Rifiuti. Esercizio dell’attività in forma ambulante, requisiti secondo l’art. 266 comma 5 del d. lgs. n. 152/2006. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III,sent. n. 36025 del 21 luglio 2017 (ud. del 15 febbraio 2017)

Pres. Cavallo, Est. Liberati

Rifiuti. Gestione non autorizzata. Art. 256, comma 1, d. lgs. n. 152/2006. Attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi del d. lgs. n. 152/2006. Svolgimento di fatto o consequenziale a diversa attività primaria. Deroga per trasporto in forma ambulante. Art. 266, comma 5, d. lgs. n. 152/2006. Condizioni.

La condotta sanzionata dall’art. 256, comma 1 d. lgs. n. 152 del 2006 è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, svolta anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità”, e dall’altro, sulla base di una lettura “sistematica” della disposizione, che “la deroga prevista dall’alt. 266, comma 5 d. lgs. n. 152 del 2006 per l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti prodotti da terzi, effettuata in forma ambulante opera qualora ricorra la duplice condizione che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l’esercizio di attività commerciale in forma ambulante ai sensi del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 114 e, dall’altro, che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio.

COMMENTO:

Prima dell’entrata in vigore del d. lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (c.d. “Decreto Ronchi”), l’attività di gestione di rifiuti da parte di soggetti esercenti la professione di commercio ambulante era regolata dalla Legge 28 marzo 1991 n. 112 e ss. mm., nonché, in via parziale all’art. 121 [1], dal R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza o T.U.L.P.S.). In seguito vennero emanati il d. lgs. 31 marzo 1998 n. 114, contenente la riforma della disciplina del settore del commercio (compreso il commercio “in forma itinerante”) e la Legge 9 dicembre 1998, n. 426 [2], recante nuovi interventi in campo ambientale, la quale introdusse all’art. 58 del d. lgs. 22/97 il comma 7-quater, che così recitava: “le disposizioni di cui agli articoli 11, 12, 15 e 30 non si applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio”. Infine, con il D.P.R. 28 maggio 2001 n. 311 (art. 6, comma 1, lett. b) vennero abrogati il primo ed il secondo comma dell’art. 121 del T.U.L.P.S. .

Con l’introduzione del d. lgs. n. 152/2006 e la conseguente abrogazione del d. lgs. n. 22/97, l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti in forma di ambulante è stata disciplinata dall’art. 266, comma 5 del d. lgs. n. 152/2006, il quale stabilisce che “le disposizioni di cui agli articoli 189, 190, 193 e 212 non si applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio”. Tale regime eccezionale è stato fissato con dei precisi limiti, confinandolo alla sola raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi da parte di «commercianti al dettaglio». E in assenza dei citati elementi, non operando la deroga ex articolo 266, comma 5 descritta, l’attività condotta senza il supporto dei titoli abilitativi ambientali previsti dallo stesso d. lgs. n. 152/2006 integra dunque il reato di «gestione di rifiuti non autorizzata» ex articolo 256, comma 1, d. lgs. n. 152/2006, essendo posta in essere da soggetto titolare di impresa.

Il reato di gestione non autorizzata di rifiuti è come noto disciplinato dall’art. 256 del d. lgs. n. 152/2006, il quale qualifica la condotta penalmente rilevante come reato c.d. comune, poiché la locuzione “chiunque effettua un’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 […]” implica l’attribuibilità anche a soggetti che non esercitino un’attività professionale ed economica di gestione dei rifiuti. Tale funzione meramente esplicativa ne comportava inoltre l’attribuibilità anche a quei soggetti che esercitassero l’attività di gestione dei rifiuti in via secondaria o consequenziale all’esercizio di un’attività primaria diversa (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 6 giugno 2002 n. 21925; Cass. Pen., Sez. III, 8 aprile 2004 n. 16698). La Suprema Corte ha già avuto modo di ribadire che chi eserciti, in forma ambulante, un’attività di raccolta e trasporto di rifiuti altrui resti fuori dagli obblighi connessi alla gestione dei rifiuti, di cui all’art. 256 d. lgs. n. 152/2006, a condizione che, ai sensi dell’art. 266, comma 5 D. L.vo 152/2006, possegga l’abilitazione allo svolgimento dell’attività di raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante, e sempre che l’attività sia limitata ai soli rifiuti oggetto del suo commercio (cfr. Cass. Pen. Sez. III, 9 luglio 2014 n. 29992).

[1] L’art. 121 così recitava: «Salve le disposizioni di questo testo unico circa la vendita ambulante delle armi, degli strumenti atti ad offendere e delle bevande alcooliche, non puo` essere esercitato il mestiere ambulante di venditore o distributore di merci, generi alimentari o bevande, di scritti o disegni, di cenciaiolo, saltimbanco, cantante, suonatore, servitore di piazza, facchino, cocchiere, conduttore di autoveicoli di piazza, barcaiuolo, lustrascarpe e mestieri analoghi, senza previa iscrizione in un registro apposito presso l’autorità locale di pubblica sicurezza. Questa rilascia certificato della avvenuta iscrizione. L’iscrizione non è subordinata alle condizioni prevedute dall’art. 11 nè a quella preveduta dal capoverso dell’art. 12, salva sempre la facoltà dell’autorità di pubblica sicurezza di negarla alle persone che ritiene capaci di abusarne. E’ vietato il mestiere di ciarlatano».
[2] In vigore dal 29/12/98 al 31/12/2000.

 

Cass. Pen., Sez. III,sent. n. 36025 del 21 luglio 2017 (ud. del 15 febbraio 2017)

SENTENZA

sul ricorso proposto da Putignano Pietro, nato a Mesagne il 29/6/1961 avverso la sentenza del 4/4/2016 della Corte d’appello di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 4 aprile 2016 la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del 5 maggio 2014 del Tribunale di Brindisi, con cui P. P. era stato condannato alla pena di mesi sei di arresto in relazione al reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. b), d. lgs. n. 152 del 2006 (per avere trasportato rifiuti pericolosi e non pericolosi in assenza dei formulari di identificazione dei rifiuti e della iscrizione del mezzo nell’albo delle imprese autorizzate al trasporto dei rifiuti). Nel disattendere l’impugnazione dell’imputato la Corte territoriale ha, anzitutto, escluso, sulla base dei documenti dallo stesso prodotti (attestanti solamente la richiesta di ammissione alla C. R. F., iscritta nell’Albo Nazionale Gestori Ambientali), che lo stesso fosse in possesso del titolo abilitativo per il commercio ambulante ai sensi del d.lgs. n. 114 del 1998, e, comunque, l’operatività della deroga di cui all’art. 266, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006, non rientrando tutti i rifiuti trasportati dall’imputato nell’oggetto del suo commercio ed essendo gli stessi compresi in categorie autonomamente disciplinate. La Corte d’appello ha, poi, evidenziato che la pena era stata determinata nel minimo, che non vi erano elementi per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, né i presupposti per la sospensione della pena, avendo l’imputato già goduto di tale beneficio in relazione a un reato tributario giudicato di un certo rilievo.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, affidato a tre motivi.

2.1. Con un primo motivo ha prospettato vizio di motivazione e violazione dell’art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, non essendo stato considerato che, ai sensi dell’art. 266, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, l’attività di trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi effettuata in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto di tale commercio, non richiede l’iscrizione all’albo dei gestori dei rifiuti, purché il soggetto sia abilitato all’esercizio di tale attività in forma ambulante, sicché, poiché egli era in possesso di tale autorizzazione e non era diretto verso alcun centro di raccolta di rifiuti, né stava trasportando un quantitativo ingente di rifiuti (essendo stato stimato in 30 chilogrammi il loro peso complessivo), doveva essere esclusa la configurabilità del reato ascrittogli, non essendo stato accertato che la batteria trasportata fosse esausta e i ricambi per motori non riutilizzabili.

2.2. Con un secondo motivo ha prospettato violazione dell’art. 164, comma 4, cod. pen., e ulteriore vizio della motivazione, riguardo alla esclusione del beneficio della sospensione condizionale della pena, essendo stata erroneamente e indebitamente considerata al riguardo una precedente condanna per reato depenalizzato, che non poteva essere considerata ostativa alla concessione di detto beneficio, dovendo la abolitio crinninis intervenuta successivamente alla condanna eliminare gli effetti penali della stessa, e dunque anche la preclusione al riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena.

2.3. Con un terzo motivo ha lamentato ulteriore vizio della motivazione riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena, avendo omesso la Corte d’appello di dare adeguata risposta alle proprie doglianze sul punto ed avendo, di conseguenza, confermato in modo apodittico la sentenza di primo grado, senza giustificare il diniego di dette circostanze e la conferma della misura della pena quale stabilito, nella sentenza di primo grado impugnata dall’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Questa Corte Suprema ha già più volte affermato che “la condotta sanzionata dall’art. 256, comma 1 d. lgs. n. 152 del 2006 è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, svolta anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità”, e dall’altro, sulla base di una lettura “sistematica” della disposizione, che “la deroga prevista dall’alt. 266, comma 5 d. lgs. n. 152 del 2006 per l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti prodotti da terzi, effettuata in forma ambulante opera qualora ricorra la duplice condizione che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l’esercizio di attività commerciale in forma ambulante ai sensi del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 114 e, dall’altro, che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio” (Sez. 3, n. 29992 del 24/6/2014, Lazzaro, Rv. 260266; conf. Sez. 3, n. 23908 del 19/04/2016, Butera, Rv. 267019; Sez. 3, n. 34917 del 09/07/2015, Caccamo, Rv. 264822; Sez. 3, n. 269 del 10/12/2014, Seferovic, Rv. 261959). Ora, nella vicenda in esame, i giudici di merito, con accertamento in fatto non oggetto di censura, hanno dato atto che l’imputato non era in possesso del titolo abilitativo previsto per il commercio ambulante (avendo solo chiesto di essere ammesso come socio della C. R. F., iscritta all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, ma non anche l’accettazione di tale domanda e il possesso della suddetta autorizzazione al commercio ambulante di rifiuti) e che i rifiuti dallo stesso trasportati e sottoposti a sequestro (una bicicletta in pessime condizioni, due televisori, una pompa autoclave, un frigorifero con motore, un cofano anteriore completo di mascherina per l’autovettura Renault 4, un forno elettrico, una rete metallica da letto, due bidoni in ferro di cui uno contenente tubi in ferro e in gomma, quattro water in ceramica, un estintore, una stampante, un monitor, una macchina per slot machine, tre circuiti stampati, un motore di avviamento, un telaio di tavolo, un telaio in ferro di tavolino, materiale ferroso vario) erano riconducibili a categorie diverse e autonomamente disciplinate, essendo stata accertata la presenza anche di rifiuti pericolosi, in quanto tra il materiale trasportato e sottoposto a sequestro vi erano anche parti di componenti elettrici ed elettronici, tubi ad alta pressione contenenti olio esausto e un estintore. Ne consegue la piena correttezza della esclusione della configurabilità della ipotesi di cui all’art. 266, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006, di cui non ricorreva alcuno dei presupposti, e cioè né l’abilitazione allo svolgimento della attività di raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante, né la limitazione di tale attività ai soli rifiuti che formavano oggetto del commercio svolto dall’imputato, di cui la Corte appello ha dato atto con motivazione esaustiva, con la conseguente manifesta infondatezza della doglianza sollevata al riguardo con il primo motivo.

3. Le doglianze formulate con il secondo e il terzo motivo, riguardo al diniego della sospensione condizionale della pena, alla misura della stessa e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sono anch’esse manifestamente infondate. La pena, come già evidenziato dalla Corte d’appello, è stata determinata in misura corrispondente al minimo edittale, e cioè in mesi sei di arresto ed euro 2.600,00 di ammenda, sicché non vi era alcun margine per una riduzione della stessa. Il diniego delle circostanze attenuanti generiche è stato adeguatamente giustificato con il riferimento a una precedente condanna per un reato tributario di non modesta rilevanza, dunque, correttamente, con il riferimento, tra i vari parametri indicati dall’art. 133 cod. pen., alla negativa personalità dell’imputato, ritenuta assorbente ai fini della esclusione della riconoscibilità di dette attenuanti: si tratta di motivazione idonea e non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità, essendo sufficiente che il giudice dimostri di avere considerato ed esaminato, sia pure sinteticamente, gli elementi enunciati nell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, e indichi quelli apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto, essendo sottratta al sindacato di legittimità la motivazione sul punto quando sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente corretta (Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Manzari, Rv. 260415; Sez. 1, n. 3163 del 28.11.1988, Rv 180654). Quanto, infine, al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, lo stesso è stato adeguatamente giustificato dalla Corte d’appello con la suddetta precedente condanna riportata dall’imputato, in relazione alla quale era già stato applicato detto beneficio, dunque non considerando la condanna per un reato depenalizzato, ma solo, correttamente, quella ulteriore per un reato ritenuto grave, come tale ostativo al riconoscimento di detto beneficio: si tratta, anche a questo proposito, di motivazione adeguata, non sindacabile sul piano del merito, cioè della valutazione di gravità delle condotte, nel giudizio di legittimità, con la conseguente manifesta infondatezza anche di tale doglianza.

4. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza di tutti i motivi cui è stato affidato. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.

Così deciso in Roma il 15 febbraio 2017

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