Rifiuti. Inaccettabile la valutazione soggettiva del rifiuto. Rilievo alle caratteristiche oggettive del materiale. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 19206 del 21 aprile 2017 (ud. 16 marzo 2017)

Pres. Amoresano, Est. Ramacci

Rifiuti. Qualificazione e nozione di rifiuto – Esclusione della valutazione soggettiva della natura dei materiali – Art. 183, c.1, lett. a) d.lgs. n. 152/06.

In tema di qualificazione dei materiali come rifiuti, deve ritenersi inaccettabile ogni valutazione soggettiva della natura degli stessi materiali, poiché è rifiuto non ciò che non è più di nessuna utilità per il detentore in base ad una sua personale scelta ma, piuttosto, ciò che è qualificabile come tale sulla scorta di dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è comunque tenuto, quello, appunto, di disfarsi del suddetto materiale. Fattispecie: in un territorio ove vigeva lo stato di emergenza, è stata effettuata attività di gestione di rifiuti speciali (rifiuti misti dall’attività di demolizione e costruzione, sfabbricidi, pneumatici fuori uso, fusti metallici, tubazioni in polietilene terre e rocce da scavo, il tutto raccolto in cumuli ricoperti in parte da vegetazione spontanea) in assenza di titolo abilitativo.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 19206 del 21 aprile 2017 (ud. 16 marzo 2017)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA 
sul ricorso proposto da COSTANTINO MICHELE nato il 29/04/1959 a PALERMO;
avverso la sentenza del 12/05/2016 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/03/2017, la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del PAOLA FILIPPI che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 12/5/2016 ha parzialmente riformato la decisione emessa in data 1/10/2015 dal Tribunale di quella città ed appellata da Michele COSTANTINO, che assolveva dal reato contestato limitatamente all’attività di raccolta di rifiuti pericolosi per insussistenza del fatto, rideterminando la pena per per le residue condotte, rispetto alle quali confermava l’affermazione di penale responsabilità in ordine al reato di cui all’art. 6, e o 1, lett. d), n. 2 d.l. 172/08, per avere, in territorio ove vige lo stato di emergenza, effettuato attività di gestione di rifiuti speciali (rifiuti misti dall’attività di demolizione e costruzione, sfabbricidi, pneumatici fuori uso, fusti metallici, tubazioni in polietilene terre e rocce da scavo, il tutto raccolto in cumuli ricoperti in parte da vegetazione spontanea) in assenza di titolo abilitativo, su area di circa 4.000 mq a destinazione agricola (Borgetto 24/7/2012).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in ordine alla dedotta inutilizzabilità del verbale di accertamento sui luoghi, effettuato ai sensi dell’art. 354 cod. proc. pen., per non essere stato lo stesso preceduto dall’avviso, dovuto ai sensi dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., della possibilità di farsi assistere da un difensore.
Osserva, a tale proposito, di aver eccepito l’inutilizzabilità dell’atto e di aver ribadito tale deduzione nel giudizio di appello, ove, tuttavia, i giudici l’avrebbero respinta sull’erroneo presupposto che l’atto sarebbe stato acquisito al processo sull’accordo delle parti all’udienza del 12/2/2014, circostanza che sarebbe invece smentita dal contenuto dello stesso verbale di udienza, avendo la Corte territoriale evidentemente confuso il verbale di accertamento sui luoghi con il fascicolo fotografico, alla produzione del quale da parte del Pubblico Ministero la difesa non si era opposta, come pure documentato.
2. Con un secondo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione, osservando che la Corte territoriale avrebbe errato nel non ritenere attendibili le dichiarazioni dei testi indotti dalla difesa. i quali avevano chiarito che il cumulo di sfabbricidi ed i due fusti metallici sarebbero stati abbandonati da terzi ignoti.
I giudici del gravame avrebbero, inoltre, travisato il contenuto delle fotografie acquisite anche con riferimento agli pneumatici, i quali non erano affatto in stato di abbandono e, come dimostrato dalla documentazione prodotta, erano destinati alla rigenerazione da parte di ditta specializzata, nonché ai tubi in ferro e polietilene, utilizzati unitamente alla terra da scavo, per la coltivazione di un orto.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che l’avviso previsto dall’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. ha lo scopo di consentire all’indagato, pur nell’imminenza di atti urgenti di polizia giudiziaria, di usufruire dell’assistenza di un difensore, imponendo alla polizia giudiziaria l’avvertimento di tale diritto.
A tale proposito la disposizione tiene conto della particolarità dell’atto e del momento in cui viene effettuato, prevedendo che l’avviso sia dato solo all’indagato presente e senza particolari formalità, purché sia idoneo al raggiungimento dello scopo, ovvero quello di avvisare colui che non possiede conoscenze tecnico­processuali del fatto che, tra i propri diritti, vi è la facoltà di nominare un difensore che lo assista durante l’atto (cfr. Sez. 3, n. 23697 del 1/3/2016, Palma, Rv. 26682501; Sez. 3, n. 4945 del 17/1/2012, Balestra, Rv. 25203401 ed altre prec, conf. V. anche Sez. U, n. 15453 del 29/1/2016 , Giudici, Rv. 26633501).
In difetto dell’avviso, la nullità conseguente può essere tempestivamente dedotta, a norma del combinato disposto degli artt. 180 e 182, comma secondo, secondo periodo, cod. proc. pen., fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. U, n. 5396 del 2911 /2015, P.G. in proc. Bianchi, Rv. 26302301).
2. Nel caso di specie emerge dagli atti, la cui consultazione non è preclusa a questa Corte, stante la natura processuale della questione prospettata, che, nel verbale di udienza del 12/2/2014 non vi è traccia alcuna del verbale di accertamento sui luoghi, né, tanto meno, si rilevano richieste di acquisizione da parte del pubblico ministero o obiezioni da parte della difesa.
Risulta soltanto, dal suddetto verbale, che il pubblico ministero ha chiesto ed ottenuto, nulla opponendo la difesa, la produzione del fascicolo fotografico (circostanza della quale viene dato atto in ricorso) e, sempre senza opposizione della difesa, di dichiarazioni di successione, di una planimetria dell’area oggetto del procedimento di procure speciali e visure catastali.
Il verbale di accertamento sui luoghi effettuato dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 354 cod. proc. pen., peraltro, trattandosi di atto irripetibile, avrebbe dovuto essere inserito nel fascicolo del dibattimento ab origine, ai sensi dell’art. 431, comma 1, lettera b) cod. proc. pen., ma, dello stesso, pure non vi è traccia.
Ciò posto, va ulteriormente osservato che, per quanto è dato rilevare dalla sentenza impugnata, la Corte territoriale non ha comunque utilizzato, ai fini della decisione, il verbale di accertamento sui luoghi, riferendosi esclusivamente alla documentazione fotografica ed alle dichiarazioni testimoniali. Altrettanto risulta aver fatto il giudice di primo grado.
2. Il contenuto delle fotografie e, più in generale, la valutazione delle prove da parte dei giudici del gravame, sono oggetto del secondo motivo di ricorso dove, attraverso una dettagliata disamina dei contenuti delle fotografie e delle dichiarazioni rese dai testimoni escussi, viene posta in dubbio la sussistenza del reato e la responsabilità dell’imputato.
Va a tale proposito osservato che la Corte territoriale, nel richiamare il contenuto della documentazione fotografica, ha radicalmente escluso che i materiali in essa rappresentati fossero, come sostenuto dal ricorrente, destinati ad essere utilizzati, dovendosi conseguentemente escluderne la natura di rifiuti.
Osservano i giudici del gravame che detti materiali risultavano accatastati alla rinfusa ed in evidente stato di abbandono, dando altresì atto, come peraltro indicato nel capo di imputazione, che gli stessi risultavano parzialmente coperti da vegetazione spontanea.
Si tratta, a ben vedere, di una valutazione in fatto che, in quanto adeguatamente motivata, non può essere oggetto di censura nel giudizio di legittimità.
3. Va altresì rilevato che, come è noto, secondo la definizione datane nell’art. 183, comma 1, lettera a) d.lgs. 152\06, nell’attuale formulazione, deve ritenersi rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfa o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi». Tale definizione rispecchia quella contenuta nella direttiva comunitaria di riferimento ed è rimasta sostanzialmente invariata rispetto alla previgente disciplina (d.lgs. 22\97 e, ancor prima, d.P.R. 915\82).
E’ altrettanto noto che la corretta individuazione del significato del termine «disfarsi» ha lungamente impegnato dottrina e giurisprudenza, nazionale e comunitaria, la quale ultima ha più volte chiarito alcuni concetti fondamentali quali, ad esempio, la necessità di procedere ad una interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura (Corte Giustizia 11 novembre 2004, Niselli); di interpretare il verbo «disfarsi» considerando le finalità della normativa comunitaria e, segnatamente, la tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti; di assicurare un elevato livello di tutela e l’applicazione dei principi di precauzione e di azione preventiva (Corte Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit).
Prescindendo dall’esaminare le diverse ­ note ­ posizioni, può qui rilevarsi come sia assolutamente certo che, secondo i principi generali ormai consolidati, debba ritenersi inaccettabile ogni valutazione soggettiva della natura dei materiali da classificare o meno quali rifiuti, poiché è rifiuto non ciò che non è più di nessuna utilità per il detentore in base ad una sua personale scelta ma, piuttosto, ciò che è qualificabile come tale sulla scorta di dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è comunque tenuto, quello, appunto, di disfarsi del suddetto materiale.
4. Tali dati obiettivi sono stati compiutamente indicati nella sentenza impugnata, dando anche risposta alle obiezioni dell’appellante.
In particolare, quanto al dedotto riutilizzo degli pneumatici, la Corte territoriale, indipendentemente dalla correttezza o meno del riferimento alla data del documento prodotto ha posto in evidenza la circostanza che lo stesso, relativo alla rigenerazione di alcuni pneumatici fatta effettuare da una ditta specializzata, non si riferisse a quelli in evidente stato di abbandono rinvenuti sul terreno.
Analogamente, riguardo agli sfabbricidi, i giudici del gravame hanno ritenuto del tutto inverosimile la tesi difensiva dell’abbandono da parte di ignoti proprio sul terreno nella disponibilità dell’appellante, rilevando anche come i testi indotti dalla difesa non fossero presenti al momento del fatto e si siano limitati a riferire quanto appreso dall’imputato.
5. A fronte di tali argomenti, esposti in maniera logica e coerente, il ricorrente oppone una sua personale valutazione alternativa degli elementi probatori esaminati nel giudizio di merito, che non possono però avere ingresso in questa sede, ciò in quanto, come si è ripetutamente affermato, il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti.
6. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 16.3.2017