GIURISPRUDENZA IN PILLOLE – RASSEGNA GENNAIO-FEBBRAIO 2017

FAMIGLIA E MINORI

Cass. civ., 23 febbraio 2017 n. 4685
Quando la convivenza more uxorio viene meno gli oggetti restano nella disponibilità di chi ne è l’effettivo proprietario.

Cass. civ., 15 febbraio 2017 n. 4060
Dopo aver ascoltato le ragioni della minore adolescente, è legittima la decisione del giudice che tramuti l’affido da alternato in condiviso, con collocamento prevalente presso la madre, regolamentando il regime di visite del padre.

Cass. civ., 13 gennaio 2017 n. 789
In tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica: con l’avvertenza, però, che l’attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale, e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche.

Cass. civ., 13 gennaio 2017 n. 785
L’azione di disconoscimento della paternità verte in materia di diritti indisponibili, in relazione ai quali non è ammesso alcun tipo di negoziazione o di rinuncia. In tema di azione di disconoscimento di paternità, il termine previsto dall’articolo 244 del Cc, di natura decadenziale, afferisce a materia sottratta alla disponibilità delle parti, così che il giudice, a norma dell’articolo 2969 del Cc, deve accertarne ex officio il rispetto, dovendo correlativamente l’attore fornire la prova che l’azione sia stata proposta entro il termine previsto, senza che alcun rilievo possa spiegare, in proposito, la circostanza che nessuna delle parti abbia eccepito l’eventuale decorso del termine stesso.

Cass. civ., 13 gennaio 2017 n. 783
In tema di dichiarazione giudiziale di paternità deve escludersi qualsiasi subordinazione dell’ammissione degli accertamenti immuno-ematologici all’esito della prova storica dell’esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacché il principio della libertà di prova, sancito in materia dall’articolo 269, comma 2, del Cc non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una sorta di gerarchia assiologica tra i mezzi di prova idonei a dimostrare la paternità naturale, né – conseguentemente – mediante l’imposizione al giudice di una sorta di ordine cronologico nella loro ammissione e assunzione, a seconda del tipo di prova dedotta, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge e ogni diversa interpretazione si risolverebbe in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’articolo 24 della Costituzione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status.

Cass. civ., 13 gennaio 2017 n. 782
In tema di adozione, il prioritario diritto fondamentale del figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i suoi genitori e di essere allevato nell’ambito della propria famiglia, sancito dall’articolo 1 della legge n. 184 del 1983, impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse. Quel diritto può essere limitato solo ove si configuri un endemico e radicale stato di abbandono – la cui dichiarazione va reputata, alla stregua della giurisprudenza costituzionale, della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia, come extrema ratio – a causa dell’irreversibile incapacità dei genitori di allevarlo e curarlo per loro totale inadeguatezza. In particolare, il ricorso alla dichiarazione di adottabilità di un figlio minore è consentito solo in presenza di fatti gravi, indicativi in modo certo dello stato di abbandono, morale e materiale che devono essere specificamente dimostrati in concreto, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale non basati su precisi elementi idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio.

SUCCESSIONI E DONAZIONI

Cass. civ., 23 gennaio 2017 n. 1698
L’Inps può notificare una cartella di pagamento, per crediti contributivi, all’erede che abbia accettato con beneficio di inventario.

LA PROPRIETA’ E I DIRITTI REALI

Cass. civ., 14 febbraio 2017 n. 3899
Promossa in giudizio, da parte del proprietario del suolo di cui una parte sia stata occupata dal vicino nella costruzione di un edificio, l’azione diretta a far valere l’obbligazione indennitaria di cui all’articolo 938 del Cc, in tanto tale domanda può essere accolta, in quanto il dominus soli abbia contemporaneamente domandato l’acquisto coattivo della proprietà del suolo in favore del costruttore convenuto.

COMUNIONE, CONDOMINIO E LOCAZIONI

Cass. civ., 28 febbraio 2017 n. 5039
Nelle locazioni commerciali, al fine di riconoscere al conduttore cessato la particolare indennità prevista per il caso di subentro di attività «affini» si deve guardare «alla astratta idoneità dell’attività entrante ad intercettare anche solo in parte la clientela dell’attività uscente». Tale affinità, dunque, non può essere esclusa «per il solo fatto che il conduttore uscente e quello entrante vendano beni della stessa natura, ma di foggia, stile o marchio diversi».

Cass. civ., 16 febbraio 2017 n. 4183
Le spese di rifacimento di un terrazzo di copertura aggettante, ed in uso esclusivo di un condomino, possono essere regolate, almeno per la parte che non ha funzione coprente, secondo le diverse regole contenute nel regolamento condominiale per i beni comuni.

Cass. civ., 2 febbraio 2017 n. 2702
Va rigettata la domanda dell’inquilino che al termine di una locazione durata 24 anni chieda l’applicazione dell’equo canone, e dunque la restituzione di quanto pagato in eccedenza, se -nonostante la lettera del contratto – l’immobile di fatto sia stato destinato ad esigenze abitative «transitorie» e «non primarie». In materia di locazione, infatti, bisogna guardare all’utilizzo concreto che l’affittuario ha fatto dell’abitazione – anche a partire da un certo momento in poi – a prescindere dall’esistenza di un accordo scritto. Non solo, la natura transitoria o meno non dipende dalla durata in sé del contratto ma dalla natura dell’esigenza abitativa, la quale benché “saltuaria” può prolungarsi nel tempo.

Cass. civ., 20 gennaio 2017 n. 1428
Nel regime ordinario delle locazioni urbane fissato dalla legge n. 392 del 1978, la disciplina di cui all’articolo 55 relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento non opera in tema di contratti aventi a oggetto immobili destinati a uso diverso da quello abitativo. Il legislatore, infatti, nel dettare la disciplina della sanatoria in questione, non si è limitato a prevedere in genere che il conduttore convenuto per la risoluzione del contratto possa evitare tal effetto pagando, nell’ultimo termine consentitogli, tutto quanto da lui dovuto per canoni e oneri e accessori, ma ha limitato la portata della sua previsione al solo ambito delle ipotesi di inadempimento da morosità descritte e prese in considerazione dall’articolo 5 della stessa legge, di tal che è la stessa disposizione di cui all’articolo 55 – la quale risulta inclusa tra quelle di natura processuale, le quali, di per sé, non sono idonee a dilatare l’ambito di applicazione di una norma di natura sostanziale – a delineare la limitazione del suo ambito di applicazione alle sole locazioni abitative. In tema di locazione di immobili urbani, l’articolo 5 della legge n. 392 del 1978, sulla predeterminazione della gravità dell’inadempimento al fine della risoluzione del rapporto, non è direttamente applicabile alle locazioni di immobili destinati a uso diverso dall’abitazione. Il criterio legale dettato da tale disposizione normativa può però essere tenuto in considerazione come parametro di orientamento per valutare in concreto, a norma dell’articolo 1455 del Cc, se l’inadempimento del conduttore sia stato o non di scarsa importanza.

Cass. civ., 20 gennaio 2017 n. 1426
In ipotesi di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenuto il rilascio del bene locato, la mancata percezione da parte del locatore dei canoni che sarebbero stati esigibili fino alla scadenza convenzionale o legale del rapporto, ovvero fino al momento in cui il locatore stesso conceda ad altri il godimento del bene con una nuova locazione, non configura di per sé un danno da perdita subita, né un danno da mancato guadagno, non ravvisandosi in tale mancata percezione una diminuzione del patrimonio del creditore-locatore rispetto alla situazione nella quale egli si sarebbe trovato se non si fosse verificato l’inadempimento del conduttore, stante il carattere corrispettivo del canone rispetto alla privazione del godimento. Un danno correlato alla mancata percezione del canone dopo il rilascio può, invece, configurarsi se, per le concrete condizioni in cui si trova l’immobile, la restituzione del bene non abbia consentito al locatore di poter esercitare, né in via diretta né in via indiretta, il godimento di cui si era privato concedendo il bene in locazione, commisurandosi in tal caso la perdita al tempo occorrente per il relativo ripristino quale conseguenza dell’inesatto adempimento dell’obbligazione di rilascio nei sensi dell’articolo 1590 del c.c.

Cass. civ., 11 gennaio 2017 n. 411
Nel procedimento iniziato con una duplice intimazione della parte locatrice, una di sfratto per morosità e l’altra di licenza per finita locazione, qualora sulle stesse sia stata pronunciata un’ordinanza che dichiara sanata la morosità ai sensi dell’articolo 55 della legge n. 392 del 188 e convalida la licenza per finita locazione, il provvedimento con cui è dichiarata sanata la morosità non è idoneo al giudicato. Esso presuppone l’ammissione della parte conduttrice al godimento di un beneficio, il cui unico effetto, qualora sia seguita dal pagamento dei canoni scaduti – ai sensi dell’articolo 55 della legge n. 392 del 1978 – è che esclude la risoluzione del contratto. Si tratta di una modalità di conclusione del procedimento sommario di sfratto per morosità che comporta una pronuncia del giudice che, prescindendo dal merito della controversia, di fatto lo estingue per ragioni di rito, perciò è inidonea ad acquisire l’autorità della res iudicata. Il conduttore che intende far valere in giudizio il pagamento di canoni di importo superiore a quelli concordati con la parte locatrice è tenuto a dimostrare con ogni mezzo e prova la data di inizio del contratto intervenuto tra le parti.

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI

Cass. civ., 27 febbraio 2017 n. 4939
In una compravendita immobiliare, dopo la firma del preliminare, la impossibilità sopravvenuta di alienare anche il giardino annesso, non rende la prestazione impossibile, ben potendo il compratore comunque chiedere l’esecuzione in forma specifica a fronte di una riduzione del prezzo.

Cass. civ., 16 febbraio 2017 n. 4187
L’onorario dell’avvocato deve essere rapportato al valore effettivo attribuito alla causa.

Cass. civ., 14 febbraio 2017 n. 3968
Il mandato professionale per l’espletamento di consulenza legale e comunque di attività stragiudiziale non deve essere necessariamente provato per forma scritta in quanto può essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti.

Cass. civ., 30 gennaio 2017 n. 2226
In tema di contratti bancari, la reiterata anticipazione di somme per il pagamento di assegni emessi in carenza di provvista non è di per sé sufficiente a giustificare il riconoscimento a carico della banca dell’obbligo di far fronte a ulteriori pagamenti, trattandosi di un comportamento astrattamente ascrivibile anche a mera tolleranza, e quindi inidoneo di per sé a evidenziare univocamente la volontà di addivenire per facta concludentia a una modificazione delle condizioni originariamente concordate. Per altro verso, in mancanza di un preventivo accordo tra le parti, il rifiuto della banca di provvedere alla predetta anticipazione non può essere considerato espressione di una facoltà di recesso contrattualmente riconosciutale, con la conseguenza che la responsabilità della stessa non può essere ricondotta neppure alla violazione dell’obbligo di darne preavviso al correntista ai sensi dell’articolo 1845, terzo comma, del Cc o comunque nei termini imposti dall’osservanza del generale dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto, sancito dall’articolo 1375 del codice civile.

Cass. civ., 26 gennaio 2017 n. 1988
L’attività di merchandising è la pratica di utilizzare un brand o l’immagine di un prodotto noto per venderne un altro, ovvero consiste nell’insieme di attività e di azioni aventi lo scopo di promuovere la vendita di una determinata linea di prodotti, o anche di un solo prodotto, una volta che lo stesso sia stato inserito nell’assortimento di un altro punto vendita. Si tratta di un’attività ben distinta dal contratto di agenzia e, stante l’autonomia dei rapporti, non può ritenersi che essa possa considerarsi in via generale ricompresa nell’attività dell’agente e remunerata, salvo specifiche pattuizioni, attraverso le provvigioni percepite da quest’ultimo.

Cass. civ., 19 gennaio 2017 n. 1367
Chi acquista una unità immobiliare da un costruttore gravato da un mutuo fondiario ipotecario, non ha diritto alla cancellazione del vincolo da parte dell’istituto di credito anche se ha integralmente pagato il prezzo.

Cass. civ., 19 gennaio 2017 n. 1279
In caso di appalto, la consegna è sufficiente a trasferire il potere di fatto sul bene all’appaltatore che deve eseguirvi opere di riparazione, e, quindi, la relativa custodia, con conseguente configurabilità della responsabilità ex articolo 2051 del Cc. Peraltro, se il bene continua a essere destinato all’uso precedente, come nel caso in cui una strada resti aperta al pubblico transito di persone e veicoli, la custodia permane anche in capo all’ente proprietario, che è pertanto chiamato a rispondere, unitamente all’appaltatore, degli eventuali danni a terzi. L’autonomia dell’appaltatore, il quale esplica la sua attività nell’esecuzione dell’opera assunta con propria organizzazione e apprestandone i mezzi, nonché curandone le modalità e obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera, comporta che, di regola, egli deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’opera. Una corresponsabilità del committente può configurarsi in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti ex articolo 2043 del Cc, ovvero in caso di riferibilità dell’evento al committente stesso per culpa in eligendo per essere stata affidata l’opera a un’impresa assolutamente inidonea ovvero quando l’appaltatore in base a patti contrattuali sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente e abbia agito quale nudus minister attuandone specifiche direttive.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 973
In tema di appalti pubblici, l’amministrazione risponde a titolo contrattuale dell’inadempimento ai propri obblighi, sicché, alla stregua dei principi generali regolanti la corrispondente responsabilità, competono all’appaltatore, sulla somma a lui spettante a titolo di risarcimento del danno, la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valore, e, sull’importo rivalutato, gli interessi legali, con la conseguenza che, in caso di accoglimento della domanda di risoluzione sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno, che prescinde del tutto dalle riserve formulate che attengono ai compensi dovuti in caso in cui il contratto resti in vita, deve essere riconosciuta la rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 923
La rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una species del più ampio genus rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali – quali il corretto funzionamento del mercato (articolo 41 della Costituzione) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (articolo 3 della Costituzione) – che trascendono quelli del singolo. Il rilievo officioso delle nullità di protezione – peraltro – opera in funzione del solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l’azione di nullità, in tale modo evitando che la controparte possa – se vi abbia interesse – sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dall’orbita della tutela. La stipulazione di un contratto preliminare di preliminare (nella specie, relativo a una compravendita immobiliare), ossia di un accordo in virtù del quale le parti si obblighino a concludere un successivo contratto che preveda anche solamente effetti obbligatori (e con l’esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento) è valido ed efficace, e dunque non è nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, a una formazione progressiva del contratto, fondata su una differenziazione dei contenuti negoziali, e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare, per la mancata conclusione del contratto stipulando, una responsabilità contrattuale da inadempimento di una obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale. Correttamente il giudice del merito annette all’accordo preliminare di preliminare la possibilità di insorgenza del diritto alla provvigione da parte del mediatore, siccome conseguente non alla conclusione del negozio giuridico, ma dell’affare, inteso come qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un fatto – cioè – in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 941
Una clausola compromissoria prevista in un determinato contratto non si estende, automaticamente, a controversie relative ad altri contratti sebbene collegati a quello principale.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 922
L’articolo 1197 del Cc prevede – se sussiste il consenso del creditore – l’estinzione ipso iure dell’obbligazione, sulla base della semplice esecuzione della prestazione sostitutiva dell’adempimento e ciò indipendentemente dal fatto che questa ultima sia o meno di valore equivalente alla prestazione originariamente dovuta. Deriva da quanto precede, pertanto, che ove sia riconosciuta l’ esistenza di una datio in solutum e non risulti che l’effetto estintivo della stessa sia stato limitato dal creditore tramite un’espressa riserva, contestuale all’esecuzione della prestazione sostitutiva, si deve ritenere che il debitore sia integralmente liberato.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 921
La causa, quale elemento essenziale del contratto ex articolo 1325 del Cc, identifica lo scopo pratico del negozio, la sintesi – cioè – degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare (causa concreta) quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato. L’indagine, circa la causa quale obiettiva funzione economico-sociale del contratto, quindi, va svolta non in astratto, ma in concreto al fine di verificare – secondo il disposto degli articoli 1343 e 1344 del Cc – la conformità alla legge dell’attività negoziale posta in essere dalle parti e quindi la riconoscibilità della tutela apprestata dall’ordinamento giuridico. Una siffatta indagine non può prescindere dall’apprezzamento degli interessi che il contratto è destinato a realizzare, quali emergono dalle circostanze obiettive (pregresse, coeve e successive alla sua conclusione) secondo la valutazione, riservata al giudice del merito, del materiale probatorio acquisito. Solo laddove da tale indagine risulti che le parti abbiano utilizzato un determinato modello negoziale per realizzare una funzione obiettiva che sia non soltanto diversa da quella per la quale tale modello negoziale è previsto dalla legge, ma anche in contrasto con norme imperative, con l’ordine pubblico o con il buon costume (ciò che caratterizza la illiceità della causa), il giudice deve negare al negozio posto in essere dalle parti la tutela apprestata dall’ordinamento.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 918
Nella previsione di cui all’articolo 8, comma 2, della legge n. 590 del 1965 – che esclude la prelazione in caso di vendita forzata – va ricompresa anche la vendita disposta nell’ambito di un giudizio di divisione. L’espressione utilizzata dal legislatore, infatti, rimanda a un ambito più ampio di quello meramente esecutivo, ponendo, invece, l’accento sulla non volontarietà della vendita. Sia dal richiamo di cui all’articolo 788 del Cpc alle norme dettate in sede di esecuzione forzata, sia dal rilievo che a essa si procede solo in caso di necessità, previa adozione di un provvedimento giurisdizionale, che può essere disposto con sentenza in caso di controversia sulla necessità della vendita stessa, a prescindere, quindi, dalla volontà dei comproprietari, si ricava che in caso di vendita divisionale si è in presenza di una vendita non volontaria, non riconducibile cioè a una libera determinazione dei comproprietari. (

Cass. civ., 13 gennaio 2017 n. 780
Laddove la reciproca relazione di debito-credito tragga origine da un unico o unitario rapporto l’istituto civilistico della compensazione non trova applicazione e la valutazione delle reciproche pretese importa un semplice accertamento contabile di dare e avere, senza che operino i limiti alla compensabilità. Questa conclusione, in presenza di appalto, non è contraddetta dalla constatazione che dal compimento di una operazione imponibile ai fini Iva discendano tre rapporti tra loro autonomi.

Cass. civ., 11 gennaio 2017 n. 417
Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (clausola claims made mista o impura), non è vessatoria, ma, in presenza di determinate condizioni, può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero – ove applicabile la disciplina del decreto legislativo n. 206 del 2005 – per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali. La relativa valutazione va effettuata dal giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità quando congruamente motivata.

Cass. civ., 11 gennaio 2017 n. 416
In tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell’assicurato è causa di annullamento negoziale quando si verifichino cumulativamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore. Il giudizio sulla rilevanza delle dichiarazioni inesatte o sulla reticenza del contraente, implicando un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo se non sia sorretto da una motivazione logica, coerente e completa.

Cass. civ., 11 gennaio 2017 n. 412
Qualora l’acquirente di un bene, destinato alla utilizzazione di un terzo in forza di un contratto di leasing, abbia stipulato con il venditore un patto di riacquisto in caso di inadempimento contrattuale da parte del terzo utilizzatore, costituisce accertamento di fatto stabilire se nel patto di riacquisto sia da ravvisare un negozio di garanzia ovvero una nuova vendita. Il relativo accertamento condotto dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità ove sia correttamente motivato. A seguito della norma di interpretazione autentica recata dall’articolo 1 del decreto legge n. 394 del 2000, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 24 del 2001, i criteri fissati dalla disciplina, oggetto dell’interpretazione anzidetta, introdotta dalla legge n. 108 del 1996, in ordine alla determinazione del carattere usurario degli interessi, non possono essere applicati a rapporti completamente esauriti prima della sua entrata in vigore, senza che rilevi, in senso contrario, la pendenza di una controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto
e rimaste inadempiute, le quali non implicano che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o a una di esse, delle ragioni di credito.

Cass. civ., 10 gennaio 2017 n. 240
Ai sensi dell’articolo 2901 del Cc, nell’ipotesi di credito contestato o litigioso, quand’anche l’accertamento definitivo del credito avvenga in sede giudiziale successivamente alla stipula dell’atto pregiudizievole per il creditore, quest’ultimo per ottenere l’accoglimento della propria domanda revocatoria deve provare unicamente la scientia damni del debitore e del terzo, non anche il consilium fraudis.

Cass. civ., 5 gennaio 2017 n. 130
Le tre richieste di pagamento avanzate dall’avvocato nei confronti del cliente rappresentano altrettante pretese ben distinte tra loro che non possono costituire un’unica obbligazione.

Cass. civ., 3 gennaio 2017 n. 8
Un rapporto d’opera professionale non può scaturire da comportamento concludente delle parti.

RESPONSABILITA’ CIVILE, DANNI E RISARCIMENTI

Cass. civ., 7 febbraio 2017 n. 3216
Il Comune è tenuto alla manutenzione anche delle parti di strada che appartengono al privato, ma che conducono sulla via principale di esclusiva competenza dell’amministrazione. In caso di sinistro, pertanto, su questa area dissestata ne risponde l’ente locale.

Cass. civ., 3 febbraio 2017 n. 2950
In caso di truffa telematica – cosiddetto Phishing – ai danni di un correntista, spetta alla banca dimostrare di aver fatto tutto il possibile, secondo il criterio della diligenza professionale, per scongiurare la frode utilizzando un sistema informatico adeguato ai rischi.

Cass. civ., 25 gennaio 2017 n. 1931
Il danno economico e quello all’immagine, legati alla mancata concessione del credito a seguito di segnalazione nella Centrale rischi, non è riconosciuto automaticamente ma va dimostrato con le opportune prove.

Cass. civ., 19 gennaio 2017 n. 1289
Nel caso in cui il conducente che sarebbe stato favorito della segnaletica che assume mancante ritenga di avere diritto alla precedenza non si verifica una situazione di insidia, in quanto la circolazione stradale può avvenire senza inconvenienti anche in mancanza di segnale, essendo sufficienti e idonee a regolarla le norme de codice della strada, e non è – perciò – possibile affermare su questa base la responsabilità della detta amministrazione per i danni conseguenti alla collisione. La paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente, sicché, in difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l’esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni. Ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 930
In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore, l’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada che agisca ai sensi dell’articolo 29 della legge n. 990 del 1969 (applicabile ratione temporis) non è soggetta al termine di prescrizione biennale, applicabile all’azione risarcitoria spettante al danneggiato della circolazione stradale, perché il suo diritto non è condizionato e non deriva dal diritto del danneggiato al risarcimento dei danni, ma trova il suo fondamento nella suddetta azione specifica, prevista dalla legge, che è soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale. (

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 917
Il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici.

Cass. civ., 12 gennaio 2017 n. 604
In caso di irrogazione di sanzioni amministrative, la Banca d’Italia, anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia, ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, a esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno.

Cass. civ., 10 gennaio 2017 n. 260
Le scarpate delle strade statali, provinciali e comunali al pari dei fossi e delle banchine a esse latistanti devono considerarsi parti delle strade medesime e perciò soggette allo stesso loro regime di demanialità, in forza della presunzione iuris tantum posta dall’articolo 22 della legge n. 2248 del 1865, allegato F, e, per effetto del rapporto pertinenziale in cui si trovano con la sede stradale, quali elementi accessori la cui situazione statica è fattore determinante dell’agibilità della strada. In materia di responsabilità ex articolo 2051 del Cc la custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada non è limitata alla sola carreggiata, ma si estende anche agli elementi accessori e pertinenze. Per assicurare la sicurezza degli utenti, la Pa, quale proprietaria delle strade pubbliche, ha l’obbligo di provvedere alla relativa manutenzione nonché di prevenire e, se del caso, segnalare qualsiasi situazione di pericolo o di insidia, inerente non solo alla sede stradale ma anche alla zona non asfaltata sussistente ai limiti della medesima. Indipendentemente dalla questione dell’appartenenza della zona corrispondente al ciglio erboso l’esistenza dello scalino tra carreggiata e ciglio erboso occultato dalla folta vegetazione costituisce pericolo occulto, non specificamente segnalato, rispetto al quale si estendono gli obblighi di manutenzione della pubblica amministrazione.

Cass. civ., 10 gennaio 2017 n. 258
In tema di responsabilità civile dei magistrati, ai sensi dell’articolo 4, comma 2, della legge n. 117 del 1988, nella versione applicabile a tutte le fattispecie anteriori al 19 marzo 2015 e, cioè, all’entrata in vigore della legge n. 18 del 2015, l’azione di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie è tardiva se proposta decorsi i due anni dalla data della sentenza di Cassazione. La legge n. 117 del 1988, nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla legge n. 18 del 2015, si applica a tutte le ipotesi di azioni risarcitorie per danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati, intraprese prima dell’entrata in vigore di quest’ultima legge, senza che residuino ipotesi di applicabilità del rito ordinario di cognizione e di responsabilità dello Stato per i medesimi danni fondate sulla norma generale di cui all’articolo 2043 del codice civile.

Cass. civ., 10 gennaio 2017 n. 238
La perdita di una persona cara implica necessariamente una sofferenza morale, la quale non costituisce un danno autonomo, ma rappresenta un aspetto – del quale tenere conto, unitamente a tutte le altre conseguenze, nella liquidazione unitaria e omnicomprensiva – del danno non patrimoniale. Deriva da quanto precede, pertanto, che è inammissibile, costituendo una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione, al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito costituente reato, del risarcimento a titolo di danno da perdita del rapporto parentale e del danno morale (inteso quale sofferenza soggettiva, ma che in realtà non costituisce che un aspetto del più generale danno non patrimoniale). L’unitarietà non esclude, peraltro, una separata considerazione dei vari effetti del danno, ma esige che tutte le componenti siano valutate, sia pure una sola volta, in modo complessivo. In particolare ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di persona cara, costituisce indebita duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale – non altrimenti specificato – e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita, e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita, altro non sono che componenti del complesso pregiudizio che va integralmente, ma unitariamente ristorato.

DIRITTO DEL LAVORO E PREVIDENZA SOCIALE

Cass. civ., 20 febbraio 2017 n. 4315
È legittimo il licenziamento di una dipendente che violi reiteramente gli obblighi di diligenza e correttezza nell’esecuzione della prestazione lavorativa anche se affetta da una invalidità parziale.

Cass. civ., 16 febbraio 2017 n. 4125
Non integra giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento la condotta del lavoratore che denunci all’autorità giudiziaria o all’autorità amministrativa competente fatti reato o illeciti amministrativi commessi dal datore di lavoro, a meno che non risulti il carattere calunnioso della denuncia o la consapevolezza dell’insussistenza dell’illecito, e sempre che il lavoratore si sia astenuto da iniziative volte a dare pubblicità a quanto portato a conoscenza delle autorità competenti.

Cass. civ., 16 febbraio 2017 n. 4118
Nel rito introdotto dalla legge 92/2012 (cosiddetto rito Fornero) è ammissibile la proposizione in via subordinata, da parte del lavoratore, delle domande di pagamento del Tfr e dell’indennità di mancato preavviso, in quanto nascenti dalla cessazione del rapporto e quindi fondate su fatti costitutivi già dedotti, sicché il relativo esame non comporta un indebito ampliamento del tema sottoposto a decisione ed evita il frazionamento dei processi o pronunce in mero rito, permettendo, al contrario, che un’unica vicenda estintiva del rapporto di lavoro dia luogo a un unico processo.

Cass. civ., 15 febbraio 2017 n. 4015
Ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non è necessario un andamento economico negativo dell’azienda, ma sono sufficienti ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, ivi comprese quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero a un incremento della redditività dell’impresa, purché idonee a determinare un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo. Ove il recesso sia stato motivato con riferimento a fatti specifici, gli stessi dovranno essere provati dal datore di lavoro.

Cass. civ., 14 febbraio 2017 n. 3860
Sono valide ed efficaci le dimissioni rassegnate dal dipendente nel corso di trattative per la cessione agli altri soci delle sue quote di partecipazione alla società, nel quadro di un progetto unitario di uscita del lavoratore dalla società. Non può applicarsi l’istituto della presupposizione per qualificare il collegamento negoziale con la cessione della quota sociale, in quanto quest’ultima non rappresenta un presupposto obiettivo, ma un evento il cui verificarsi è rimesso alla volontà delle parti e le dimissioni costituiscono un atto unilaterale recettizio che non può essere sottoposto a una condizione risolutiva meramente potestativa.

Cass. civ., 14 febbraio 2017 n. 3855
Lo scarso rendimento del dipendente non può essere di per sé dimostrato da plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, poiché ciò comporterebbe una illegittima sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite, in violazione del divieto di esercitare due volte il potere disciplinare per lo stesso fatto sotto il profilo di una sua diversa valutazione o configurazione giuridica.

Cass. civ., 14 febbraio 2017 n. 3854
In caso di omissione contributiva, il lavoratore può chiedere la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali in favore dell’ente previdenziale solo se quest’ultimo sia parte nel medesimo giudizio, restando esclusa, in difetto, l’ammissibilità della pronuncia in quanto la condanna a favore del terzo non è ammessa nel nostro ordinamento fuori dai casi espressamente previsti. Il principio trova applicazione non solo nel sistema dell’assicurazione generale obbligatoria, ma anche per i contributi e le prestazioni obbligatorie disciplinate dai regolamenti degli enti previdenziali privatizzati.

Cass. civ., 13 febbraio 2017 n. 3739
L’impossessamento da parte del lavoratore di documenti aziendali di natura riservata implica violazione dell’obbligo di fedeltà anche nell’ipotesi in cui la divulgazione non avvenga, perché impedita dall’immediato intervento del datore di lavoro. Il prestatore deve infatti astenersi dal compiere non solo gli atti espressamente vietati, ma anche quelli che, per la loro natura e per le possibili conseguenze, risultano in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella compagine aziendale, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro, potenzialmente produttiva di danno.

Cass. civ., 9 febbraio 2017 n. 3468
Il dirigente di un’azienda sottoposta ad una indagine per bancarotta non può essere licenziato, con la motivazione della rottura del vincolo di fiducia, per via di dichiarazioni lesive della reputazione della società comparse sotto forma di intervista su di un quotidiano nazionale, se il giornalista le ha autonomamente estrapolate dalle dichiarazioni rese al Pubblico ministero.

Cass. civ., 31 gennaio 2017 n. 2510
Il cosiddetto spoils system è legittimo solo in relazione agli incarichi dirigenziali apicali, che non attengono a una semplice attività di gestione.

Cass. civ., 31 gennaio 2017 n. 2499
Va considerato illegittimo, in quanto ritorsivo, il licenziamento di un dipendente assunto a tempo indeterminato a seguito di una vertenza giudiziaria, per aver pubblicato su una chat privata di Facebook, nella quale i lavoratori si scambiavano informazioni sull’incontro sindacale per il rinnovo del contratto integrativo, una immagine raffigurante un coperchio di vasellina cui era sovrapposto un disegno ed il marchio Gucci.

Cass. civ., 30 gennaio 2017 n. 2239
Ai fini della violazione dell’obbligo di non concorrenza non è necessario acquisire la prova di comportamenti illeciti del dipendente, né tanto meno di un tentativo di sviamento della clientela, bastando a integrare la violazione dell’obbligo di fedeltà la mera attività del lavoratore di trattazione di affari in concorrenza, per conto proprio o di una impresa terza. L’azione di responsabilità fondata sulla violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’articolo 2015 del Cc ha infatti natura autonoma rispetto all’azione per concorrenza sleale; la prima ha carattere contrattuale e oggetto ampio, abbracciando ogni attività concorrenziale e non soltanto quelle costituenti illecito aquiliano ai sensi dell’articolo 2598 del Cc; la seconda configura un illecito extracontrattuale tipizzato, che può concorrere con la prima, ma non condizionarne la sussistenza.

Cass. civ., 27 gennaio 2017 n. 2140
Nella disciplina del pubblico impiego contrattualizzato, il concetto di equivalenza delle mansioni è formale, cioè ancorato a una valutazione demandata ai contratti collettivi. Ne segue che condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito in una precedente fase del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.

Cass. civ., 26 gennaio 2017 n. 2006
Non è possibile introdurre nella fase di appello una nuova causa petendi rispetto a quella indicata in primo grado, poiché in questo modo si modificherebbe, ampliandolo, il thema decidendum, alterando l’oggetto sostanziale della domanda e i termini della controversia

Cass. civ., 26 gennaio 2017 n. 2004
E’ illegittimo il licenziamento della donna in stato di gravidanza che veda trasferire la propria sede di lavoro a centinaia di chilometri di distanza e non si presenti presso la nuova struttura.

Cass. civ., 26 gennaio 2017 n. 2000
Il comma 13 dell’articolo 21 del Ccnl 5 dicembre 1996, area dirigenza medica e veterinaria (che dispone il pagamento delle ferie nel solo caso in cui, all’atto della cessazione del rapporto, risultino non fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dirigente) va interpretato in modo conforme al principio di irrinunciabilità delle ferie, di cui all’articolo 36 della Costituzione, di guisa che si applica solo nei confronti dei dirigenti titolari del potere di attribuirsi il periodo di ferie senza ingerenze da parte del datore di lavoro e non anche nei confronti dei dirigenti privi di tale potere.

Cass. civ., 16 gennaio 2017 n. 856
Non può essere licenziato, con la motivazione di aver abbandonato il posto di lavoro, il cardiologo che durante il turno di notte non risponda al cercapersone, ma che il mattino seguente passi regolarmente le consegne al collega.

Cass. civ., 13 gennaio 2017 n. 800
La reintegrazione in servizio del lavoratore illegittimamente licenziato deve avvenire nel luogo e nelle mansioni originarie. Il successivo trasferimento ad altra unità produttiva è possibile solo se giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive; con la conseguenza che, al di fuori di tali condizioni, il trasferimento integra un inadempimento contrattuale e giustifica, sia quale attuazione dell’eccezione di inadempimento sia in considerazione dell’inidoneità a produrre effetti da parte degli atti nulli, il rifiuto del dipendente ad assumere servizio nella sede diversa alla quale sia stato destinato. La cartella di pagamento con la quale l’ente previdenziale fa valere un credito contributivo non è un atto esecutivo ma preannuncia l’esercizio dell’azione esecutiva ed è, pertanto, parificabile al precetto; ne consegue che la sua notificazione all’erede in pendenza della procedura di liquidazione dell’eredità con beneficio di inventario non cade nel divieto previsto dall’articolo 506 del Cpc, che vieta le procedure esecutive dopo la pubblicazione prescritta dal comma 3 dell’articolo 498 del codice civile.

Cass. civ., 13 gennaio 2017 n. 799
In ipotesi di licenziamenti intimati nel vigore del comma 2 dell’articolo 2 della legge 604/1966, prima della novella di cui alla legge 92/2012, se il lavoratore non ha chiesto la specificazione dei motivi del licenziamento questi possono essere precisati in sede giudiziaria dal datore di lavoro. In ipotesi di licenziamento per superamento del periodo di comporto, in particolare di un dipendente di una fondazione musicale, ai sensi del combinato disposto degli articoli 21 e 25 del Ccnl delle fondazioni liriche e sinfoniche e conformemente ai canoni di cui agli articoli 1363 e 1371 del Cc, anche il decorso del termine cosiddetto esterno del periodo di comporto è sospeso durante i periodi di aspettativa o di ferie del lavoratore.

Cass. civ., 13 gennaio 2017 n. 798
In materia di sicurezza sul luogo di lavoro, ai sensi tanto dell’articolo 2087 del Cc quanto dell’articolo 7 del Dlgs 626/1994 (applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame) che disciplina l’affidamento di lavori in appalto all’interno dell’azienda, il committente nella cui disponibilità permanga l’ambiente di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell’impresa appaltatrice, misure che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l’appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata. In tema di infortuni sul lavoro e di cosiddetto “rischio elettivo”, premesso che la ratio di ogni normativa infortunistica è proprio quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, creando egli stesso condizioni di rischio estraneo a quello connesso alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno da parte del lavoratore, l’eventuale suo coefficiente colposo nel determinare l’evento è irrilevante sia sotto il profilo causale sia sotto quello dell’entità del risarcimento dovuto. (

Cass. civ., 12 gennaio 2017 n. 620
Nell’ambito della disciplina prevista per le fondazioni musicali, il rapporto che lega il sovrintendente all’ente lirico, così come disciplinato dall’articolo 3 del Dl 374/1987 e, successivamente, dall’articolo 13 della legge 367/1996, non presuppone (né esclude astrattamente) la configurabilità di una rapporto di lavoro a contenuto dirigenziale.

Cass. civ., 12 gennaio 2017 n. 615
L’ipotesi nella quale sia stato accertato il diritto all’assunzione quale direttore generale di un ente pubblico economico di un concorrente alla selezione, in luogo del vincitore della stessa, costituisce giusta causa di licenziamento di quest’ultimo, poiché non possono esservi due soggetti in servizio per la copertura dello stesso posto in organico. Si tratta di ipotesi di assoluta impossibilità di prosecuzione della prestazione, connesse a fatti esterni al rapporto di lavoro e non a inadempimenti del lavoratore, che trovano comunque la loro collocazione nell’area della giusta causa di recesso.

Cass. civ., 11 gennaio 2017 n. 475
Il licenziamento intimato in violazione delle norme a tutela della maternità è nullo, con la conseguenza che il rapporto va considerato come mai interrotto e che la lavoratrice ha diritto alla riammissione in servizio e alle retribuzioni medio tempore maturate.

Cass. civ., 10 gennaio 2017 n. 293
Il comma 1 dell’articolo 29 del Ccnl comparto Regioni e autonomie locali del 14 settembre 2000 va interpretato nel senso che l’accesso alla procedura semplificata di cui alle lettere b) e c) è consentito nei soli casi in cui vi è stato effettivo e continuativo esercizio di funzioni di coordinamento e controllo propri della sesta qualifica funzionale nell’ambito di posti istituiti (cioè esistenti in pianta organica) prima dell’entrata in vigore del Dpr 268/1987 ed è impedito, di contro, nell’ipotesi in cui si tratti di posti istituiti successivamente a tale data.

Cass. civ., 10 gennaio 2017 n. 284
Illegittimo il licenziamento quando sia basato sul superamento del periodo di comporto e non tenga conto, però, delle prestazioni rese al mattino in funzione del nuovo contratto a tempo parziale.

Cass. civ., 9 gennaio 2017 n. 217
In applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte a proposito della configurazione del ripristino dell’incarico dirigenziale come una forma di tutela attribuibile da parte del giudice ordinario in favore dei dirigenti pubblici che siano stati privati, in tutto o in parte, delle loro mansioni per effetto di un illegittimo provvedimento della Pa datrice di lavoro, il suddetto ripristino – non necessariamente riferito all’incarico originario e comunque da limitare alla durata originariamente pattuita, con detrazione del periodo già trascorso – può essere disposto dal giudice ordinario, senza che eventuali sopravvenute modifiche organizzative adottate dall’ente datore di lavoro possano impedire una simile pronuncia, laddove sia stato accertato che la privazione delle mansioni maggiormente caratterizzanti l’incarico dirigenziale conferito non sia avvenuta per effetto dell’adozione da parte della Pa di un provvedimento di revoca – in ipotesi illegittimo, ma comunque espresso e motivato – ma a causa di una riorganizzazione aziendale la quale, pur lasciando integri formalmente i compiti affidati al dirigente, di fatto li abbia ridotti a quelli relativi agli interventi di carattere routinario.

Cass. civ., 5 gennaio 2017 n. 160
L’onere della prova circa l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza (cosiddetto repêchage) è a carico della parte datoriale, con esclusione di ogni incombenza, anche solo in via mediata, a carico del lavoratore. Questi, infatti, non ha accesso al quadro complessivo della situazione aziendale per verificare come e dove potrebbe essere riallocato, mentre il datore di lavoro ne dispone agevolmente, sicché è anche più vicino alla concreta possibilità della relativa allegazione e prova.

Cass. civ., 4 gennaio 2017 n. 74
La fattispecie giuridica del mobbing rientra fra le situazioni potenzialmente dannose e non normativamente tipizzate, che designa un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di una lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo. Il comportamento vessatorio di colleghi di lavoro può integrare una condotta di mobbing datoriale, ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo o delle condizioni ambientali che rendono possibile o le abbia addirittura determinate. L’elemento soggettivo dell’intento persecutorio unificante i comportamenti lesivi non necessita di una dimostrazione ab intrinseco, ma può desumersi anche ab extrinseco dall’uso abnorme del potere direttivo e dalle altre circostanze del caso concreto, quando possa evincersi che esso è indirizzato a un fine diverso da quello tutelato dalla norma, assumendo quindi carattere di illiceità

Cass. civ., 4 gennaio 2017 n. 67
In materia di licenziamenti collettivi, l’articolo 4 della legge 223/1991, prevedendo al comma 9 (nella versione anteriore alla modifica introdotta con la legge 92/2012) che la comunicazione agli organi pubblici e alle organizzazioni sindacali debba avvenire contestualmente alla comunicazione dei recessi, non ha inteso richiamare il datore di lavoro all’attuazione di un’esigenza di simultaneità ovvero di assoluta coincidenza temporale, potendo ritenersi osservato il parametro della contestualità anche nell’ipotesi in cui la comunicazione agli organi pubblici e alle organizzazioni sindacali risulti successiva a quella di recesso, purché l’intervallo temporale così realizzatosi tra di esse risulti contenuto e comunque tale da consentire al lavoratore di disporre, nella sua sostanziale interezza, del termine assegnato a pena di decadenza per l’impugnazione del licenziamento.

Cass. civ., 4 gennaio 2017 n. 65
Il lavoratore in malattia evita il licenziamento se si allontana dal domicilio comunicandolo preventivamente al datore. Non può, invece, sottoporsi il giorno successivo alla visita fiscale a controlli che accertino come il giorno prima stesse effettivamente in malattia. In questo caso la rottura con l’azienda è inevitabile.

Cass. civ., 3 gennaio 2017 n. 50
In materia di sanzioni disciplinari, l’articolo 7 della legge 300/1970 non prevede un obbligo del datore di lavoro di mettere spontaneamente a disposizione del lavoratore la documentazione posta a base di una contestazione disciplinare; egli, tuttavia, deve offrirgliela in visione, in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, qualora l’incolpato ne faccia richiesta e l’esame dei documenti sia necessario per una adeguata difesa.

Cass. civ., 3 gennaio 2017 n. 46
Il patto di conglobamento, nei compensi corrisposti per le prestazioni lavorative, di corrispettivi ulteriormente dovuti al lavoratore subordinato per legge o per contratto (quali la tredicesima mensilità, il compenso per le ferie e per le festività), può essere ammesso solo nell’ambito di un rapporto di lavoro legittimo, qualificato sin dall’inizio come subordinato; rispetto al quale, pertanto, può concepirsi un controllo sul contenuto dell’accordo rispetto alle successive evoluzioni e alla concreta attuazione del medesimo rapporto di lavoro subordinato. Ne deriva che, in mancanza di specificazioni sui titoli ricompresi nel patto medesimo, opera la presunzione secondo la quale il compenso stabilito appare dovuto quale corrispettivo della sola prestazione ordinaria. Diversa soluzione si impone quando il rapporto sia stato qualificato ab origine come autonomo con conversione ope iudicis in lavoro subordinato, e il diritto del lavoratore alla retribuzione tragga origine esclusivamente dalla previsione del contratto collettivo di categoria in relazione al livello riconosciuto e, non più, dal contratto individuale formalmente intercorso tra le parti. In questo caso, viene in considerazione solo il criterio dell’assorbimento, imperniato sul trattamento globale più favorevole tra quello di fatto goduto e quello spettante sulla base dei minimi contrattuali, con conseguente imputazione alla competenze indirette degli emolumenti eccedenti i primi; criterio che può porre la necessità di operare soltanto un raffronto, per la differente qualificazione delle voci di compenso, fra il percepito e il dovuto, globalmente inteso, senza che sia concepibile un controllo sui differenti titoli

FALLIMENTO E ALTRE PROCEDURE CONCURSUALI

Cass. civ., 12 gennaio 2017 n. 611
In tema di presupposti dimensionali per l’esonero dalla fallibilità dell’imprenditore commerciale, nella valutazione del capitale investito, ai fini del riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore, trovano applicazione i principi contabili, cui si richiama il legislatore nell’articolo 1, comma 2, lettera a), della legge fallimentare (nel testo modificato dal decreto legislativo n. 5 del 2006, e anche successivamente in quello sostituito dal decreto legislativo n. 169 del 2007) e di cui è espressione l’articolo 2424 del Cc, con la conseguenza che, con riferimento agli immobili, iscritti tra le poste attive dello stato patrimoniale, opera – al pari che per ogni altra immobilizzazione materiale – il criterio di apprezzamento del loro costo storico al netto degli ammortamenti, quale risultante dal bilancio di esercizio, ai sensi dell’articolo 2426, numeri 1 e 2, del Cc, e non il criterio del valore di mercato al momento del giudizio. Quanto precede è conforme alla volontà espressa dal legislatore diretta a sostituire il parametro alquanto vago e di incerta definizione dell’ammontare degli investimenti, con quello dell’attivo patrimoniale, il quale consente di fare riferimento alla precisa elencazione contenuta nell’articolo 2424 del Cc e trova conforto nella differente enunciazione dell’articolo 1, lett. b), della legge fallimentare, là dove precisa in qualunque modo risulti solo con riferimento ai ricavi.

Cass. civ., 12 gennaio 2017 n. 601
L’accertamento del requisito di fallibilità di cui all’articolo 1, comma 2, lett. c), della legge fallimentare, va compiuto procedendo alla valutazione dell’esposizione complessiva dell’imprenditore, nella quale deve tenersi conto non solo dei debiti già sorti e appostati al passivo del bilancio, ma anche di quelli ulteriori, contestati in tutto o in parte, e ancora sub iudice. Tale circostanza, infatti non ne impedisce di per sé sola l’inclusione nel computo dell’indebitamento – rilevante quale dato dimensionale dell’impresa per stabilirne l’assoggettabilità al fallimento – in quanto attiene a un dato oggettivo che non dipende dall’opinione del debitore al riguardo e, al pari di ogni altro presupposto della dichiarazione di fallimento, non si sottrae alla valutazione del giudice chiamato a decidere dell’apertura della procedura concorsuale.

PROCEDURE ESECUTIVE

Cass. civ., 31 gennaio 2017 n. 2333
In tema di espropriazione contro il terzo, nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 del Cpc instaurato contro gli atti preesecutivi o contro gli atti esecutivi, si configura sempre litisconsorzio necessario iniziale fra il creditore, il debitore diretto e il terzo proprietario.

Cass. civ., 27 gennaio 2017 n. 2044
In una espropriazione immobiliare, il superamento del termine fissato dal giudice dell’esecuzione – o dal professionista delegato – per produrre la prova del titolo o del privilegio comporta l’esclusione dal progetto di distribuzione.

Cass. civ., 10 gennaio 2017 n. 268
Il potere di sospendere la vendita, attribuito dall’articolo 586 del Cpc (nel testo novellato dall’articolo 19-bis della legge n. 203 del 1991) al giudice dell’esecuzione dopo l’aggiudicazione perché il prezzo offerto è notevolmente inferiore a quello giusto, può essere esercitato allorquando: a) si verifichino fatti nuovi successivi all’aggiudicazione; b) emerga che nel procedimento di vendita si siano verificate interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; c) il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l’aggiudicazione; d) vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all’aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti prima di essa, purché costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l’esercizio del potere del giudice dell’esecuzione. Deriva da quanto precede, pertanto, che è del tutto irrilevante il valore di mercato dell’immobile aggiudicato, ai fini dell’esercizio del potere di sospensione della vendita – ai sensi dell’articolo 586 del Cpc – laddove non siano intervenuti fattori tali da alterare il procedimento legale previsto per l’individuazione del prezzo di aggiudicazione, ovvero si siano verificati fatti successivi alla stessa aggiudicazione (ovvero fatti preesistenti ma non conosciuti in precedenza).

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE

Cass. civ., 23 febbraio 2017 n. 4674
Anche l’Iva sul compenso del professionista rientra tra le spese processuali che la parte soccombente è tenuta a rimborsare. E ciò anche se la parte risultata vincitrice possa poi portarla in detrazione.

Cass. civ., 22 febbraio 2017 n. 4545
Se non tempestivamente impugnato, il decreto di liquidazione del compenso per la Ctu assume valore di cosa giudicata per cui, in sede di opposizione al precetto, la parte intimata non può chiedere che ne vengano valutati i profili di merito.

Cass. civ., 21 febbraio 2017 n. 4374
La notificazione della sentenza eseguita alla controparte personalmente anziché al procuratore costituito, è inidonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione sia nei confronti del notificante che del destinatario.

Cass. civ., 14 febbraio 2017 n. 3894
L’articolo 182, primo comma, del Cpc va interpretato nel senso che il giudice che rilevi l’omesso deposito della procura speciale alle liti, di cui all’articolo 83, terzo comma, del Cpc, enunciata ma non rinvenuta negli atti della parte, è tenuta a invitare quest’ultima a produrre l’atto mancante. Tale invito può essere fatto in qualsiasi momento, anche in sede di appello, e solo se infruttuoso il giudice deve dichiarare invalida la costituzione della parte in giudizio.

Cass. civ., 12 febbraio 2017 n. 3702
È nulla la notifica dell’appello al difensore della controparte che nel frattempo si sia cancellato dall’albo. A tale nullità consegue la nullità della sentenza di secondo grado ma non il passaggio in giudicato della decisione di primo grado. Non solo, il termine di impugnazione resta congelato sino alla nomina di un nuovo difensore.

Cass. civ., 25 gennaio 2017 n. 1925
Non è inammissibile, in quanto di «infimo valore», l’appello di Telecom Italia contro la sentenza del giudice di pace che l’ha condannata a restituire ad un cliente la somma di 0,11 euro, pari all’Iva applicata sulle tariffe postali di spedizione della fattura.

Cass. civ., 19 gennaio 2017 n. 1297
L’articolo 360, comma 1, n. 5, del Cpc, riformulato dall’articolo 54 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Deriva da quanto precede, pertanto, che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli articoli 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, del Cpc, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Cass. civ., 19 gennaio 2017 n. 1296
Il concetto di conoscenza della causa come magistrato in altro grado del processo (di cui all’articolo 51, comma 1, n. 4, del Cpc) deve intendersi riferito alla sola ipotesi in cui il giudice abbia partecipato alla decisione del merito della controversia e non si sia invece limitato al compimento di attività istruttoria, priva come tale di contenuto decisorio. Anche a seguito della modifica dell’articolo 111 della Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 1999, in difetto di ricusazione la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice che abbia già conosciuto della causa in altro grado del processo (articolo 51, primo comma, n. 4, del Cpc) non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacché la norma costituzionale, nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l’imparzialità e terzietà del giudice) ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell’ipotesi anzidetta, l’imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell’astensione e della ricusazione. Detti istituti, cui si aggiunge quello dell’impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, inoltre, non possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la quale, sotto l’ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell’imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato articolo 111 della Costituzione. Il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’articolo 360 del Cpc – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza.

Cass. civ., 19 gennaio 2017 n. 1292
Il ricorso straordinario proposto avverso un’ordinanza finalizzata alla prosecuzione del processo, che non assume alcun carattere decisorio e non può qualificarsi definitiva, concretizza un vero e proprio abuso del processo in quanto la sua proposizione ha indotto il sistema giurisdizionale a un dispendio inutile di tempi e energie, e giustifica la condanna – ex officio – del ricorrente al pagamento della sanzione di cui all’articolo 96, comma 3, del Cpc in favore di ciascuno dei controricorrenti.

Cass. civ., 19 gennaio 2017 n. 1287
In tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo e il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità.

Cass. civ., 19 gennaio 2017 n. 1274
Il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico fenomenica, e non anche l’omesso esame di determinati elementi probatori, essendo sufficiente che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario dare conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti. Il vizio di motivazione, infatti, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio

Cass. civ., 19 gennaio 2017 n. 1273
In tema di ricorso per cassazione il requisito prescritto al n. 6 dell’articolo 366 del Cpc deve essere comunque rispettato anche in ipotesi di denuncia di error in procedendo ex articolo 112 del Cpc, giacché, pur divenendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare a ogni altra questione si prospetta quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto. Deriva da quanto precede, pertanto, che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicché esclusivamente nell’ambito di questa valutazione la Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 943
La titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda e attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla. Diversamente, il difetto di legittimatio ad causam, attenendo alla verifica, sempre secondo la prospettazione offerta dall’attore, della regolarità processuale del contraddittorio, è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 925
In una causa per responsabilità professionale, l’avvocato che voglia essere manlevato dal proprio assicuratore, è tenuto a reiterare in appello la specifica domanda presentata in primo grado. La mancata riproposizione della domanda, infatti, deve intendersi come rinuncia alla stessa da parte del professionista.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 923
Le questioni esaminabili di ufficio che abbiano formato oggetto, nel corso del giudizio di primo grado, di una ben precisa domanda (o eccezione) non possono più esser riproposte nei gradi successivi del giudizio (sia pur sotto il profilo della sollecitazione dell’organo giudicante a esercitare il proprio potere di rilevazione ex officio) qualora la decisione (o l’omessa decisione) di tali questioni da parte del primo giudice non abbia formato oggetto di specifica impugnazione, per essersi ormai verificata una preclusione processuale (derivante da giudicato cosiddetto “interno”) che il giudice dei gradi successivi deve indefettibilmente rilevare. Tale principio trova applicazione anche con riguardo all’ipotesi di nullità contrattuale la quale – altrimenti – nel giudizio di appello e in quello di cassazione è sempre rilevabile d’ufficio qualora tale rilievo officioso sia mancato nei precedenti gradi.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 922
Mentre la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’articolo 2697 del Cc – configurabile solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma – integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3 Cpc, la censura che investe la valutazione della prova (attività, invece, regolata dagli articoli 115 e 116 del Cpc) può essere fatta valere ai sensi del n. 5 del medesimo articolo 360 del Cpc.

Cass. civ., 17 gennaio 2017 n. 920
A norma dell’articolo 170 del Cpc dopo la costituzione delle parti in giudizio, tutte le notificazioni e comunicazioni si fanno – salvo che la legge non disponga diversamente – al procuratore costituito e nel suo domicilio, senza necessità che la parte abbia eletto domicilio presso di lui. L’articolo 82, del regio decreto n. 37 del 1934 integra il contenuto precettivo dell’articolo 170 del Cpc stabilendo che i procuratori esercenti il proprio ufficio al di fuori della circoscrizione del tribunale cui sono assegnati, devono, all’atto della costituzione, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’ufficio giudiziario adito, intendendosi altrimenti il domicilio eletto presso la cancelleria di detto ufficio. Tale norma non è applicabile quando il procuratore sia iscritto nell’albo del medesimo tribunale nella cui circoscrizione si svolge il giudizio. In questo ultimo caso l’eventuale elezione di domicilio assume il valore di mera indicazione del luogo in cui ha sede lo studio del procuratore e non richiede, quindi, necessariamente la specificazione dell’indirizzo, dovendo le notificazioni essere effettuate, in mancanza, non già presso la cancelleria del giudice adito, bensì nel luogo – risultante dall’albo professionale – ove il procuratore ufficialmente risiede in ragione del suo ufficio, a norma degli articoli 10 e 17, comma 1, n. 7, del regio decreto legge n. 1578 del 1933. In particolare l’accertamento del domicilio professionale, in quanto essenziale alla validità e all’astratta efficacia della richiesta di notifica, costituisce un adempimento preliminare che non può che essere a carico del notificante ed essere soddisfatto altrimenti che con il previo riscontro di esso presso l’albo professionale, che rappresenta la fonte legale di conoscenza del domicilio degli iscritti e nel quale il procuratore ha l’obbligo di fare annotare i mutamenti della sua sede.

Cass. civ., 13 gennaio 2017 n. 791
È inammissibile il ricorso per revocazione di una sentenza della Corte di cassazione che deduca l’omesso esame di atti difensivi asseritamente contenenti argomentazioni giuridiche non valutate dalla Corte, trattandosi di un profilo processuale non rientrante nell’ipotesi tipica di errore di fatto revocatorio di cui all’articolo 395, n. 4, del Cpc e dedotto al solo fine di sostenere la non condivisibilità della soluzione offerta, in diritto, dalla corte di legittimità. L’errore che può dare luogo alla revocazione – infatti – non può mai cadere, per definizione, sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, sia perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono fatti, ai sensi dell’articolo 395, n. 4, del Cpc, sia poiché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa e interpretativa del giudice.

Cass. civ., 13 gennaio 2017 n. 788
La violazione del giudicato, asseritamente formatosi prima dell’instaurazione del giudizio definito della sentenza della Corte d’appello, non può costituire la base del ricorso per cassazione avverso la sentenza nella quale la relativa questione non risulti essere stata prospettata. Ove l’asserito antecedente giudicato, infatti, non sia stato eccepito nel giudizio a quo, l’unico rimedio esperibile avverso la sentenza che si assume in contrasto con esso è la revocazione.

Cass. civ., 12 gennaio 2017 n. 637
Equitalia non è legittimata a chiamare in causa anche l’ente impositore in relazione a una cartella esattoriale quando sia stato commesso un errore da parte dell’amministrazione nella formazione del ruolo. In linea di principio non può essere accolta la richiesta di Equitalia di chiamare in causa anche un comune del maceratese in qualità di ente impositore, a cui si sarebbe dovuta imputare una responsabilità legata alla mancata specificazione dei verbali di infrazione posti a fondamento delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada. L’articolo 360 del cpc, infatti, come riformato dalla legge 134/2012 non consente ricorsi che non riguardino un fatto decisivo per il giudizio e certamente non rientra nella previsione normativa la richiesta di una corresponsabilità.

Cass. civ., 12 gennaio 2017 n. 612
AI fini della specificità dei motivi richiesta dall’articolo 342 del Cpc, l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell’appello, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice.

Cass. civ., 11 gennaio 2017 n. 502
Si deve considerare nulla la decisione quando manchi la notifica dell’avviso di discussione orale della causa.

Cass. civ., 11 gennaio 2017 n. 415
In ipotesi di ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello ex articolo 348-bis, comma 1, Cpc, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado – ai sensi dell’articolo 348-ter , comma 3, del Cpc deve essere proposto nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza (o dalla notificazione della stessa, se anteriore), essendo applicabile il termine lungo di cui all’articolo 327 del Cpc unicamente nell’eventualità sia stata omessa sia la comunicazione (dell’ordinanza) sia la sua notificazione. Deriva da quanto precede, pertanto, che il ricorrente, al fine di dimostrare la tempestività del ricorso proposto oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza ha l’onere di allegare sia l’assenza di comunicazione, potendo questa ultima avvenire sin dallo stesso giorno della pubblicazione, sia la mancata notificazione, affermando di usufruire del termine lungo.

DIRITTO E PROCEDURA PENALE

Cass. pen., 24 febbraio 2017 n. 9154
Le violenze fisiche e morali da parte del padre nei confronti della figlia non possono mai rientrare in una scelta educativa, ma integrano sempre il reato di maltrattamenti in famiglia.

Cass. pen., 16 febbraio 2017 n. 7484
In caso di opera d’ingegno progettata da un ricercatore alle dipendenze di un istituto pubblico di ricerca, il corrispettivo pagato dal privato destinatario dell’attività di ricerca e di utilizzazione del brevetto spetta unicamente all’inventore, il quale, a sua volta, è tenuto a riversare nei confronti del suo ente di appartenenza una quota percentualmente prestabilita. Se tale quota non viene però versata, in capo al ricercatore non si configura il delitto di peculato, per via della mancanza del requisito della altruità del denaro appropriato, bensì un semplice inadempimento civilistico.

Cass. pen., 14 febbraio 2017 n. 6891
È legittimo il sequestro preventivo per il reato di abusivismo edilizio di quattro fabbricati residenziali in costruzione in una zona riclassificata dal Piano di assetto idrogeologico a rischio R4 (molto elevato), anche se il comune ha rilasciato il permesso di costruire.

Cass. pen., 10 febbraio 2017 n. 6378
In caso di investimento di un pedone, il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità solo allorquando si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile.

Cass. pen., 9 febbraio 2017 n. 6280
Il primario di un’Azienda sanitaria che si assenti in orario di lavoro senza timbrare l’uscita, per svolgere attività extramoenia, rischia comunque la condanna per truffa aggravata anche se alla Asl venivano comunicate le prenotazioni relative alla sua attività da libero professionista.

Cass. pen., 9 febbraio 2017 n. 6067
Al soggetto che partecipa all’associazione mafiosa va applicata senza dubbio la misura cautelare personale senza però che ciò comporti automaticamente anche la confisca. Le misure, quindi, di diversa natura devono restare ben distinte e soprattutto vanno opportunamente motivate.

Cass. pen., 8 febbraio 2017 n. 5745
Il reato di deposito incontrollato di rifiuti scatta anche se i materiali abbandonati sul terreno non siano pericolosi, ma vengano suddivisi in vari ed enormi cumuli.

Cass. pen., 6 febbraio 2017 n. 5439
Il responsabile dell’area tecnica di un comune non è penalmente sanzionabile per aver rilasciato un permesso di costruire illegittimo – in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico – se mancano le prove di «un concorso consapevole, o quantomeno colposo, nella condotta» o, comunque, una responsabilità omissiva nella realizzazione di opere illegittime.

Cass. pen., 1 febbraio 2017 n. 4852
Falso materiale in atto pubblico per il cittadino che si procuri due falsi bollettini e dichiari così non solo di aver pagato il canone Rai, ma anche le sanzioni dovute per la tardività dell’adempimento.

Cass. pen., 30 gennaio 2017 n. 4195
In tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il giudice per accertare il valore reale degli immobili da sottoporre a vincolo deve fare riferimento alle valutazioni di mercato degli stessi, avendo riguardo al momento in cui il sequestro viene disposto; con la conseguenza che può farsi riferimento al valore catastale soltanto quando non si abbia la disponibilità di elementi da cui desumere una diversa e più effettiva valutazione. Nell’ipotesi di illecito commesso da una pluralità di soggetti, deve applicarsi il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, implicante l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente anche sul piano delle misure sanzionatorie, per cui la confisca per equivalente del profitto illecito può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti per l’intera entità del profitto, fermo restando che l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l’ammontare complessivo del profitto, e salvo comunque l’eventuale riparto tra i concorrenti, che però costituisce fatto interno a questi ultimi e non ha alcun rilievo penale.

Cass. pen., 30 gennaio 2017 n. 4186
Nell’ipotesi di condanna del convivente per il reato di “maltrattamenti in famiglia” sulla base delle sole dichiarazioni del partner, l’obbligo di motivazione nel giudizio di appello non può ritenersi assolto attraverso il semplice richiamo alla sentenza di primo grado senza dunque chiarire nel merito le ragioni che hanno portato a disattendere le doglianze sollevate dall’imputato.

Cass. pen., 25 gennaio 2017 n. 3871
Il reato di cui all’articolo 1 della legge 19 aprile 1925 n. 475 prevede ipotesi di falsificazione di atti pubblici specificamente individuati (dissertazioni, studi, progetti tecnici e in genere lavori o elaborati che siano opera di altri), in occasioni delimitate (partecipazioni a concorsi per il conferimento di titoli scolastici o accademici, per l’abilitazione all’esercizio di professioni) e punisce, altresì, il conseguimento del risultato, concretizzato in un titolo pubblico ottenuto tramite l’inganno dei soggetti deputati a esprimere le necessarie valutazioni. Pertanto, tale ipotesi delittuosa costituisce legge speciale ex articolo 15 del Cp rispetto alla norma incriminatrice di cui all’articolo 479 del Cp, anche nell’ipotesi di cui all’articolo 48 del Cp, poiché di tale disposizione comprende tutte gli elementi, anche con riferimento ai pubblici ufficiali in ipotesi destinatari dell’attività decettiva, con la previsione di elementi specializzanti in ragione degli atti che ne costituiscono l’oggetto e del contesto di utilizzazione.

Cass. pen., 25 gennaio 2017 n. 3831
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’espressione «mezzi di sussistenza» di cui all’articolo 570, comma 2, numero 2, del Cp, esprime un concetto diverso dall’assegno di mantenimento stabilito dal giudice civile, essendo in materia penale rilevante solo ciò che è necessario per la sopravvivenza del familiare dell’obbligato nel momento storico in cui il fatto avviene. Pertanto il giudice, ai fini della responsabilità, non può limitarsi ad apprezzare l’omesso versamento dell’assegno stabilito in sede civile, dovendosi interrogare sugli effetti della condotta, ossia sull’eventuale venir meno dei mezzi di sussistenza dei familiari, e deve altresì verificare se la mancata corresponsione delle somme dovute non sia da attribuire a uno stato di indigenza assoluta da parte dell’obbligato, giacché in tal caso l’indisponibilità di mezzi, se accertata e verificatasi incolpevolmente, esclude il reato, valendo come esimente, purché si tratti di una situazione di persistente, oggettiva e incolpevole indisponibilità di introiti

Cass. pen., 25 gennaio 2017 n. 3818
Integra il delitto previsto dall’articolo 615-ter del Cp colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto violando le condizioni e i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l’ingresso nel sistema (Sezioni unite, 27 ottobre 2011, Casani): prescrizioni che, per un ufficiale di polizia giudiziaria (come nella specie l’imputato, chiamato a rispondere del reato per alcuni accessi “abusivi” nel sistema informatico SDI delle forze di polizia), possono trovare presupposto nell’esistenza di indagini in corso o nel disbrigo di accertamenti istituzionali, non certo nella richiesta informale di chi, per quanto investito a sua volta di funzioni pubblicistiche, si rivolga a lui come privato cittadino.

Cass. pen., 24 gennaio 2017 n. 3624
Se la difesa presenta delle confutazioni del quadro indiziario, il Tribunale del riesame non può confermare la misura cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di un indagato – nel caso, per coltivazione di cannabis – identificato unicamente in base ad una comparazione tra fermi immagini, estratti da videoriprese, e fotografie operata dalla polizia giudiziaria. In tema di riesame, non costituisce violazione dell’articolo 309, comma 5, del Cpp la circostanza che il pubblico ministero, selezionando gli atti da produrre a sostegno della richiesta di applicazione della misura cautelare, abbia trasmesso, in luogo della videoregistrazione del fatto oggetto di indagine, annotazioni di servizio in cui erano riportati i dati relativi a quanto videoregistrato, posto che all’accusa compete la direzione dell’inchiesta e la scelta degli atti su cui basare la richiesta della misura. In tema di intercettazioni telefoniche, qualora l’imputato contesti l’identificazione delle persone colloquianti, non è indispensabile disporre una perizia fonica per il relativo accertamento, ben potendo il giudice trarre il suo convincimento da altri elementi che consentano di risalire all’identità degli interlocutori, ivi compresi le dichiarazioni dagli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che hanno riferito sul riconoscimento delle voci, e tale valutazione si sottrae al sindacato di legittimità, se correttamente motivata.

Cass. pen., 23 gennaio 2017 n. 3324
Non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall’articolo 597 del Cpp il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore

Cass. pen., 23 gennaio 2017 n. 3323
In tema di furto, per poter ravvisare l’ipotesi di cui all’articolo 626, comma 1, numero 2, del Cp, del cosiddetto furto lieve per bisogno, è necessario che la cosa sottratta sia di tenue valore e sia effettivamente destinata a soddisfare un grave e urgente bisogno: a tal fine, non basta un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole, occorrendo, invece, una situazione di grave e indilazionabile bisogno alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa.

Cass. pen., 23 gennaio 2017 n. 3322
Nel caso di furto di merce nei supermercati che adottano il sistema del cosiddetto “self service”, è ravvisabile la circostanza aggravante dell’esposizione alla pubblica fede (articolo 625, comma 7, del Cp). Per escludere l’aggravante de qua, infatti, si richiede che sulla cosa venga esercitata una custodia continua e diretta, non essendo sufficiente quella vigilanza generica, saltuaria ed eventuale che, invece, caratterizza proprio i supermercati dove viene adottato il sistema del cosiddetto “self service”, dove il controllo degli addetti alla vigilanza è del tutto occasionale e/o a campione, mentre la funzione di controllo viene esercitata nel momento in cui il cliente si presenta alla cassa per il pagamento. Tale conclusione, del resto, è in linea con la ragione dell’aggravamento della pena previsto per la circostanza aggravante de qua, ravvisabile nella esigenza di apprestare una più energica tutela penale a quelle cose mobili che sono lasciate dal possessore, in modo permanente o per un certo tempo, senza diretta e continua custodia, per necessità o per consuetudine, e che perciò possono essere più facilmente rubate. Né la ravvisabilità dell’aggravante de qua, essendone diversi i presupposti, è incompatibile concettualmente con il fatto che gli oggetti esposti siano anche – in ipotesi – assicurati con la apposizione di placche (o simili) antitaccheggio: l’eventuale effrazione di queste, semmai, integrerebbe (anche) i presupposti dell’aggravante di cui all’articolo 625, numero 2, del codice penale. Nel caso di furto di merce nei supermercati, correttamente è esclusa l’aggravante della violenza sulle cose quando risulti che i beni sottratti non siano stati privati con violenza dei dispositivi antitaccheggio, lasciati sugli scaffali, mentre la merce prelevata dalla confezioni veniva occultata nella borsa dell’imputato, con contestuale elusione di detti dispositivi.

Cass. pen., 23 gennaio 2017 n. 3067
La permanenza del reato di edificazione abusiva termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta (ad esempio, il sequestro del manufatto), cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l’accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado.

Cass. pen., 18 gennaio 2017 n. 2240
Il rappresentante legale di una azienda che emette fumi al di sotto dei limiti di legge, può comunque essere condannato, per il reato di “getto pericoloso di cose”, se i gas producono un odore fastidioso che mina il benessere di chi abita nelle vicinanze.

Cass. pen., 16 gennaio 2017 n. 1746
Integra il reato di cui all’articolo 659, comma 1, del Cp la condotta del responsabile di una società avente a oggetto l’organizzazione di corsi scolastici, la cui sede sia allocata in un condominio, che attraverso i rumori derivanti dallo svolgimento dell’attività scolastica e dal flusso continuativo della relativa utenza risulti avere disturbato le occupazioni e il riposo delle persone abitanti nel condominio.

Cass. pen., 5 gennaio 2017 n. 487
Gli elementi raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni possono costituire prova diretta della colpevolezza, senza necessità di riscontri, essendo peraltro necessario che quegli elementi, allorché assumano valenza indiziaria, possiedano i caratteri della gravità, precisione e concordanza. In materia di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (sezioni Unite, 26 febbraio 2015, Sebbar). In questa prospettiva, il giudice di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione. Nel caso di reati in materia di stupefacenti non è determinante, a fini di prova, il sequestro o il rinvenimento delle sostanze, potendosi fare riferimento a prove di altro genere, a cominciare dalle intercettazioni telefoniche o ambientali.

Cass. pen., 2 gennaio 2017 n. 51
La confisca prevista dall’articolo 12 sexies del decreto legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992 n. 356, può essere disposta in relazione a beni acquistati dal condannato prima e durante l’epoca di commissione del reato, con il limite peraltro della “ragionevole distanza” dal reato, giacché la presunzione di illegittima acquisizione da parte dell’imputato deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che i beni non siano ictu oculi estranei al reato perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione.

Cass. pen., 2 gennaio 2017 n. 8
Nel giudizio abbreviato di appello, soggetto al rito camerale, il legittimo impedimento del difensore impone il rinvio del procedimento: ne deriva che, se il difensore non compare senza addurre alcun legittimo impedimento, il procedimento è celebrato senza che la mancata comparizione determini l’obbligo di provvedere ex articolo 97, comma 4, del Cpp; se invece il difensore non compare, ma rappresenta e documenta tempestivamente il proprio impedimento a comparire, chiedendo un differimento dell’udienza, il giudice è tenuto a pronunciarsi sull’esistenza o meno di un legittimo impedimento e ad assumere i provvedimenti conseguenti.

DIRITTO AMMINISTRATIVO

Consiglio di Stato, 27 gennaio 2017 n. 341
Il potere di annullamento d’ufficio è regolato dall’articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990 (introdotto dalla legge n. 15 del 2005) per mezzo della previsione dell’illegittimità dell’atto oggetto della decisione di autotutela quale indefettibile e vincolata condizione che ne autorizza il valido esercizio e della descrizione, mediante il riferimento a nozioni elastiche, di ulteriori presupposti, quali la ragionevolezza del termine entro cui può essere adottato l’atto di secondo grado, la sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione e la considerazione degli interessi dei destinatari del provvedimento viziato. Premesso che l’interesse pubblico specifico alla rimozione dell’atto illegittimo dev’essere integrato da ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino della legalità, l’apprezzamento del presupposto in questione non può neanche risolversi nella tautologica ripetizione degli interessi sottesi alla disposizione normativa la cui violazione ha integrato l’illegittimità dell’atto oggetto del procedimento di autotutela; pertanto, l’interesse pubblico che legittima e giustifica la rimozione d’ufficio di un atto illegittimo deve consistere nell’esigenza che quest’ultimo cessi di produrre i suoi effetti, siccome confliggenti, in concreto, con la protezione attuale di valori pubblici specifici, all’esito di un giudizio comparativo in cui questi ultimi vengono motivatamente giudicati maggiormente preganti di (e prevalenti su) quello privato alla conservazione dell’utilità prodotta da un atto illegittimo, con la conseguenza che una motivazione satisfattiva della presupposta esigenza regolativa consacrata nel testo dell’articolo 21 nonies della legge citata deve, quindi, spingersi fino all’argomentata indicazione delle specifiche e concrete esigenze pubblicistiche che impongono l’eliminazione d’ufficio dell’atto viziato e non può certo risolversi nella ripetitiva e astratta affermazione dei medesimi interessi alla cui soddisfazione la norma violata risulta preordinata. Le esigenze di tutela dell’affidamento dei destinatari di atti ampliativi, in ordine alla stabilità dei titoli e alla certezza degli effetti giuridici da essi prodotti e, appunto per mezzo dell’affidamento, a garanzia della valutazione discrezionale dell’amministrazione nella ricerca del giusto equilibrio tra le esigenze di ripristino della legalità (nel ché si risolve la rimozione di un atto illegittimo) e quelle di conservazione dell’assetto regolativo recato dal provvedimento viziato hanno ricevuto recentemente un ulteriore rafforzamento, per mezzo dell’introduzione, con la legge n. 124 del 2015, della fissazione del termine massimo di diciotto mesi (con una opportuna precisazione quantitativa della nozione elastica della formula lessicale “termine ragionevole”), per l’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici e, quindi, mediante una riconfigurazione del potere di autotutela secondo canoni di legalità più stringenti e maggiormente garantisti per le posizioni private originate da atti ampliativi.

Consiglio di Stato, 26 gennaio 2017 n. 319
La deliberazione di recedere dal contratto di appalto, «consequenziale all’informativa prefettizia di infiltrazioni mafiose nell’impresa appaltatrice, resa ai sensi dell’articolo 10 del Dpr 3 giugno 1998, n. 252» e ora dall’articolo 92, comma 4, del Dlgs n. 159 del 2011, è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare «l’esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali, fra i soggetti indicati nell’art. 1 del medesimo d.P.R. » e le imprese, nei cui confronti emergano sospetti di legami con la criminalità organizzata; pertanto, trattandosi di atto estraneo alla sfera del diritto privato, in quanto espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione del contratto ai sensi dell’articolo 11, comma 2, citato Dpr, la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo. Il potere di recedere dal contratto, in seguito all’emissione dell’informativa antimafia, è l’espressione di una speciale potestà amministrativa che compete alla stazione appaltante ai sensi dell’articolo 92, comma 4, del Dlgs n. 159 del 2011, anche nella fase esecutiva del contratto e non già del generale potere “selettivo” attribuitole dall’ordinamento per la scelta del miglior contraente e la risoluzione pubblicistica del rapporto eccezionalmente riconosciuto alla stazione appaltante dalla citata disposizione non costituisce propriamente l’oggetto o l’effetto di uno degli «atti delle procedure di affidamento», ma è il contenuto di un atto vincolato della stazione appaltante, la conseguenza necessitata, a valle, di una valutazione compiuta dal Prefetto, a monte, in ordine a un requisito fondamentale richiesto dall’ordinamento per la partecipazione alle gare o di una «indispensabile capacità giuridica»: l’impermeabilità mafiosa delle imprese concorrenti; pertanto, il detto potere di recesso esercitato dalla stazione appaltante in seguito a sopraggiunta informativa antimafia non è riconducibile alla nozione dei «provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture», di cui all’articolo 119, comma 1, lett. a), del Cpa o comunque al novero degli «atti delle procedure di affidamento», di cui all’articolo 120, comma 1, del Cpa atteso peraltro che la soggezione alla disciplina degli articoli 119 e 120 del Cpa intanto si giustifica in quanto venga in rilievo, e sia impugnato, un atto riconducibile all’esercizio (o al mancato) esercizio del potere di scelta, da parte dell’Amministrazione, in una procedura di gara. Il giudice amministrativo, nello scrutinare la “tenuta” del quadro indiziario posto a base dell’informativa antimafia soprattutto se recepito, almeno in parte, da ordinanze cautelari penali, deve valutare integralmente le motivazioni di tutti i provvedimenti giurisdizionali, anche a effetto “scagionante”, per appurare se effettivamente essi abbiano privato funditus di rilevanza gli elementi fattuali, se e nella misura in cui l’apprezzamento dell’autorità amministrativa si sia (correttamente) svincolata dalla pedissequa recezione delle risultanze penali.

DIRITTO TRIBUTARIO

Cass. civ., 28 febbraio 2017 n. 5077
Illegittima la consegna della copia fotostatica dell’avviso di ricevimento relativa all’avviso di accertamento. In caso di disconoscimento da parte del contribuente, l’amministrazione deve produrre l’originale, altrimenti la notifica si ha come mai avvenuta rendendo così illegittima la pretesa nella cartella.

Cass. civ., 22 febbraio 2017 n. 4587
In tema di riscossione coattiva delle imposte, l’amministrazione finanziaria, prima di procedere a iscrivere ipoteca su beni immobili, ex articolo 77 del Dpr 602/1973 deve comunicare al contribuente che procederà alla richiamata iscrizione, concedendo al medesimo un termine di 30 giorni per presentare osservazioni o effettuare il pagamento.

Cass. civ., 19 gennaio 2017 n. 1304
In tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del comma 1 dell’articolo 26 del Dpr n. 602 del 1973, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso e all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della legge n. 890 del 1982, sicché va cassata la sentenza con cui il giudice di merito ha ritenuto invalida la notifica della cartella sull’erroneo presupposto che, non essendo stata ricevuta dal destinatario personalmente, occorresse l’invio di una seconda raccomandata.

Cass. civ., 13 gennaio 2017 n. 735
Nel libro giornale di una banca le operazioni della stessa specie possono essere indicate per sintesi giornaliera, con la conseguenza che esso non deve essere “integrato” dal supporto informatico contenente ciascuna specifica operazione e che pertanto per quest’ultimo non deve pagarsi l’imposta di bollo.