Rifiuti. Differenze tra deposito temporaneo e deposito incontrollato. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 41524 del 12 settembre 2017 (ud. del 15 dicembre 2016)

Pres. Ramacci, Est. Gentili

Rifiuti. Abbandono di rifiuti. Deposito incontrollato. Depostio temporaneo. Differenze.

Può manifestarsi come deposito temporaneo, come tale lecito, quando i rifiuti sono raggruppati, in via temporanea ed alle condizioni previste dalla legge, nel luogo della loro produzione; si ha deposito preliminare o stoccaggio, che richiede l’autorizzazione o la comunicazione in procedura semplificata, quando non sono rispettate le condizioni a tal fine previste dalla legge per il deposito temporaneo di rifiuti; si ha invece deposito incontrollato o abbandono di rifiuti, quando il raggruppamento di essi viene effettuato in luogo diverso da quello in cui i rifiuti sono prodotti, e fuori della sfera di controllo del produttore (Corte di cassazione, Sezione feriale, 3 settembre 2007, n. 33791).

 

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 41524 del 12 settembre 2017 (ud. del 15 dicembre 2016)

Ritenuto in fatto

Avendo la Corte di appello de L’Aquila, con sentenza del 21 ottobre 2013, confermato la decisione con la quale il Tribunale di Avezzano, il precedente 2 aprile 2012, aveva dichiarato la penale responsabilità di I.C. e di I.R. in ordine al reato di cui all’art. 256, comma 2, del dlgs n. 152 del 2006, per avere abbandonato in modo incontrollato rifiuti anche pericolosi, condannandoli, pertanto, alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 4 di arresto ed euro 2000,00 di ammenda ciascuno, avverso detta decisione hanno interposto ricorso per cassazione i due prevenuti, deducendo la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nonché il vizio di motivazione della impugnata sentenza.

Con essa, infatti, sarebbe stata dichiarata la penale responsabilità dei due ricorrenti senza che ne fossero emersi i relativi elementi dimostrativi nel corso della istruttoria dibattimentale svolta.

In particolare i ricorrenti hanno lamentato il fatto che la Corte non abbia individuato nella loro condotta, pur ricorrendone tutti i requisiti, lo svolgimento di un’attività di mero deposito temporaneo, penalmente irrilevante, avendo, invece, essa ritenuto ricorrere, sulla base di dati equivoci, l’ipotesi dell’abbandono incontrollato.

Con riferimento alla specifica posizione di I.R., il quale non rivestiva all’epoca dei fatti compiti di amministrazione nella impresa dalla cui attività sarebbe derivata la produzione di rifiuti, è lamentata la affermazione della sua responsabilità sebbene egli non avesse alcun compito gestionale ma fosse un mero dipendente della società.

Considerato in diritto

La sentenza impugnata, sia pure con esclusivo riferimento alla posizione di I.R., deve essere annullata, senza rinvio, per essere il reato contestato nei suoi confronti estinto per prescrizione.

Esaminando per primo il profilo di impugnazione comune ai due imputati, connesso alla erronea qualificazione data alla condotta posta in essere, tale da realizzare secondo i ricorrenti non una discarica di rifiuti (rectius: un deposito incontrollato) ma un semplice deposito temporaneo, come tale non necessitante di autorizzazione e comunque penalmente irrilevante, osserva il Collegio che, sulla base della costante interpretazione di questa Corte, l’attività di deposito dei rifiuti può realizzarsi sotto diverse forme, puntualmente categorizzate dalla elaborazione giurisprudenziale.

Essa, infatti, può manifestarsi come deposito temporaneo, come tale lecito, quando i rifiuti sono raggruppati, in via temporanea ed alle condizioni previste dalla legge, nel luogo della loro produzione; si ha deposito preliminare o stoccaggio, che richiede l’autorizzazione o la comunicazione in procedura semplificata, quando non sono rispettate le condizioni a tal fine previste dalla legge per il deposito temporaneo di rifiuti; si ha invece deposito incontrollato o abbandono di rifiuti, quando il raggruppamento di essi viene effettuato in luogo diverso da quello in cui i rifiuti sono prodotti, e fuori della sfera di controllo del produttore (Corte di cassazione, Sezione feriale, 3 settembre 2007, n. 33791).

E’ stato, altresì, precisato che esuli dalla fattispecie del deposito temporaneo, pur ricorrendone in linea astratta gli altri requisiti cronologici, quantitativi e di ubicazione, la ipotesi in cui si sia compiuto un deposito di rifiuti fra loro eterogenei ammassati in maniera del tutto asistematica (si è infatti in tali casi utilizzata, con efficace sintesi semantica, la colloquiale espressione “alla rinfusa”) e senza alcuna autorizzazione (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, 31 maggio 2011, n. 21785; idem Sezione III Penale, 19 aprile 2011, n. 15593).

In relazione al caso in questione va osservato che la Corte di merito, con valutazione che per essere relativa ad un apprezzamento di fatto non è più suscettibile di essere riesaminata in questa sede di legittimità, ha rilevato, attraverso la documentazione fotografica rappresentativa dei luoghi in esame, come fosse ivi presente un “accumulo disordinato di rifiuti, composto da autocarri in disuso, batterie, pneumatici, pezzi di ferro, motori smontati, plastiche, bidoni contenenti sostanze solide, legname, eternit”.

Indubbiamente la descrizione riportata illustra e dimostra, conformemente ai riportati indirizzi, la presenza di un deposito incontrollato e non certo di un organizzato deposito temporaneo.

Quanto alla accennata questione avente ad oggetto la dimostrazione della natura pericolosa di taluno dei materiali presenti nei pressi della officina in discorso, osserva il Collegio come la stessa possa essere oggetto di un libero apprezzamento da parte del giudice del merito, senza che vi sia la necessità di svolgimento di specifici accertamenti tecnici, essendo suscettibile la valutazione operata nella predetta sede di rivalutazione di fronte alla Corte di cassazione solo in quanto essa si presenti del tutto arbitraria, ovvero illogica o errata in punto di diritto.

Nel caso in esame la Corte aquilana ha puntualmente indicato le tipologie di rifiuti presenti in loco, evidenziandone anche la identificazione tramite codice CER, in modo tale da chiarire, senza alcun margine di dubbio, le ragioni della loro effettiva riconducibilità alla categoria dei rifiuti pericolosi.

Sotto gli illustrati profili, pertanto, la doglianza è inammissibile.

Passando, invece, ad esaminare la questione avente ad oggetto la possibilità di attribuire il reato in contestazione anche all’imputato I. R., rileva la Corte come sul punto, oggetto di espresso gravame da parte della difesa dell’imputato, la motivazione della sentenza impugnata sia gravemente lacunosa.

Questa, infatti, si è limitata ad osservare – peraltro correttamente, in linea di astratto principio – come, ai fini della attribuzione del reato in contestazione, debba farsi riferimento non alla sola formale investitura della titolarità della impresa implicata nella attività di deposito incontrollato dei rifiuti ma la relativa responsabilità vada estesa anche a chi, in via di fatto, eserciti comunque la attività imprenditoriale per conto della impresa in questione (in tal senso, infatti, fra le altre: Corte di Cassazione, Sezione III Penale, 18 settembre 2013, n. 38364); nel formulare tale affermazione, tuttavia, la Corte di merito non si è, tuttavia, avveduta che siffatta argomentazione presuppone essere stato già risolto il quesito logico, peraltro oggetto dello specifico gravame formulata di fronte alla Corte abruzzese, concernente la possibilità di attribuire tale qualifica all’imputato I. R., il quale era un dipendente della società in questione, formalmente operante solo nell’ambito della manutenzione degli autoveicoli, con compiti riferibili alla gestione tecnica.

La circostanza che su questo punto – determinante ai fini della logicità della motivazione e della corretta applicazione dei principi giuridici relativi alla materia in questione – la motivazione della Corte abruzzese sia del tutto silente, non avendo questa evidenziato indici rivelatori dello svolgimento da parte dell’imputato sia pure in via di mero fatto di una qualche attività di complessiva gestione della impresa, imporrebbe l’annullamento della sentenza impugnata quanto alla affermazione della responsabilità penale dello I.R. con rinvio al fine di procedere agli opportuni accertamenti o, comunque, al fine di integrare la sentenza sul punto concernente la relativa motivazione.

La circostanza, tuttavia, che dal momento in cui il reato a carico di questo è stato accertato – cioè, per quanto emerge dalla contestazione, dal 8 novembre 2009 – sia decorso un lasso di tempo ampiamente superiore al tempo massimo di prescrizione del reato stesso – pari a 5 anni, trattandosi di contravvenzione punibile con pena detentiva inferiore ai 4 anni di arresto, pur considerata la sua dilatazione per effetto degli intervenuti fattori interruttivi – impone, visto l’art. 129 cod. proc. pen., limitatamente alla posizione del predetto ricorrente, la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato a lui contestato estinto per prescrizione.

La inammissibilità, invece, del ricorso proposto da I.C. determina, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del medesimo, al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente a Iannuccelli Remo, per essere il reato estinto per prescrizione.

Dichiara inammissibile il ricorso di Iannuccelli Claudio che condanna al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.