La procedura di estinzione del reato del d. lgs. n. 758/94 e le modalità di comunicazione dell’ammissione al pagamento della sanzione pecuniaria. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 38196 del 1° agosto 2017 (ud. del 27 aprile 2017)

Pres. Cavallo, Est. Galterio

Sicurezza sul lavoro. Mancata nomina del RSPP. Art.17, comma 1 lett. b) d. lgs. n. 81/2008. D. lgs. 19 dicembre 1994 n. 758. Condizione di procedibilità dell’azione penale. Notificazione del verbale di ammissione al pagamento dell’oblazione. Modalità. 

In tema di reati contravvenzionali in materia di lavoro, la procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, pur configurando un’ipotesi di condizione di procedibilità dell’azione penale, non richiede una formale notificazione del verbale di ammissione al pagamento redatto dalla P.A., essendo sufficiente una modalità idonea a raggiungere il risultato di notiziare il contravventore della ammissione al pagamento e del relativo termine […].

COMMENTO:

In tema di contestazioni di violazioni della disciplina sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, il d. lgs. n. 758/94 consente di poter estinguere la procedura sanzionatoria tramite la regolarizzazione delle mancanze rilevate dagli operanti dietro consessione di un termine entro cui adempiere. Tale termine sospende la procedura dal punto di vista penalistico poichè il Pubblico Ministero, il quale ha ricevuto la comunicazione della notizia di reato ex art. 347 c.p.p. da parte degli operanti, attende l’esito della procedura “riparatoria” per poter o archiviare il fascicolo in caso di avvenuta ottemperanza (che estingue il reato) o procedere con la contestazione in sede processuale qualora risulti che il soggetto sanzionato non abbia provveduto, nei termini prescritti, ad adempiere alle prescrizioni imposte. Una volta verificato l’avvenuto adempimento alle prescrizioni da parte del contravventore, l’autorità di vigilanza ammette il contravventore al pagamento di una sanzione pecuniaria pari a 1/4 del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione rilevata. Ma attenzione: il pagamento della somma a titolo di sanzione pecuniaria costituisce condizione essenziale ai fini dell’estinzione del reato. Tra l’altro, tale contravvenzione è esclusa dal regime di rateizzazione proprio delle sanzioni amministrative secondo la Legge n. 689/81, e pertanto va versata in un’unica somma alcuna possibilità di dilazione da parte del contravventore.

Per quanto riguarda le modalità di comunicazione, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito nel tempo che ai fini della notificazione del verbale di ammissione al pagamento della somma sia sufficiente una modalità idonea a raggiungere il risultato di notiziare il contravventore della ammissione al pagamento e del relativo termine. Nella fattispecie concreta, tale comunicazione era stata operata a mezzo di lettera raccomandata presso la sede della società del contravventore. Le doglianze in relazione alla mancata notificazione del documento presso l’abitazione del destinatario incontrano l’obiezione civilistica secondo la quale, per le notificazioni di atti sia civili che penali, la comunicazione a mezzo del servizio postale può essere eseguita, indifferentemente, presso l’abitazione del destinatario ovvero nel luogo in cui questo eserciti abitualmente la propria attività lavorativa. Pertanto, l’invio al contravventore dell’ammissione al pagamento della sanzione pecuniaria operato presso la sede della società risulta conforme alle disposizioni di legge.

Vale la pena rimarcare come con l’introduzione della posta elettronica certificata, ad oggi gli organi di vigilanza amministrativa siano soliti inviare le comunicazioni di rito a mezzo PEC: pertanto non sarà inusuale che il legale rappresentante di una società si trovi a ricevere tali comunicazioni con il mezzo telematico, essendo tale comunicazione un atto di matrice amministrativa e non di natura penale.

 

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 38196 del 1° agosto 2017 (ud. del 27 aprile 2017)

SENTENZA

sul ricorso proposto da DE DONATIS BRUNO, nato a Casarano il 29.11.1942 avverso la sentenza in data 1.6.2016 del Tribunale di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Ciro Angelillis che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla concessa sospensione condizionale della pena, rigetto nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 1.6.2016 il Tribunale di Lecce ha dichiarato Bruno De Donatis colpevole del reato di cui all’art.17, comma 1 lett.b) d. Igs.81/2008 per omessa nomina, in qualità di legale rappresentante della Micaletto & Co. S.r.l., del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, condannandolo alla pena di C 1.900 di ammenda ritenendo che avesse provveduto tardivamente all’adempimento della prescrizione impartitagli dalla ASL a mezzo di lettera raccomandata. Avverso la suddetta sentenza l’imputato ha proposto appello innanzi alla Corte di Lecce la qualej attesa l’inappellabilità delle sentenze di condanna alla pena pecuniaria dell’ammenda e verificata la voluntas impugnationis, ha riqualificato l’atto in ricorso per Cassazione trasmettendo gli atti a questa Corte. Lamenta il ricorrente con un unico motivo di ricorso di non aver mai avuto contezza dell’accesso ASL presso la sede sociale, avendo gli ispettori trovato al momento del sopralluogo Luigi Micaletto il quale aveva provveduto a nominare/a fronte della contestazione svolta, un tecnico che aveva realizzato e presentato il piano di sicurezza sul lavoro, e che non gli era stata mai comunicata l’ammissione al pagamento della sanzione amministrativa così da consentirgli di avvalersi della causa di non punibilità. Contesta inoltre la sospensione condizionale della pena applicatagli di ufficio senza che egli ne avesse fatto mai richiesta, intendendo avvalersi del suddetto beneficio, ove mai ne ricorressero le condizioni, solo solo a seguito di un’eventuale condanna a pena detentiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso deve ritenersi in relazione ai singoli profili di censura svolti, manifestamente infondato. Quanto al primo punto, risulta dagli atti di causa che ancorchè al momento del sopralluogo da parte degli ispettori del lavoro fosse stato trovato presso la sede della società, in assenza dell’imputato, tale Micaletto Luigi qualificatosi come responsabile in assenza del titolare, ciò nondimeno il verbale redatto a seguito del constatato inadempimento alla disposizione di cui all’art.17 d.lgs 81/2008 contenente la prescrizione relativa alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione con termine per la regolarizzazione di 30 gg. dalla ricezione della comunicazione, era stato ritualmente inviato all’imputato a mezzo di raccomandata da quest’ultimo ricevuta, così come afferma la sentenza impugnata, in data 30.6.2012. Al riguardo va rilevato che, come già affermato da questa Corte in tema di reati contravvenzionali in materia di lavoro, la procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, pur configurando un’ipotesi di condizione di procedibilità dell’azione penale, non richiede una formale notificazione del verbale di ammissione al pagamento redatto dalla P.A., essendo sufficiente una modalità idonea a raggiungere il risultato di notiziare il contravventore della ammissione al pagamento e del relativo termine, sicchè l’accertamento in ordine alla sua esecuzione comporta un’indagine di fatto, da ritenersi preclusa in sede di legittimità (Sez. 3, n. 5892 del 24/06/2014 – dep. 10/02/2015, Giordano, Rv. 26406201). Non essendo rilevabile, né comunque evidenziato uno specifico error in procedendo in cui sia incorso il Tribunale leccese, e non essendo deducibili in sede di legittimità valutazioni in punto di merito, la censura svolta non può che essere ritenuta inammissibile.

2. Manifestamente infondata è altresì la contestazione del ricorrente in ordine al mancato inoltro della raccomandata presso il suo domicilio posto che, secondo la normativa vigente in materia di notifiche di atti sia civili che penali la comunicazione a mezzo del servizio postale può essere eseguita, indifferentemente, presso l’abitazione del destinatario ovvero il luogo in cui questi esercita abitualmente la propria attività lavorativa: pienamente rituale risulta, pertanto, l’invio della raccomandata presso la sede della società, tale essendo il luogo dove questi svolge la propria attività lavorativa e dove risulta essere stata ricevuta. A sconfessare peraltro, anche in punto di fatto, la tesi della mancata ricezione della suddetta comunicazione milita la circostanza che,sia pure tardivamente rispetto al termine concesso, risulta essersi provveduto alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione che nessun altro, se non il datore di lavoro, aveva il potere né tanto meno l’interesse ad effettuare. Dal momento tuttavia che l’adempimento alla prescrizione è avvenuto ben oltre il termine prescritto dall’organo di vigilanza, l’imputato non è stato perciò ammesso al pagamento dell’oblazione. Questi non ha pertanto titolo per dolersi della mancata estinzione del reato, che gli è stato pertanto, in difetto degli adempimenti di cui all’art.21 d. Igs 758/1994, legittimamente ascritto.

3. In ordine all’ultimo profilo di doglianza, occorre premettere che la sospensione condizionale non può risolversi in un pregiudizio per l’imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena: l’interesse all’impugnazione, condizionante l’ammissibilità del ricorso, si configura pertanto tutte le volte in cui il provvedimento di concessione del beneficio sia idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e la sua eliminazione consenta il conseguimento di una situazione giuridica più vantaggiosa. Come già affermato da questa Corte nel suo supremo consesso il pregiudizio addotto dall’interessato, tuttavia, in tanto è rilevante in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella “individualizzazione” della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato, non potendo, per contro, assumere rilevanza giuridica la mera opportunità, prospettata dal ricorrente, di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi, perché valutazione di opportunità del tutto soggettiva e per giunta eventuale, e comunque in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale, e quindi di ravvedimento, imposta dall’art. 164, comma primo, cod. pen. per la concessione del beneficio medesimo (Sez. U, n. 6563 del 16/03/1994 – dep. 02/06/1994, Rusconi, Rv. 197535). Nel solco così tracciato si registrano plurime pronunce di legittimità che a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 5 , comma secondo, lett. d), del d.P.R. n. 313 del 2002 (sentenza della Corte costituzionale n. 287 del 2010), il quale non consentiva la cancellazione dal casellario delle iscrizioni dei provvedimenti giudiziari concernenti la pena dell’ammenda nel caso in cui fossero concessi i benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen.), hanno affermato l’inammissibilità per difetto dell’interesse ad impugnare, del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza di condanna a pena dell’ammenda condizionalmente sospesa “ex officio” (Sez. 3, n. 21753 del 25/02/2014 – dep. 28/05/2014, D’Amico, Rv. 259722; Sez. 3, n. 22477 del 04/11/2014 – dep. 28/05/2015, Lanzo, Rv. 263623; Sez. 4, n. 18072 del 12/02/2015 – dep. 29/04/2015, Blasco, Rv. 263439), così superando un precedente orientamento difforme che ravvisava l’interesse giuridico qualificato all’impugnativa nella circostanza che dalla condanna conseguisse l’iscrizione nel casellario giudiziale, che non poteva, anteriormente all’intervento della Consulta, in caso di sospensione, essere eliminata. Al sovra esposto indirizzo questo Collegio, pur consapevole di un’interpretazione minoritaria in contrasto, ritiene di dare continuità sottolinenando che l’obiettivo perseguito dal ricorrente, volto a cautelarsi da future eventuali condanne a pena detentiva alle quali agganciare il beneficio della sospensione condizionale della pena, di cui oggi chiede la revoca, nell’ipotesi di commissione di nuovi reati, così da assicurarsi una sorta di salvacondotto per successive condotte illecite, costituisce un interesse di mero fatto, cui l’ordinamento giuridico non accorda alcuna protezione, non essendo certamente tutelabile una prospettiva criminosa da parte dell’imputato, ontologicamente stridente con la prognosi favorevole effettuata dal giudice di merito con la concessione del beneficio in esame. In difetto pertanto di un interesse giuridicamente qualificato a supporto della revoca della sospensione condizionale della pena, ancorchè applicata d’ufficio, anche il suddetto profilo di censura deve essere ritenuto inammissibile. All’esito del ricorso segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 2.000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 27 aprile 2017

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