniera esplicita. Peraltro, il comma 1, lett. c), dell’art. 2 sopra menzionato definisce i requisiti che devono avere i lavoratori addetti alle lavorazioni in ambienti confinati e sospetti di inquinamento e non si rivolge ai rapporti intercorrenti tra il committente e l’appaltatore.

In secondo luogo, prevedere la certificazione dei contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore (ma non anche del contratto “commerciale” di appalto) è già di per sé una garanzia in ordine sia ai requisiti di esperienza richiesti dalla norma, sia per quanto concerne i trattamenti retributivi e normativi riservati a tale personale che, evidentemente, costituiscono anch’essi un indice di regolarità dell’appalto.

Ciò premesso va poi chiarito che l’individuazione dell’organo di certificazione cui far riferimento è il luogo in cui è svolta l’attività, qualora ci si rivolga ad un soggetto che ha una competenza territoriale (Ispettorato del lavoro, Province, Consigli provinciali dell’Ordine dei consulenti del lavoro, Enti bilaterali regionali o provinciali); nel caso in cui ci si rivolga alle Università o alle Fondazioni Universitarie non c’è un problema di competenza territoriale, potendo tali organi certificare in ambito nazionale.

È da ultimo opportuno evidenziare che l’attività istruttoria propria della Commissione di certificazione non può limitarsi a verificare la mera sussistenza dei requisiti organizzativi, ma dovrà approfondire, occupandosi delle tipologie contrattuali dei lavoratori impiegati e della loro esperienza professionale, del possesso del DURC in capo alle imprese, dell’applicazione integrale del CCNL, degli adempimenti compiuti dal committente in relazione alla verifica dell’idoneità tecnico-professionale.

Scarica il testo del provvedimento: nota Inl n. 694 del 24 gennaio 2024