Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 7707 del 16 febbraio 2018 (ud. del 11 gennaio 2018)
Pres. Ramacci, Est. Liberati
Rifiuti. Smaltimento illecito di rifiuti (combustione). Responsabilità del proprietario del fondo. Cooperazione colposa nella realizzazione della condotta illecita. Configurabilità. Art. 256, comma 1, lett. a), d. lgs. n.152/2006.
In tema di gestione dei rifiuti, sussiste la responsabilità, del proprietario di un fondo, nei casi in cui vi sia una sua cooperazione nell’evento, anche solo colposa, per avere consapevolmente consentito o tollerato che detta attività illecita venisse svolta. Fattispecie: dall’istruttoria era emerso che nel fondo di proprietà dell’imputato era stato abbandonato materiale plastico (tubi per irrigazione e pezzi di polistirolo), di cui era stata segnalata la combustione dal giorno antecedente al sopralluogo compiuto dalla polizia giudiziaria, ritenendo quindi che il ricorrente fosse a conoscenza dell’abbandono dei rifiuti nel fondo di sua proprietà e dello smaltimento effettuatone mediante la loro combustione e non impedendolo né opponendovisi in alcun modo si ravvisava una cooperazione colposa nella realizzazione della condotta illecita.
Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 7707 del 16 febbraio 2018 (ud. del 11 gennaio 2018)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Durante Michele, nato a Stornarella il 29/7/1940;
avverso la sentenza del 24/1/2017 del Tribunale di Foggia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 gennaio 2017 il Tribunale di Foggia ha condannato Michele Durante alla pena di euro 3.000,00 di ammenda, in relazione al reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 152/2006 (ascrittogli per avere, quale proprietario di una cava, svolto nella stessa attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi senza la prescritta autorizzazione, dando fuoco a tubi per l’irrigazione in plastica, a pezzi di polistirolo e ad oggetti rotti in metallo e in plastica).
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto appello, trasmesso a questa Corte dalla Corte d’appello di Bari, trattandosi di sentenza non appellabile, affidato a tre motivi.
2.1. Con un primo motivo ha censurato l’affermazione della propria responsabilità, non essendo stato accertato che l’attività di smaltimento dei rifiuti era stata posta in essere dal ricorrente e non essendovi a suo carico, quale proprietario della cava nella quale detta attività era stata svolta, un obbligo di controllo, in relazione ad attività svolta da altri, non essendo configurabile una posizione di garanzia a carico del proprietario del fondo.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato l’eccessività della pena e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, in relazione al cui diniego mancava qualsiasi motivazione.
2.3. Infine con un terzo motivo ha lamentato il mancato riconoscimento della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., di cui ricorrevano tutti i presupposti, stante l’esiguità del danno o del pericolo e la occasionalità della condotta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo, mediante il quale è stata richiesta l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto, è volto a conseguire una non consentita rivalutazione delle risultanze di fatto.
E’ necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakanì, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità dì una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, e.e. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Nel caso in esame è stato censurato l’accertamento della addebitabilità al ricorrente dello smaltimento di rifiuti non pericolosi eseguito nella cava di cui lo stesso è proprietario, cui il Tribunale sarebbe pervenuto in considerazione della violazione di un generico e indeterminato dovere di controllo posto a carico del proprietario del fondo, creando in tal modo una posizione di garanzia non contemplata dall’ordinamento.
In realtà la responsabilità dell’imputato è stata affermata considerando la sua cooperazione colposa nell’evento, per avere, quantomeno, consapevolmente consentito o tollerato che detta attività illecita venisse svolta nella cava di sua proprietà, essendo emerso dall’istruttoria svolta che nel fondo di proprietà dell’imputato era stato abbandonato materiale plastico (tubi per irrigazione e pezzi di polistirolo), di cui era stata segnalata la combustione dal giorno antecedente al sopralluogo compiuto dalla polizia giudiziaria, ritenendo quindi che il ricorrente fosse a conoscenza dell’abbandono dei rifiuti nel fondo di sua proprietà e dello smaltimento effettuatone mediante la loro combustione, non impedendolo né opponendovisi in alcun modo: si tratta di un accertamento non censurabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità, sulla base del quale è stata correttamente affermata la responsabilità dell’imputato, per aver consentito l’illecito smaltimento dei rifiuti nel fondo di sua proprietà, dunque non attribuendogli una, inesistente, posizione di garanzia, bensì ravvisando una cooperazione colposa nella realizzazione della condotta illecita.
3. Le altre doglianze, relative alla eccessività della pena, al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., sono inammissibili, essendo stata fornita adeguata giustificazione della misura della pena, attraverso il richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e alla entità del fatto, come descritto nella parte della motivazione relativa alla sua attribuibilità all’imputato, e avendo l’imputato omesso di chiedere la concessione di dette circostanze e l’applicazione di tale causa di esclusione della punibilità, con la conseguenza che non è ravvisabile un vizio della motivazione sul punto.
All’atto della formulazione delle conclusioni l’imputato aveva, infatti, chiesto solamente la propria assoluzione e, in subordine, la determinazione della pena nel minimo e la concessione dei benefici di legge, omettendo di chiedere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della suddetta causa di esclusione della punibilità, cosicché non è ravvisabile alcuna carenza della motivazione della sentenza impugnata sul punto, non sussistendo il relativo obbligo in mancanza di richieste dell’imputato.
Con il ricorso per cassazione non possono, infatti, essere dedotte questioni non prospettate nel giudizio di merito, neppure mediante sollecitazione dei poteri d’ufficio del giudice, sulle quali, quindi, questi non si sia pronunciato, in considerazione della strutturazione del giudizio di cassazione, quale impugnazione a critica vincolata della decisione censurata, la cui correttezza non può, evidentemente, che essere verificata in relazione agli aspetti sottoposti al giudice, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (cfr. Sez. 2, n. 6131 del 29/01/2016, Menna, Rv. 266202; conf. Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Graziali Gauthier, Rv. 255577).
4. Il ricorso in esame deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, in considerazione del contenuto non consentito del primo motivo e della manifesta infondatezza delle doglianze relative alla pena, alle circostanze attenuanti generiche e al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 11/1/2018
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