INQUINAMENTO IDRICO. Acque. Scarico illecito, metodiche di prelievo e campionamento del refluo, art. 137 d. lgs. n. 152/2006. Cassazione Penale n. 56670/2018.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 56670 del 17 dicembre 2018 (ud. del 18 ottobre 2018)
Pres. Cervadoro, Est. Galterio

Acque. Scarico illecito e  metodiche di prelievo e campionamento del refluo. Art. 137 d. lgs. n. 152/2006.
La natura di reato di pericolo della contravvenzione di cui all’art. 137 d. lgs. n. 152/2006, volta a  prevenire il rischio di un’offesa all’ambiente da parte dell’esercente un’attività autorizzata, prescinde dalla valutazione del giudice sulla gravità, entità e ripetitività della condotta al fine di valutarne l’offensività in concreto, essendo anche un solo scarico, pur se episodico, idoneo a ledere il bene giuridico protetto.
Le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell’Allegato 5 alla Parte II del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nello specificare che la metodica normale è quella del campionamento medio non stabiliscono un criterio legale di valutazione della prova, in quanto è consentito all’organo di controllo procedere con modalità diverse di campionamento, anche istantaneo, qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze, costituite dal tipo di scarico o dal tipo di accertamento (Sez. III, n. 16054 del 16/03/2011 – dep. 21/04/2011, Catabbi, Rv. 250309).

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 56670 del 17 dicembre 2018 (ud. del 18 ottobre 2018)

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 30.10.2017 la Corte di Appello di Ancona, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato di cui all’art. 137, terzo comma d. lgs. 152/2006 ascritto all’esito del giudizio di primo grado ad Enrico Tabellini e Domenico Bonazzi per aver fatto defluire, nella qualità di A.D. e di legale rappresentante della spa Adriatica Idrocarburi, uno scarico di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose nella pubblica fognatura, hanno confermato le statuizioni di condanna a risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
2. Avverso il suddetto provvedimento entrambi gli imputati hanno proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso congiunto per cassazione, articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. .
2.1. Con il primo motivo contestano, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 578 cod. proc. pen. e al vizio motivazionale, la conferma delle statuizioni in favore delle parti civili non essendo stata effettuata un’approfondita verifica della responsabilità degli imputati sulla base delle ragioni di esclusione evidenziate dalla difesa nell’impugnazione, ma essendosi la Corte di Appello arrestata alla mera mancanza della prova di innocenza richiesta ai diversi fini della pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen. sul rilievo, palesemente inconferente rispetto alla contestazione consistente nello scarico delle acque reflue nocive nella fognatura pubblica, che permanevano nella zona problemi legati ai cattivi odori causati dalle lavorazioni industriali eseguite dalla società commerciale. Deducono in particolare la sussistenza di vizi inficianti l’accertamento peritale eseguito nella fase delle indagini secondo cui sarebbero stati superati i limiti relativi alla presenza di sostanze pericolose lamentando: a) la scorrettezza del metodo di campionamento eseguito per mezzo del prelievo istantaneo in sostituzione di quello “medio ponderato”, universalmente accreditato, non supportata da adeguata motivazione sull’attendibilità riferita ad uno scarico industriale, tenuto conto che i primi quattro prelievi erano stati eseguiti nell’arco di soli dieci minuti e che per quello successivo, eseguito il 18.2.2011 non sussistevano affatto le ragioni di urgenza che consentivano di derogare al prelievo medio ponderato; b) l’erroneità del punto di prelievo per essere stati i campioni prelevati in corrispondenza di una tubatura che non proveniva dallo stabilimento della Adriatica Idrocarburi e che non consentiva di affermare con certezza che il liquido campionato fosse riferibile alla società avendo la verifica con un liquido tracciante colorato potuto solo dimostrare l’esistenza di un collegamento tra il pozzetto ispezionato e quello di scarico della azienda; c) la mancanza di corrispondenza tra il verbale del 18.2.2011 e il rapporto di prova relativo stante la diversità del numero di verbale e degli orari indicati, non superato dalla rilevazione di un mero errore materiale affermata dai giudici di merito. A ciò si aggiunge secondo i ricorrenti la circostanza che nessuna attenzione sia stata prestata ai numerosi prelievi effettuati di iniziativa della società, rivoltasi anche ad enti esterni, come il CIIP, e perciò imparziali, che avevano sempre dato esiti nei limiti consentiti.
2.2. Con il secondo motivo deducono, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, che nessuna inerzia vi era stata da parte degli imputati che avevano con incessante solerzia sempre provveduto ad analisi di autocontrollo nonché alla pulizia dei pozzetti ed all’installazione di un sistema di trattamento delle acque con filtri a carboni attivi a seguito delle rimostranze dei soggetti poi costituitisi parti civili nel procedimento penale. Lamentano al riguardo la contraddittorietà della motivazione resa dalla Corte di Appello che, pur riconoscendo l’insussistenza di una vera e propria inerzia, definisce come irrilevanti gli adempimenti posti in essere dagli imputati al fine di evitare la contaminazione delle acque senza fornirne alcuna dimostrazione, anche alla luce dell’inattendibilità del metodo di campionamento e che concentra gli sforzi argomentativi per sostenere la consapevolezza in capo ai prevenuti delle sostanze tossiche eccedenti i valori tabellari sull’odore acre e penetrante proveniente dalla sede della società che è, invece, strettamente connaturato alla tipologia delle lavorazioni industriali ivi eseguite.
3. Le parti civili Sergio e Quintilio Gabrielli hanno a loro volta articolato,  per il tramite del difensore, una memoria a confutazione dei motivi di ricorso concludendo per la declaratoria di inammissibilità ovvero per il rigetto.
3.1. Contestano l’ammissibilità del primo motivo in quanto diretto a sollecitare una diversa e non consentita rivalutazione del merito attraverso la lettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, laddove la Corte anconetana aveva adeguatamente motivato sia sulla correttezza dell’indagine peritale che alle posizioni di garanzia ricoperte dagli imputati, responsabili degli ingenti danni provocati all’ambiente e alla salute delle parti, costretti ad inalare le sostanze nocive, presenti in quantità massicciamente superiore ai limiti di legge, come dimostrato da tutti e quattro i campioni prelevati, all’interno delle proprie abitazioni, sostanze che risalivano dagli scarichi dei bagni propagandosi in effluvi che rendevano l’aria maleodorante ed irrespirabile anche all’interno delle mura domestiche.
3.2 Deducono in relazione al secondo motivo che la condotta illecita degli imputati era ascrivibile non solo a grave negligenza, ma altresì a dolo posto che l’attività produttiva, oggettivamente pericolosa per la salute delle persone, veniva svolta a ridosso delle abitazioni delle parti civili e che l’entità dei rifiuti tossici era talmente ingente da richiedere una continuativa attività di trasporto tramite autobotti che facevano quotidianamente la spola tra lo stabilimento ed il punto di conferimento prima di essere scaricati abusivamente nella rete fognaria, operazione questa che aveva quale unico obiettivo il contenimento dei costi di produzione eliminando la ben più onerosa attività di trasporto e smaltimento in apposite discariche di cui la società avrebbe dovuto farsi carico

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il primo motivo deve ritenersi inammissibile sostanziandosi in censure che, senza individuare vizi logici o fratture argomentative della sentenza impugnata, si appuntano esclusivamente sulle valutazioni rese dai giudici del gravame nella disamina del compendio istruttorio i quali, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, risultano aver affrontato analiticamente tutte le eccezioni difensive ed averle puntualmente disattese.
Va al riguardo ribadito che compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alle emergenze processuali, ma quello di stabilire se detti giudici abbiano fornito una corretta interpretazione di esse, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cfr. Cass. Sez. I n.42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507 e Cass. Sez. I n.1507 del 17/12/1998,  Rv. 212278). Resta invero preclusa  alla Corte di cassazione la rilettura degli elementi di fatto e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare al controllo se la motivazione dei giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito.
Così ridelineato il perimetro del sindacato rimesso a questa Corte, deve rilevarsi come i giudici distrettuali abbiano correttamente giustificato sia le modalità del prelievo delle acque che ancorchè istantaneo, è stato ritenuto ugualmente affidabile, oltre che reso necessario dall’irrespirabilità dell’aria all’interno delle abitazioni in conseguenza dello scarico, rispetto a quello medio ponderale, in quanto articolatosi in ben quattro distinti prelievi effettuati in momenti diversi, sia il punto di prelievo, costituito da un diverso pozzetto rispetto al punto cd. di prelievo “fiscale” indicato dalla difesa, nel quale effettivamente avveniva lo scarico dei reflui e comunque collegato a quello fiscale da una tubatura, fatto questo reso incontestabile dalla prova di tracciamento mediante liquido colorante e dalla circostanza che al momento della campionatura era in atto solo lo scarico di reflui effettuato dalla Idrocarburi Adriatica provenienti da detto tubo, sia l’errore materiale eseguito nell’indicare la data e l’identificazione del numero di verbale del secondo prelievo. La sentenza impugnata ha altresì puntualmente esaminato l’eccezione difensiva secondo cui la società avrebbe effettuato svariate analisi delle acque di propria iniziativa, senza che da nessuna di esse risultasse il superamento dei limiti prescritti, reputandone l’irrilevanza in concreto, così facendo buon governo del principio secondo il quale che la natura di reato di pericolo della contravvenzione di cui all’art. 137 d.lgs. 152/2006, volta a  prevenire il rischio di un’offesa all’ambiente da parte dell’esercente un’attività autorizzata, prescinde dalla valutazione del giudice sulla gravità, entità e ripetitività della condotta al fine di valutarne l’offensività in concreto, essendo anche un solo scarico, pur se episodico, idoneo a ledere il bene giuridico protetto  (Sez. III, n. 21463 del 10/02/2015 – dep. 22/05/2015, Saibene e altro, Rv. 26375001).
Alla luce di tale copiosa ed argomentata motivazione deve escludersi la configurabilità di alcun vizio logico argomentativo rispetto alle conclusioni raggiunte circa l’attribuibilità delle acque campionate, tutte risultate ampiamente al di sopra, quanto alla presenza di sostanze nocive e tossiche per la salute pubblica, dei limiti tabellari fissati ex lege, alla società gestita e rappresentata dai due imputati, tenuto conto che in ogni caso è stato reiteratamente affermato da questa Corte che le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell’Allegato 5 alla Parte II del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nello specificare che la metodica normale è quella del campionamento medio non stabiliscono un criterio legale di valutazione della prova, in quanto è consentito all’organo di controllo procedere con modalità diverse di campionamento, anche istantaneo, qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze, costituite dal tipo di scarico o dal tipo di accertamento (Sez. III, n. 16054 del 16/03/2011 – dep. 21/04/2011, Catabbi, Rv. 250309).
2. Il secondo motivo si compendia invece in censure del tutto generiche, che aggirano senza confutarlo espressamente, l’accertamento dell’illiceità della condotta ascritta agli imputati costituita dallo sversamento delle acque reflue nella rete fognaria, sostenendo di essersi proficuamente attivati per controllare il contenimento degli effetti derivati dall’attività industriale in relazione all’inquinamento ambientale. La Corte di merito, nell’escludere che gli effetti di siffatta condotta fossero stati eliminati, né contenuti a seguito delle iniziative assunte per conto della società, limitatasi ad effettuare analisi di auto controllo, i cui esiti asseritamente negativi risultano ampiamente sconfessati dai prelievi eseguiti dal perito di ufficio attestanti tutti un ampio superamento, quanto alla presenza di sostanze nocive o tossiche, dei limiti tabellari, evidenzia chiaramente come gli imputati, oltre alla posizione di garanzia derivatagli dalle rispettive cariche all’interno della società, fossero già da tempo consapevoli delle immissioni nocive prodotte dall’attività estrattiva di idrocarburi dal sottosuolo: menziona a tal fine le numerose segnalazioni ed esposti da parte degli abitanti degli immobili ubicati a ridosso dell’impianto, che lamentavano l’intensità dei miasmi che arrivano all’interno delle civili abitazioni, allacciate allo stesso impianto fognario dell’impianto industriale, succedutisi dal 2010 allorquando la società, ottenuta l’autorizzazione all’allaccio di uno scarico diretto nella rete fognaria, aveva dismesso lo smaltimento dei reflui nocivi mediante autobotti che facevano quotidianamente, a dimostrazione dell’ingente quantità di sostanze tossiche, la spola tra lo stabilimento industriale ed il punto di conferimento.
Segue all’esito del ricorso la condanna dei ricorrenti a norma dell’art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per ritenere che abbiano proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma equitativamente liquidata alla Cassa delle Ammende. A carico di entrambi in solido vanno altresì poste, secondo la regola della soccombenza, le spese sostenute per il presente grado di giudizio dalle parti civili in relazione ai singoli atti di costituzione, liquidate in conformità alle tariffe di cui al D. M. n. 37 dell’8.3.2018 con l’applicazione per Sergio Gabrielli e Quintilio Gabrielli della maggiorazione prevista nell’ipotesi di assistenza di più soggetti aventi la medesima posizione processuale

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 2.000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, nonché in solido alla refusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili che liquida in favore di Ruffini Enzo in complessivi € 3.500,00, oltre spese generali al 15%, CPA ed IVA ed in favore di Gabrielli Sergio e Gabrielli Quintilio in complessivi € 4.200,00, oltre spese generali al 15%, CPA ed IVA.
Così deciso il 18.10.2018

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