ARIA. Installazione di impianto senza autorizzazione, reato permanente, contravvenzione ex art. 279, comma 1 d. lgs. n. 152/2006 e sequestro. Cassazione Penale n. 4250/2019.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 4250 del 29 gennaio 2019 (ud. del 15 gennaio 2019)

Pres. Di Nicola, Est. Ramacci

Aria. Contravvenzione prevista dall’art. 279 comma 1 d.lgs. 152/2006 e sequestro
È indubbia la natura permanente del reato di esercizio o istallazione di impianto in assenza di autorizzazione ed in più occasioni si è avuto modo di specificare che la sua consumazione termina col rilascio dell’autorizzazione o, in alternativa, con la cessazione dell’esercizio dell’impianto (v. Sez. 3, n. 8678 del 13/11/2013 (dep. 2014), P.M. in proc. Vollero, Rv. 258840), ciò in quanto, trattandosi di norma finalizzata alla tutela della qualità dell’aria, l’autorizzazione medesima rappresenta il mezzo attraverso il quale la pubblica amministrazione procede alla preventiva verifica della rispondenza dell’impianto alle prescrizioni della legge (cfr. Sez. 3, n. 192 del 24/10/2012  (dep. 2013), Rando, Rv. 254335).

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 4250 del 29 gennaio 2019 (ud. del 15 gennaio 2019)

SENTENZA

sul ricorso proposto da: FRANCOLINO ANTONIO nato a SALERNO il 24/09/1973

avverso l’ordinanza del 16/11/2017 del TRIB. LIBERTA’ di SALERNO

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;

lette/sentite le conclusioni del PG PAOLO CANEVELLI

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’

udito il difensore

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Salerno, con ordinanza del 24/09/2018, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica avverso il decreto di rigetto del GIP di quella città del 07/11/2017, ha ordinato il sequestro preventivo, presso l’azienda DECORIDEA di Antonio FRANCOLINO, dei seguenti beni: “area interna del capannone posteriore con due tavoli serigrafia, se ancora esistenti presso la ditta e un fusto contenente liquidi di risciacquo solventi; area interna del capannone posteriore con due tavoli serigrafia, se ancora esistenti, presso la ditta e fusto liquidi solventi; 4 fusti liquidi solventi; 22 fusti liquidi solventi; tre forni elettrici; due forni a metano e un forno a muffola”.
La misura cautelare era adottata ipotizzandosi, nei confronti del FRANCOLINO, il reato di cui all’art. 279 d.lgs. 152/06, per l’esercizio di attività di produzione e cottura di argilla e realizzazione di manufatti in ceramica, con l’utilizzo di due forni alimentati a metano, tre forni elettrici ed uno a muffola, oltre che l’attività di serigrafia mediante 4 macchinari a ciò destinati e l’utilizzo di solventi, senza alcun sistema di captazione delle esalazioni prodotte ed in assenza di autorizzazione alle emissioni di fumi in atmosfera.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge e l’assenza o mera apparenza della motivazione in relazione alla sussistenza del periculum in mora.
Assume che, nell’ordinare il sequestro, il Tribunale non avrebbe considerato alcuni dati emergenti dalla documentazione prodotta dalla difesa e, segnatamente, l’applicazione di filtri non presenti presso la ditta indicata all’atto del controllo, l’effettuazione di analisi sui fumi in data successiva al montaggio dei filtri con valori al di sotto della soglia massima prevista per legge, la modifica del ciclo lavorativo di decorazione delle ceramiche, sostituendo la serigrafia con la meno inquinante decalcomania, nonché la presentazione di un’istanza al fine di ottenere l’autorizzazione unica ambientale.
Osserva che il Tribunale avrebbe solo apparentemente motivato in ordine non soltanto alla mutata situazione opportunamente documentata, ma anche in relazione alle esigenze cautelari, limitandosi ad individuare la permanenza del reato come elemento determinante ai fini della sussistenza del periculum.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Come si ricava dal tenore del provvedimento impugnato, il reato oggetto di provvisoria incolpazione è quello di cui all’art. 279 d. lgs. 152/06, il quale ripropone, sostanzialmente, le sanzioni penali previste dagli artt. 24 e 25 del D.P.R.  203/88 e la sanzione amministrativa prevista dall’ormai abrogato art. 4 della legge 413/97 ed è stato modificato, rispetto all’originaria formulazione, da successivi interventi normativi.
La disposizione richiamata, nel primo comma, prevede sanzioni per chi inizia ad installare o esercisce, in assenza della prescritta autorizzazione, uno stabilimento, che l’articolo 268, lettera h) definisce come “il  complesso  unitario  e  stabile,  che   si configura come un complessivo ciclo produttivo, sottoposto al  potere decisionale di un unico gestore, in cui  sono  presenti  uno o più impianti o sono  effettuate una o più attività che producono emissioni attraverso, per esempio, dispositivi mobili, operazioni manuali, deposizioni e movimentazioni. Si considera  stabilimento anche il luogo adibito in modo stabile all’esercizio di  una o più attività” e che ha sostituito l’originario riferimento all’impianto.
3. Tale è la condotta contestata all’odierno ricorrente, il quale, come evidenzia l’ordinanza impugnata, non è in possesso dell’autorizzazione unica ambientale, più volte richiesta ma mai concessa dalle competenti autorità.
Tale stato di cose non è in discussione, poiché il difetto del titolo abilitativo è riconosciuto dallo stesso ricorrente, che, infatti, non contesta la sussistenza del fumus del reato, limitando le proprie censure alla insussistenza del periculum in mora.
Nel far ciò, il ricorrente pone in evidenza alcuni dati fattuali, dei quali viene dato conto anche dai giudici dell’appello, ritenuti significativi ai fini della insussistenza del pericolo e non adeguatamente valutati dal Tribunale.
4. Va tuttavia rilevato come, in realtà, tali elementi valorizzati dal ricorrente siano stati ritenuti non determinanti dal Tribunale per il fatto che, in ogni caso, l’attività svolta dal ricorrente è tuttora priva del necessario titolo abilitativo.
Tale circostanza è chiaramente evidenziata, nell’ordinanza impugnata, laddove si rileva come precedenti richieste siano state archiviate dall’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione per la mancata allegazione della documentazione necessaria, dandosi altresì atto del fatto che lo stesso Tribunale aveva concesso più rinvii al fine di consentire al ricorrente di dotarsi del titolo abilitativo mancante.
I giudici dell’appello, pur a fronte di tale situazione, hanno del tutto correttamente rilevato come, pur in presenza delle iniziative poste in essere per migliorare la situazione accertata all’atto del primo sopralluogo, l’azienda continui a svolgere la propria attività senza l’autorizzazione richiesta dalla legge.
Il Tribunale, inoltre, ha posto in rilevo la natura permanente della violazione oggetto di provvisoria incolpazione, ponendosi così perfettamente in linea con quanto evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte circa la natura del reato in esame.
È infatti indubbia la natura permanente del reato di esercizio o istallazione di impianto in assenza di autorizzazione ed in più occasioni si è avuto modo di specificare che la sua consumazione termina col rilascio dell’autorizzazione o, in alternativa, con la cessazione dell’esercizio dell’impianto (v. Sez. 3, n. 8678 del 13/11/2013 (dep. 2014), P.M. in proc. Vollero, Rv. 258840), ciò in quanto, trattandosi di norma finalizzata alla tutela della qualità dell’aria, l’autorizzazione medesima rappresenta il mezzo attraverso il quale la pubblica amministrazione procede alla preventiva verifica della rispondenza dell’impianto alle prescrizioni della legge (cfr. Sez. 3, n. 192 del 24/10/2012  (dep. 2013), Rando, Rv. 254335).
5. La natura della violazione in esame rende evidente che, quando la permanenza è in atto, risultano pacificamente sussistenti i necessari requisiti della concretezza ed attualità del pericolo richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte, dal momento che la mera utilizzazione dell’impianto in assenza di autorizzazione comporta, quanto meno, la prosecuzione della illecita condotta per cui si procede.
Deve pertanto affermarsi che, avendo la contravvenzione prevista dall’art. 279, comma 1, del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 natura di reato permanente, l’esercizio in assenza della prescritta autorizzazione di uno stabilimento ne giustifica il sequestro finalizzato ad impedire la protrazione della condotta illecita.
6. L’ordinanza impugnata risulta, pertanto del tutto immune da censure ed il ricorso deve dunque essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 15/01/2019

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