Inquinamento idrico. Acque. Campionamenti ambientali, assenza di discrezionalità, distinzione tra prelievo di natura amministrativa e derivante da indagine penale. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 35792 del 20 luglio 2017 (ud. del 15 febbraio 2017)

Inquinamento idrico. Acque. Controlli ambientali. Prelievo campioni di terreno. Assenza di discrezionalità. Modificabilità del terreno. Urgenza Art. 354 c.p.p. . Applicabilità. Art. 360 c.p.p. . Accertamenti tecnici non ripetibili . Formalità.

Il prelievo di un campione (nella specie, di olio minerale denaturato) rientra nella previsione dell’art. 354 cod. proc. pen., risolvendosi in un’attività materiale che non postula il rispetto delle formalità prescritte dall’art. 360 dello stesso codice, sia perché non richiede alcuna discrezionalità o preparazione tecnica per il suo compimento, sia perché attiene ad un oggetto la cui intrinseca consistenza è suscettibile di verifica in ogni momento (per tutte, Sez. 3, n. 15826 del 26/11/2014, Guerrieri, Rv. 263059).

In tema di prelievo di campioni finalizzato alle successive analisi chimiche e preordinato alla tutela delle acque dall’inquinamento, occorre distinguere tra prelievo inerente ad attività amministrativa, disciplinato dall’art. 223 disp. att. cod. proc. pen., e prelievo inerente ad attività di polizia giudiziaria nell’ambito di un’indagine preliminare, per il quale è applicabile l’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. poichè, per questa ipotesi, operano in via genetica le norme di garanzia della difesa previste dal codice di rito, mentre, per la prima, i diritti della difesa devono essere assicurati solo laddove emergano indizi di reato, nel qual caso l’attività amministrativa non può più definirsi “extra-processum” (tra le altre, Sez. 3, n. 10484 del 12/11/2014, Gure, Rv. 262698; Sez.. 15372 del 10/2/2010, Fiorillo, Rv. 246597).

COMMENTO:

La sentenza in esame ritorna sulla distinzione tra attività ispettiva di matrice amministrativa e attività svolta in ragione di esecuzione di indagine penale. Il concetto distintivo è fondamentale poichè, nel primo caso, non sussistono le medesime dinamiche processuali proprie del procedimento penale, con la conseguenza dell’inappicabilità, per i prelievi “amministrativi”, delle disposizioni prescritte dal codice di procedura penale. La distinzione in esame riguarda in particolare le disposizioni di attuazione del codice predetto, poichè nel caso di prelievo effettuato dalla polizia giudiziaria nell’ambito di indagini preliminari, operano le garanzie previste dall’art. 220 c.p.p. .

Per eventuali approfondimenti, invito alla lettura del n. 10 della Rivista “Ufficio Tecnico”, Maggioli Editore (download) nella quale è inserito un mio contributo che tratta proprio il tema delle attività ispettive, dei campionamenti e del superamento dei limiti tabellari prescritti dal d. lgs. n. 152/2006 intitolato “Le attività ispettive, i campionamenti degli scarichi e il superamento dei limiti tabellari dell’art. 137 comma 5 del T.U. Ambientale (d. lgs. 152/2006)“.

 

 

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 35792 del 20 luglio 2017 (ud. del 15 febbraio 2017)

SENTENZA

sui ricorsi proposti da Cocca Marco, nato a Lucera (Fg) il 23/2/1968 Del Gaudio Pasquale, nato a Lucera (Fg) il 14/5/1966 Libero Marina, nata a San Severo (Fg) il 19/4/1958 avverso l’ordinanza del 20/10/2016 del Tribunale di Foggia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricors.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 20/10/2016, il Tribunale del riesame di Foggia rigettava il ricorso proposto da Marco Cocca, Pasquale Del Gaudio e Marina Libero (quest’ultima in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Bio Ecoagrim s.r.I.) e, per l’effetto, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso il 19/9/2016 dal Giudice per le indagini preliminari in sede con riguardo alla contestazione di cui agli artt. 110 cod. pen., 256, comma 1, d. Igs. 3 aprile 2006, n. 152; agli indagati era contestato di aver impiegato in coltivazione ammendanti compostati con valori superiori al consentito (quanto a plastica, vetro e cromo esavalente).

2. Propongono congiunto ricorso per cassazione il Cocca, Del Gaudio e la Libero, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi: – inosservanza degli artt. 114, 220, 223 disp. att. cod. proc. pen., 125, comma 3, 354, 256 cod. proc. pen.. Il Tribunale avrebbe confermato la misura senza argomentare in ordine alle diffuse censure mosse in sede di riesame, allorquando si era negato che l’art. 354 cod. proc. pen. potesse costituire fondamento giuridico degli accertamenti fatti eseguire dalla Guardia Forestale; in particolare, si era evidenziato che alla data del prelievo (peraltro, di soli tre campioni) vi era già un’indagine in corso a carico dei ricorrenti, e che il pubblico ministero aveva già assunto la direzione della stessa, sì che ogni attività sarebbe dovuta esser delegata dall’autorità giudiziaria. Gli accertamenti compiuti dagli operanti, quindi, avrebbero potuto aver rilievo esclusivamente in sede amministrativa, non anche in quella penale, in assenza di un’espressa autorizzazione, nomina e delega da parte del pubblico ministero. E con la precisazione che i ricorrenti, al momento del prelievo, non erano stati resi edotti dell’importanza dell’assistenza tecnica, risultando la formula del verbale piuttosto ambigua; – carenza assoluta di motivazione quanto alla dedotta inutilizzabilità degli accertamenti tecnici, per violazione degli artt. 178, lett. c), 360 cod. proc. pen., 220 disp. att. cod. proc. pen.. Premesso che la Libero – nella qualità indicata – non aveva ricevuto l’avviso citato, pur risultando ella certamente indiziata di reato già al momento del prelievo, l’ordinanza avrebbe affermato in modo apodittico il carattere ripetibile degli accertamenti, senza però di questo fornire alcuna motivazione. Nel caso di specie, dunque, si sarebbe dovuta seguire la procedura di cui all’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., con le garanzie ad essa connessa, non quella di cui all’art. 223 disp. att. cod. proc. pen.; al momento del prelievo, infatti, i possibili destinatari della notitia criminis erano stati già individuati, e di ciò era ben a conoscenza il pubblico ministero, sì da imporre l’intervento dell’art. 360 cod. proc. pen.. Si chiede, pertanto, l’annullamento del provvedimento.

3. Con requisitoria scritta del 21/12/2016, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso, ribadendo la fondatezza degli argomenti di cui all’ordinanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I gravami risultano infondati; con la premessa, peraltro, che la questione sottesa agli stessi risulta di natura esclusivamente procedurale, senza alcun riferimento al merito degli accertamenti compiuti ed al periculum sotteso alla misura cautelare in atto. Orbene, l’art. 354 cod. proc. pen. (Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro) stabilisce che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell’intervento del pubblico ministero (comma 1). Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. In relazione ai dati, alle informazioni e ai programmi informatici o ai sistemi informatici o telematici, gli ufficiali della polizia giudiziaria adottano, altresì, le misure tecniche o impartiscono le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne l’alterazione e l’accesso e provvedono, ove possibile, alla loro immediata duplicazione su adeguati supporti, mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all’originale e la sua immodificabilità. Se del caso, sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti (comma 2).

5. Ciò premesso, il Tribunale del riesame ha rappresentato che i campionamenti del caso in esame (eseguiti su un terreno, al fine di verificarne composizione e qualità) erano stati compiuti proprio ai sensi di questa norma e che, in tale contesto, gli indagati erano stati avvertiti della facoltà di farsi assistere da un difensore, ai sensi dell’art. 356 cod. proc. pen., ed a questa avevano rinunciato (e senza che, nella presente sede, possa accogliersi la doglianza in ordine alla formula impiegata nel modulo – “farsi assistere da persona di fiducia o legale” – che, come tale, non pare contenere alcuna incertezza sul significato, anche ammettendo che una simile verifica sia proponibile innanzi al Giudice di legittimità). Ancora, ed a conferma del pieno rispetto delle garanzie processuali, l’ordinanza ha sottolineato che le successive analisi erano state precedute dall’avviso ai ricorrenti Cocca e Del Gaudio, e che le stesse costituivano accertamenti tecnici ripetibili, in quanto eseguiti su cose non soggette a modificazione, sì da non imporre l’applicazione dell’art. 360 cod. proc. pen., più volte richiamato nei presenti ricorsi.

6. Quanto precede, dunque, a dimostrazione di un iter che si è svolto nell’alveo del codice di procedura penale, e con le garanzie – ed i poteri – da questo previsti in materia di prelevamenti urgenti di campioni (attesa la modificabilità del terreno, anche per possibili agenti atmosferici) e successivi accertamenti tecnici ripetibili. Senza necessità di richiamare, dunque, l’art. 223 disp. att. cod. proc. pen. (invero neppure citato nel provvedimento), difettandone i presupposti: ossia, il carattere meramente amministrativo dell’attività svolta, per contro qui inserita – ed “ab origine” – nella cornice dell’art. 354 cod. proc. pen. . Al riguardo, infatti, deve esser confermato il costante indirizzo per cui, in tema di prelievo di campioni finalizzato alle successive analisi chimiche e preordinato alla tutela delle acque dall’inquinamento, occorre distinguere tra prelievo inerente ad attività amministrativa, disciplinato dall’art. 223 disp. att. cod. proc. pen., e prelievo inerente ad attività di polizia giudiziaria nell’ambito di un’indagine preliminare, per il quale è applicabile l’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. poichè, per questa ipotesi, operano in via genetica le norme di garanzia della difesa previste dal codice di rito, mentre, per la prima, i diritti della difesa devono essere assicurati solo laddove emergano indizi di reato, nel qual caso l’attività amministrativa non può più definirsi “extra-processum” (tra le altre, Sez. 3, n. 10484 del 12/11/2014, Gure, Rv. 262698; Sez.. 15372 del 10/2/2010, Fiorillo, Rv. 246597).

7. E sì da trovare conferma, ancora, il principio – di ripetuta affermazione in sede di legittimità – per cui il prelievo di un campione (nella specie, di olio minerale denaturato) rientra nella previsione dell’art. 354 cod. proc. pen., risolvendosi in un’attività materiale che non postula il rispetto delle formalità prescritte dall’art. 360 dello stesso codice, sia perché non richiede alcuna discrezionalità o preparazione tecnica per il suo compimento, sia perché attiene ad un oggetto la cui intrinseca consistenza è suscettibile di verifica in ogni momento (per tutte, Sez. 3, n. 15826 del 26/11/2014, Guerrieri, Rv. 263059).

8. Tutto ciò, infine, a prescindere dalla conoscenza – in capo al pubblico ministero – dell’esistenza del procedimento o della indiziabilità dei ricorrenti, peraltro affermata in questa sede in termini del tutto apodittici e non dimostrati; l’art. 354 cod. proc. pen., infatti, prescinde da tale circostanza, involgendo situazioni nelle quali – come sopra ricordato – ragioni di urgenza impongono e giustificano comunque un intervento di iniziativa da parte della polizia giudiziaria. I ricorsi, pertanto, debbono esser rigettati, ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2017.

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