Rifiuti. Inerti e recupero in cava, esclusione della normativa sulle discariche. Consiglio di Stato n. 4690/2017.

Consiglio di Stato Sez.V n. 4690 del 10 ottobre 2017 (ud. del 21 settrembre 2017)

Pres. Caringella, Est. Rotondano

Rifiuti. Rifiuti inerti e recupero in cava. Appicabilità della normativa sulle discariche. Esclusione. D. lgs. n. 36/2003. Art. 208 d. lgs. n. 152/2006.

L’attività di riempimento di una cava non è sottoposta alla normativa prevista per le discariche di cui alla Direttiva 1999/31/CE ed alla relativa legge italiana di attuazione di cui al d. lgs. n. 36/2003 (oggi art. 208, d.lgs. n. 152/2006) ove sia preordinata al mero recupero ambientale e condotta con i materiali previsti per il recupero stesso.

Consiglio di Stato Sez.V n. 4690 del 10 ottobre 2017 (ud. del 21 settrembre 2017)

N. 04690/2017REG.PROV.COLL.

N. 06220/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6220 del 2014, proposto da:
Provincia di Bari, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Mariani, con domicilio eletto presso lo studio S.N.C. Studio Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini 30;

contro

Edilizia Mastrodonato Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’ avvocato Massimo Felice Ingravalle, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI, SEZIONE I n. 00471/2014, resa tra le parti, concernente l’archiviazione della comunicazione di inizio attività di recupero rifiuti non pericolosi derivanti dalla coltivazione di una cava.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Edilizia Mastrodonato Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 settembre 2017 il Cons. Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Mariani, Massimo Felice Ingravalle;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La Provincia di Bari ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sede di Bari – Sezione prima n. 00471/2014 che ha annullato, accogliendo il

ricorso dell’impresa EDILIZIA MASTRODONATO s.r.l., la nota dell’amministrazione della Provincia di Bari, prot. PG 0196033 del 15.11.2012, recante l’archiviazione della comunicazione di inizio attività di “recupero” di rifiuti non pericolosi derivanti da coltivazione di cava.

In data 08.09.2006, la società ricorrente in primo grado (odierna appellata) inoltrava alla Regione Puglia istanza di proroga per la prosecuzione della coltivazione della cava di sua proprietà, al fine di ottenere l’autorizzazione all’approfondimento degli scavi sulle aree di cava già interessate dall’attività di coltivazione in essere nonché all’ampliamento degli scavi su quelle aree non ancora oggetto di coltivazione.

Prima dell’istanza finalizzata all’adozione di detto provvedimento autorizzativo, l’appellata dava impulso al separato procedimento di valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.) del progetto di coltivazione in parola, che si concludeva con il rilascio del parere favorevole di VIA, con determinazione n. 410 del 30.08.2007.

Con successiva istanza (prot. n. 2027 del 16.03.2010) l’EDILIZIA MASTRODONATO s.r.l. presentava domanda di “ampliamento cava”, corredata dal piano di coltivazione e dal progetto esecutivo per il recupero ambientale delle aree interessate dall’attività estrattiva, giusta relazione tecnico-economica e successive integrazioni, nonché dal “piano di gestione rifiuti ex d.lgs. n. 117/2008”.

Il piano di coltivazione e recupero ambientale della cava in parola (come emerge dalla relazione integrativa del 15.09.2011, depositata in giudizio) veniva articolato in quattro fasi: approfondimento degli scavi estrattivi sulle aree già interessate dalla coltivazione; scoprimento delle aree non ancora oggetto di coltivazione e contestuale inizio delle operazioni di recupero ambientale delle aree coltivate in precedenza; coltivazione delle nuove aree e conclusione delle operazioni di recupero ambientale delle aree già coltivate; operazioni di recupero ambientale delle nuove aree. Il relativo progetto esecutivo precisava che il riempimento della cava sarebbe avvenuto utilizzando i materiali ex D.M. 05.02.1995, il cui articolo 5 prevede l’uso dei rifiuti non pericolosi indicati nell’allegato n. 1 del Decreto medesimo per le attività di recupero ambientale, da realizzarsi attraverso rimodellamenti geomorfologici, previo esperimento della procedura semplificata di cui agli artt. 214 e 216 d.lgs. n. 152/2006, come da relazione integrativa del 28.03.2011.

Con determinazione dirigenziale n. 75 del 21 settembre 2011 il Servizio Attività Estrattive della Regione Puglia, pervenuti i pareri prescritti dalla normativa in subiecta materia, autorizzava la società appellata “alla coltivazione e recupero della cava di calcare per inerti”, imponendo altresì “l’impiego di materiali utilizzabili per recuperi ambientali (D.M. 5.2.1998 e succ. D.M. 186/2006 — D.lgs. n. 152/2006), come riportato nell’elaborato di riferimento” e dettando una serie di prescrizioni .

Prima di procedere all’avvio alla seconda fase, consistente nello scoprimento delle nuove aree da coltivare e contestuale inizio delle operazioni di recupero ambientale, in data 19.01.2012 la società “EDILIZIA MASTRODONATO” inoltrava alla Provincia di Bari “Comunicazione di inizio di attività”, avvalendosi della procedura semplificata di cui agli artt. 214 e 216 d.lgs. n. 152/2006 e dichiarando l’utilizzo di rifiuti non pericolosi espressamente individuati dal D.M. 05.02.1995 nelle suddette operazioni di recupero finalizzate al ritombamento delle aree già coltivate.

L’Amministrazione appellata, con la nota prot. PG. 0029782 del 24.02.2012, invitava il Servizio Attività Estrattive” a “far conoscere se i materiali elencati nell’elaborato depositato dall’ impresa presentassero gli elementi di coerenza con la prescrizione di cui al punto 2) lett. D) della determinazione dirigenziale suddetta (la n. 75 del 2011), nonché a far conoscere il proprio parere in relazione al disposto di cui al D.M. n. 186/06 [vale a dire il decreto ministeriale recante modifiche al D.M. 05.02.1998], art. 5, comma 2), lett. b”.

In riscontro alla surriferita richiesta, il Servizio regionale su indicato, con nota prot. n. 11052 del 06.04.2012, evidenziava che “In riferimento alla richiesta pari oggetto, prot. PG. 0029782 del 24.02.2012, si comunica che la società “Edilizia Mastrodonato S.r.l. è stata autorizzata con determinazione n. 75/2011 ad effettuare il recupero ambientale dell’area di cava mediante ricolmamento del sito, come da progetto in atti. Ai fini della realizzazione dell’intervento di cui sopra è dichiarato in progetto l’utilizzo di materiali ammessi dalla normativa in materia di rifiuti”.

La Provincia di Bari, con nota prot. PG 0196033 del 15.11.2012, disponeva l’archiviazione definitiva della comunicazione così provvedendo: “In esito alla comunicazione avanzata da codesta ditta ai sensi degli artt. 214 e 216 del D.lgs. n. 152/2006, si fa presente che gli approfondimenti istruttori svolti sulla documentazione acquisita in atti portano a concludere che fattispecie configura, di fatto, un progetto di discarica per rifiuti speciali inerti dalla volumetria complessiva di mc. 1.200.000. Pertanto, si comunica che le procedure autorizzatorie che disciplinano detta fattispecie sono individuate nell’art. 208 del D.lgs. n. 152/06, D.lgs. n. 36/2003 e L.R. n. 11/2001 in materia di VIA alle quali si fa espresso rinvio per l’eventuale attivazione dell’iter procedimentale. Ciò stante, in ragione dei motivi sopra esposti, si comunica che la istanza in questione viene definitivamente archiviata”.

Avverso tale provvedimento la ditta Edilizia Mastrodonato srl ha interposto ricorso, accolto dal TAR Puglia- Bari- Sezione Prima con la sentenza oggetto dell’odierno appello da parte della Provincia di Bari, appello fondato sui seguenti motivi:

Violazione dell’articolo 10 del d.lgs. 30 maggio 2008 n. 117 in materia di vuoti e volumetrie prodotti dall’attività estrattiva nonché violazione dell’articolo 10 della Direttiva 15 marzo 2006 n. 2006/21/CE;

Violazione della legge regionale n. 11 del 2001. Violazione della direttiva 2011/92/UE.

Si costituiva in giudizio la società EDILIZIA MASTRODONATO s.r.l., ricorrente in primo grado, la quale domandava rigettarsi l’appello proposto, con conferma della sentenza impugnata. La difesa della società depositava altresì documentazione (si veda documentazione depositata in data 11.07.2017- documenti numeri 26, 27, 28, 29, 30, 31 e 32) attestante che, nelle more del giudizio, la stessa Provincia di Bari (ora città Metropolitana di Bari) e la Regione Puglia hanno assentito lo svolgimento di attività similare a quella per cui è causa, autorizzando l’attività di ricolmamento di cave con rifiuti diversi da quelli di estrazione.

Con ordinanza n. 1382 del 17.03.2015, questa Sezione sospendeva il presente giudizio di appello, rimettendo alla Corte di Giustizia dell’UE la seguente questione pregiudiziale ex art. 267 del TFUE: “Se l’art. 10, par. 2, della direttiva comunitaria 2006/21/CE si debba interpretare nel senso che l’attività di riempimento della discarica – qualora sia posta in essere mediante rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione – debba sempre soggiacere alla normativa in materia di rifiuti contenuta nella direttiva 1999/31/CE anche nel caso in cui non si tratti di operazioni di smaltimento rifiuti, ma di recupero”.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si pronunziava sulla questione pregiudiziale sottoposta al suo giudizio con sentenza della IV Sezione in data 28 luglio 2016.

Nell’udienza del 21 settembre 2017 le parti rassegnavano le proprie conclusioni riportandosi al contenuto delle rispettive memorie difensive e alle domande ivi formulate e la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.1.Con il primo motivo di appello, la Provincia di Bari ha dedotto la violazione, da parte della sentenza impugnata, dell’articolo 10 del d.lgs. 30 maggio 2008 n. 117 in materia di vuoti e volumetrie prodotti dall’attività estrattiva nonché la violazione dell’articolo 10 della Direttiva 15 marzo 2006 n. 2006/21/CE. Sostiene, in particolare, l’Ente appellante che, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR Puglia- Bari nella sentenza oggetto di gravame, l’attività di ripristino e ricostruzione ambientale di un vuoto di cava non può essere consentita con la procedura semplificata di cui agli articoli articolo 214 e 216 del d.lgs. n. 152/2006.

La fattispecie in esame, infatti, rientrerebbe nell’ambito di applicazione della disciplina dettata dall’articolo 10 del d.lgs. n. 117 del 30 maggio 2008 che, al terzo comma, espressamente dispone: “Il riempimento dei vuoti e delle volumetrie prodotti dall’attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione di cui al presente decreto è sottoposto alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003 n. 36, relativo alle discariche di rifiuti.”.

Analoga disposizione è prevista anche dall’articolo 10 secondo comma della Direttiva 15 marzo 2006 n. 2006/21/CE, a norma della quale “La direttiva 1999/31/CE continua ad applicarsi ai rifiuti non derivanti da attività di estrazione utilizzati per riempire i vuoti di miniera”.

Dunque, secondo la tesi dell’Amministrazione appellante, in forza delle disposizioni su indicate derivanti dalla normativa comunitaria, di rango superiore, nonché in ragione del preminente principio di “precauzione”, anch’esso di derivazione comunitaria, dovrebbe ritenersi che, mentre il riempimento della cava mediante rifiuti da estrazione è consentito mediante la procedura semplificata, il riempimento dei vuoti di cava mediante “rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione” è sottoposto alla normativa in materia di discariche e quindi allo speciale procedimento autorizzatorio di competenza della Regione ex art. 208 del d.lgs. n. 152/2006, e non alla procedura semplificata di cui agli articoli 214 e ss. del d.lgs. n. 152/2006. Pertanto, seguendo detta interpretazione della normativa de qua, le attività di recupero delle aree di cava autorizzabili con procedura semplificata sarebbero soltanto quelle che prevedono l’utilizzo di materiale di natura estrattiva, occorrendo, negli altri casi, conseguire l’apposita autorizzazione per la gestione delle discariche di rifiuti speciali: anche nell’ipotesi di rimodellamento geomorfologico delle aree di cava già coltivate attraverso il loro riempimento con rifiuti inerti dovrebbe dunque trovare applicazione la disciplina in materia di discariche in quanto si tratta pur sempre di rifiuti diversi da quelli da attività estrattiva, per i quali soltanto è possibile derogare al regime autorizzatorio in materia di discariche. Inoltre, tale regime autorizzatorio non potrebbe ritenersi superato dall’attività di “recupero” dei rifiuti necessari per riempire i vuoti e le volumetrie derivanti dall’attività estrattiva.

L’appellante ha richiamato anche, a conforto della prospettazione sostenuta, la Deliberazione del 9 maggio 2007, n. 538 con la quale la Giunta Regionale della regione Puglia ha espressamente disposto che “il colmamento, ripristino e recupero delle cave può avvenire -a condizione che la cava sia stata autorizzata a discarica di rifiuti”: sicché, secondo l’appellante, dovrebbe concludersi che, pur a fronte di un’autorizzazione mineraria per la coltivazione di cava con la prescrizione del recupero ambientale, ove tale recupero avvenga con rifiuti diversi da quelli da estrazione (quali erano i rifiuti indicati dalla ricorrente nella propria “comunicazione”) non si potrebbe prescindere dall’autorizzazione all’esercizio della discarica, oltre che dalla valutazione di impatto ambientale.

1.2. La doglianza è, ad avviso di questo Collegio, infondata.

Nelle memorie depositate in giudizio, la società odierna appellata ha evidenziato che sull’area in parola essa svolge esclusivamente attività di coltivazione di cava e che non intende trasformare la predetta area in una discarica di rifiuti inerti, deducendo altresì che l’attività di ricolmamento del sito estrattivo, con l’utilizzo di materiali ammessi dalla normativa in materia di rifiuti utilizzabili per recuperi ambientali, costituisce adempimento dell’obbligo imposto dalla Regione Puglia di procedere al progressivo riempimento delle aree di cava, secondo il piano di coltivazione e recupero ambientale espressamente approvato dalla medesima Regione.

Inoltre, secondo la prospettazione dell’appellata, condivisa dal Giudice di prime cure, dalla lettura in combinato disposto dell’ art. 10 d.lgs. n. 117/2008 con le previsioni di cui al d.lgs. n. 152/2006 si ricava chiaramente che tale norma può trovare applicazione solo allorché il riempimento dei vuoti di cava con rifiuti diversi da quelli di estrazione si sostanzi in una vera e propria attività di smaltimento di rifiuti, atta a realizzare una discarica, vale a dire nelle sola ipotesi in cui i rifiuti utilizzati per colmare i vuoti estrattivi non siano riconducibili a quei rifiuti che il Codice dell’ambiente espressamente destina alle “operazioni di recupero ambientale”, assoggettate alla procedura semplificata ex artt. 214 e 216 d.lgs. n. 152/2006.

Secondo tale ricostruzione, dunque, la fattispecie “recupero ambientale di rifiuti” va tenuta nettamente distinta da quella di smaltimento rifiuti e di “discarica di rifiuti”: quest’ultima costituisce, ai sensi dell’art. 2, comma I, lett. g), d.lgs. n. 36/2003, “un’area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante deposito sul suolo o nel suolo”, configurando, pertanto, un’attività di smaltimento che l’art. 183, comma I, lett. z), d.lgs. n. 152/2006 definisce come “qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia”. Le attività di recupero ambientale sono invece definite dall’ art. 183, comma I, lett. t), come «qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale»: operazioni queste che vengono individuate nell’Allegato C del stesso d.lgs. n. 152/2006, tra le quali vi è appunto l’utilizzo di determinate tipologie di rifiuti per “Spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia (R10)”, ovvero proprio l’attività che l’ Edilizia Mastrodonato s.r.l. ha indicato nella comunicazione presentata alla Provincia di Bari a norma degli artt. 214 e 216 d.lgs. n. 152/2006.

Secondo la tesi sostenuta dall’appellata tale procedura semplificata sarebbe, dunque, applicabile alle attività di recupero ambientale in presenza delle condizioni che verranno stabilite da decreti ministeriali di successiva emanazione e, nelle more dell’adozione dei cennati decreti, in presenza dei requisiti individuati dal D.M. 05.02.1998

L’art. 5 del D.M. 05.021998, rubricato “Recupero ambientale”, dopo aver chiarito, al comma I, che l’allegato I al decreto medesimo elenca le attività di recupero ambientale, consistenti «nella restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimodellamenti morfologici», ha sancito, al comma II, la piena legittimità dell’utilizzo dei rifiuti nelle cennate attività di recupero, sottoponendole «alle procedure semplificate previste dall’art. 33, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, [oggi artt. 214 e 216 d.lgs. n. 152/2006] a condizione che: a) i rifiuti non siano pericolosi; b) [l’utilizzo di rifiuti] sia previsto e disciplinato da apposito progetto approvato dall’autorità competente; c) sia effettuato nel rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche previste dal presente decreto per la singola tipologia di rifiuto impiegato, nonché nel rispetto del progetto di cui alla lettera b); d) sia compatibile con le caratteristiche chimico-fisiche, idrogeologiche e geomorfologiche dell’area da recuperare».

In sintesi, dunque, secondo la prospettazione dell’appellata, la surriferita normativa avrebbe dovuto essere correttamente interpretata nel senso di configurare la discarica quale attività di smaltimento di rifiuti la quale ricomprende tutte quelle attività che non costituiscono le “operazioni di recupero ambientale” di cui all’Allegato C del d.lgs. n. 152/2006: in tale ultima nozione deve ricondursi anche l’utilizzo di rifiuti non pericolosi indicati nell’Allegato I D.M. 05.02.1998 per rimodellamenti geomorfologici di suoli (cfr. art. 5 D.M. 05.02.1998), operazione che può essere effettuata mediante l’esperimento della procedura semplificata ex artt. 214 e 216 d.lgs. n. 152/2006.

Secondo l’interpretazione della normativa prospettata dall’appellata e condivisa dalla sentenza impugnata, nell’ipotesi in esame di “riempimento dei vuoti di cava con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione”, l’elemento dirimente, ai fini dell’individuazione del corretto regime autorizzatorio, è dato dalla tipologia di rifiuti utilizzati per il riempimento de quo. Ne consegue che verrà a configurarsi una “operazione di recupero ambientale”, sottoposta dal d.lgs. n. 152/2006 al regime autorizzatorio della procedura semplificata ex art. 214 e 216, ove il ritombamento venga effettuato con quei rifiuti espressamente destinati dall’Allegato I del D.M. 05.02.1998 a tale attività di recupero.

Laddove, invece, i rifiuti da utilizzare nel riempimento dei vuoti di cava non siano riconducibili alla tipologia di rifiuti di cui al D.M. 05.02.1998, si configura una vera e propria “attività di smaltimento rifiuti”, assoggettata al regime autorizzatorio di cui all’art. 208. d.lgs. n. 152/2006.

Tale interpretazione della normativa, come ricordato anche dalla sentenza appellata, è stata avallata anche dal tavolo tecnico AE/03/2011, tenutosi tra esperti in materia convocati dal “Ministero dell’ambiente, del territorio e della tutela del mare” e dal “Ministero dello sviluppo economico”, avente ad oggetto “Problematiche applicative dell’art. 10 del decreto legislativo n. 117/08”, nel quale si legge: << Per quanto riguarda … il riempimento dei vuoti di estrazione con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione, si ritiene che l’intenzione del legislatore comunitario fosse quella di assoggettare alla disciplina della direttiva discariche esclusivamente l’attività di smaltimento rifiuti all’interno dei siti estrattivi e non altresì le operazioni di recupero ambientale. Tale intenzione è stata peraltro confermata dallo stesso helpdesk istituito dalla Commissione europea per l’implementazione della legislazione europea ed in particolare del regolamento sulle spedizione di rifiuti (CE 1013/2006) che è stato interpellato dalla Direzione Generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell’ambiente e tutela del territorio e del mare (…)ed ha fornito la seguente risposta: (…)È possibile che un’operazione di riempimento con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione in un vuoto di cava possa essere considerato come un’operazione di recupero.

Per quanto sopra parrebbe accettabile che quanto stabilito dall’art. 10 par. 2 della Direttiva 2006/21 (e il corrispondente art. 10 comma 3 del Decreto 117/08) possa essere applicato alle sole operazioni di smaltimento di rifiuti e non a quelle di recupero. Al fine di evitare il duplicamento e la sovrapposizione delle procedure autorizzative si ritiene che l’approvazione da parte dell’autorità competente mineraria del progetto di coltivazione comprensivo del piano di gestione dei rifiuti di estrazione costituisca autorizzazione alle attività ivi previste”.

A sostegno della fondatezza dell’interpretazione accolta nella sentenza impugnata, la società appellata richiamava altresì i seguenti atti:

la risposta della Commissione Europea in data 12 febbraio 2013 ad un quesito postole da un soggetto privato con riferimento a fattispecie identica a quella oggetto del presente gravame, vale a dire “riempimento dei vuoti di cava con rifiuti diversi da quelli estrattivi”, avente il seguente tenore: «….Per rispondere alla sua domanda, ritengo che le attività di riempimento dovrebbero essere considerate come operazioni di recupero. Oltre agli articoli e ai considerandi di seguito richiamati, aggiungerei l’articolo 11, paragrafo 2, lettera b, della direttiva quadro sui rifiuti, in base al quale l’attività di riempimento è intesa come una operazione di recupero di altri materiali.”;

la Delibera della Giunta della Regione Puglia n. 1794 del 31.10.2007 avente ad oggetto “Direttiva in materia di per attività estrattiva — Modifiche ed integrazioni alla Deliberazione di Giunta regionale n. 538/07”, con il quale la Regione, disattendendo completamente il proprio precedente orientamento (di cui alla Deliberazione 538 del 9 maggio 2007, richiamata dalla Provincia appellante), ha chiarito che “il recupero delle cave autorizzate può essere eseguito anche con l’impiego dei rifiuti non pericolosi, individuati nell’Allegato I — Suballegato I — del Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio del 5 aprile 2006, n. 186, secondo le previsioni del progetto di recupero approvato da questo Settore e a condizione che il titolare dell’autorizzazione di cava sia iscritto all’Albo dei gestori ambientali, Sezione Regionale, istituito presso la Camera di Commercio e che adempia tutti gli obblighi previsti dalla vigente normativa relativa al recupero ambientale dei rifiuti speciali non pericolosi di cui all’Allegato I- Suballegato I appena citato, ai sensi degli art. 214-216 del d. tg. 3 aprile 2006, n. 152” (doc. n. 23 e 24 allegati alla memoria dell’impresa appellata).

Sussistendo un contrasto in relazione all’interpretazione della normativa comunitaria sopra richiamata questa Sezione sospendeva il presente giudizio, rimettendo alla Corte di Giustizia dell’UE la seguente questione pregiudiziale ex art. 267 del TFUE: “Se l’art. 10, par. 2, della direttiva comunitaria 2006/21/CE si debba interpretare nel senso che l’attività di riempimento della cava (il quesito parlava di discarica ma si tratta con tutta evidenza di un refuso)— qualora sia posta in essere mediante rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione – debba sempre soggiacere alla normativa in materia di rifiuti contenuta nella direttiva 1999/31/CE anche nel caso in cui non si tratti di operazioni di smaltimento rifiuti, ma di recupero” .

Con la pronunzia della IV Sezione in data 28 luglio 2016, la Corte di Giustizia ha risposto al quesito come segue: “I rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione possono ricadere nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/31 soltanto nel caso in cui essi vengano messi in discarica in vista del loro smaltimento, e non qualora essi costituiscano l’oggetto di un recupero. È in tal senso che occorre interpretare l’articolo 3, paragrafo 2, della citata direttiva 1999/31, il quale esclude dall’ambito di applicazione di quest’ultima l’uso di rifiuti inerti idonei in lavori di accrescimento/ricostruzione e riempimento o a fini di costruzione nelle discariche. Pertanto, l’articolo 10, paragrafo 2 della direttiva 2006/21 deve essere interpretato nel senso che esso non produce l’effetto di assoggettare alle prescrizioni della direttiva 1999/31 l’operazione di riempimento di una cava mediante rifiuti diversi da quelli di estrazione, nel caso in cui tale operazione costituisca un’operazione non di smaltimento, bensì di recupero di tali rifiuti. Al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, occorre ulteriormente stabilire in quali circostanze l’operazione di riempimento di una cava mediante rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione possa essere considerata come un’operazione di recupero. Tenuto conto di quanto si è esposto ai punti da 41 a 46 della presente sentenza, incombe al giudice del rinvio verificare se, da un lato, la Edilizia Mastrodonato procederebbe al riempimento dei vuoti di miniera della cava che le appartiene anche nel caso in cui essa dovesse rinunciare ad utilizzare a questo scopo rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione e se, da un altro lato, i rifiuti che si prevede di utilizzare siano appropriati ai fini di tale operazione di riempimento. L’operazione in discussione nel procedimento principale potrà essere qualificata come recupero soltanto se e in quanto siano soddisfatte queste due condizioni cumulative. A questo proposito risulta dalla risposta fornita dal giudice del rinvio alla richiesta di chiarimenti formulata dalla Corte che i rifiuti in discussione nel procedimento principale sono di natura molto varia e che essi comprendono probabilmente rifiuti non inerti o addirittura pericolosi, i quali, come si è stabilito, al punto 47 della presente sentenza, non sono appropriati per un’operazione di riempimento di una cava. Spetta tuttavia al giudice nazionale, che è competente in via esclusiva a valutare i fatti di causa, stabilire se il progetto di riempimento dei vuoti di miniera della cava appartenente alla Edilizia Mastrodonato soddisfi i requisiti ricordati al punto precedente”

La Corte ha dunque risposto al quesito formulando il seguente principio: “L’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2006/21/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE deve essere interpretato nel senso che esso non produce l’effetto di assoggettare alla prescrizioni della direttiva 199/31/CE del Consiglio del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti, l’operazione di riempimento di una cava mediante rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione nel caso in cui tale operazione costituisca un recupero di tali rifiuti, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare”.

La Corte di Giustizia ha, dunque, statuito che l’attività di riempimento di una cava non è sottoposta alla normativa prevista per le discariche di cui alla Direttiva 1999/31/CE ed alla relativa legge italiana di attuazione di cui al d.lgs. n. 36/2003 (oggi art. 208, d.lgs. n. 152/2006) ove sia preordinata al mero recupero ambientale e condotta con i materiali previsti per il recupero stesso, circostanze che il giudice del rinvio è chiamato a verificare.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha altresì precisato che, nel caso di specie, il Giudice nazionale dovrà qualificare tale attività quale attività di recupero ambientale in presenza di due condizioni cumulative:

a) se la società “Edilizia’ Mastrodonato” procederebbe al riempimento di vuoti di miniera di cava che le appartiene anche nel caso in cui dovesse rinunciare ad utilizzare a questo scopo rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione;

b) se i rifiuti che si prevede di utilizzare siano appropriati ai fini di tale operazione di riempimento.

Con riferimento al requisito sub a), la società appellata ha fatto rilevare che qualora essa rinunciasse a riempire la cava in parola con rifiuti diversi da quelli di estrazione opterebbe per il ricolmamento della stessa con “terre e rocce da scavo”, risultando già autorizzata, ai sensi del Regolamento regionale n. 5/2011, a riempire la cava con tale tipologia di materiale, giusta determinazione n. 75 del 21.09.2011, a firma del Dirigente del Servizio Attività estrattive della Regione Puglia. Inoltre, l’appellata ha evidenziato che nella relazione tecnica integrativa relativa al progetto di recupero ambientale per cui è causa la ditta ha già previsto di realizzare una parte del riempimento con 50.000 mc. di stabilizzato di cava, ovvero di materia prima ottenuta dalla frantumazione della roccia calcarea, osservando tuttavia che l’eventuale autorizzazione al riempimento della cava con rifiuti inerti e non pericolosi, diversi da quelli di estrazione, consentirebbe di utilizzare meno risorse naturali (quali ad esempio lo stabilizzato di cava): ciò in linea con quanto evidenziato dalla Corte di Giustizia dell’U.E. con la sentenza del 28.07.2016, resa inter partes, laddove si legge: “La caratteristica essenziale di un’operazione di recupero di rifiuti consiste nel fatto che il suo obiettivo principale è che i rifiuti possano svolgere una funzione utile, sostituendosi all’uso di materiali che avrebbero dovuto essere utilizzati per svolgere tale funzione, il che consente di preservare le risorse naturali”.

Peraltro l’operazione di ricolmamento della cava dovrebbe comunque attuarsi, atteso che la Valutazione d’impatto ambientale fra le varie alternative sottoposte (fra le quali anche quella di non riempiere la cava) ha ritenuto preferibile dal punto di vista paesaggistico quella del ritombamento della cava, allo scopo di assicurare che le aree degradate soggette ad attività di scavo fossero restituite all’ambiente circostante nella configurazione morfologica il più possibile vicina a quella originaria.

Alla luce di quanto su esposto, il Collegio ritiene che sussista nel caso di specie il primo requisito richiesto dalla Corte di Giustizia Europea per non assoggettare l’attività di recupero per cui è causa alla normativa prevista per le discariche di rifiuti.

Con riferimento al requisito sub b), si osserva che l’attività oggetto del presente giudizio deve considerarsi di recupero in quanto la società “Edilizia Mastrodonato” intende operare il ricolmamento della cava in parola con “i rifiuti appropriati ai fini di tale operazione di riempimento”.

Ebbene, ai fini dell’operazione di riempimento di una cava, i rifiuti “appropriati” sono solo quelli inerti e non pericolosi.

A tal proposito si rileva che il progetto esecutivo di riempimento della cava presentato dalla società precisava che tale operazione sarebbe avvenuta utilizzando i materiali ex D.M. 05.02.1995, il cui articolo 5 prevedeva e prevede l’uso dei rifiuti non pericolosi indicati nell’Allegato n. 1 del decreto medesimo per le attività di recupero ambientale da realizzarsi attraverso rimodellamenti geomorfologici.

Dal confronto tra i rifiuti non pericolosi indicati nell’Allegato 1, sub allegato 1, al D.M. 05.02.1998 e quelli che l'”Edilizia Mastrodonato” ha elencato nella “Comunicazione di inizio attività” e dalla documentazione versata in atti (in particolare dal citato progetto esecutivo di riempimento della cava nonché dall’allegata relazione integrativa) si ricava che l'”Edilizia Mastrodonato” intende procedere ad un’operazione di recupero ambientale e, nello specifico, a quella di “Spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia ” (espressamente classificata dall’Allegato C al d.lgs. n. 152/2006 e dall’art. 5 D.M. 05.02.1998 come “operazione di recupero ambientale” soggetta alle procedure semplificate ex artt. 214 e 216 d.lgs. n. 152/2006) utilizzando esclusivamente tipologie di rifiuti non pericolosi.

Tale conclusione è avvalorata anche dalla lettura della nota prot. 11052 del 6 aprile 2012 con la quale il Servizio Attività estrattive della Regione Puglia si è così espresso: “In riferimento alla richiesta in oggetto, prot. PG 0029782 del 24.2.2012, si comunica che la società Edilizia Mastrodonato s.r.l. è stata autorizzata con determinazione n. 75/2011 ad effettuare il recupero ambientale dell’area di cava mediante ricolmamento del sito, come da progetto in atti. Ai fini della realizzazione dell’intervento di cui sopra è dichiarato in progetto l’utilizzo di materiali ammessi dalla normativa in materia di rifiuti utilizzabili per recuperi ambientali (D.M. 5.2.1998 e succ. D.Lgs. 186/2006-D.Lgs. 152/2006), come riportato nell’ elaborato di riferimento”.

Alla stregua di quanto su esposto, stante la sussistenza di entrambi i requisiti cumulativamente individuati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea l’attività di riempimento della cava, oggetto del presente giudizio, deve considerarsi di recupero e, dunque non assoggettabile alla normativa in materia di discariche di rifiuti (ex art. 208 d.lgs. n. 152/2006).

Il Collegio ritiene, pertanto, di condividere l’interpretazione della normativa di cui alla sentenza impugnata la quale così ha motivato il proprio convincimento: “L’Amministrazione Provinciale non può, pertanto, subordinare tale attività che- per quanto detto va evidentemente qualificata di recupero ambientale in considerazione delle concrete caratteristiche della fattispecie all’autorizzazione di cui all’art. 208 cod. amb.: fermo restando il controllo circa le concrete modalità con cui il riempimento in questione verrà realizzato, che dovrà essere conforme a legge e al piano di recupero già approvato in particolare quanto alla tipologia di rifiuti utilizzabili (esclusivamente rifiuti non pericolosi di cui all’all.1, sub. All. 1 del D.M. 5.2.1998, sulla quantità consentite”.

Tale orientamento appare altresì conforme alle Conclusioni formulate dall’Avvocato Generale in relazione al quesito sottoposto alla Corte di Giustizia in sede del su indicato rinvio pregiudiziale: “Quand’anche il riempimento di una cava dovesse essere considerato un recupero, ciò comunque non significa che l’ambiente non sia sufficientemente tutelato. È vero che in tale caso le rigorose e dettagliate disposizioni della direttiva discariche non troverebbero applicazione, ma le prescrizioni generali del diritto in materia di rifiuti, in particolare l’obbligo in merito alla tutela della salute umana e dell’ambiente di cui agli articoli 1 e 13 della direttiva relativa ai rifiuti, in linea di principio continuano ad applicarsi al recupero di rifiuti. Anche se tali disposizioni non precisano il contenuto delle misure che devono essere adottate, esse vincolano nondimeno gli Stati membri in merito all’obiettivo da raggiungere, lasciando agli stessi un potere discrezionale nella valutazione della necessità di tali misure 22.

Tra queste rientreranno in particolare misure per impedire il deposito di rifiuti non idonei, per esempio un’ispezione dei rifiuti utilizzati, quale quella prevista all’articolo 11 della direttiva discariche.”

Alla luce delle emergenze processuali, il Collegio ritiene che, come correttamente statuito dal Giudice di Prime Cure, l’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 117/2008, che la P.A. appellante invoca a sostegno del proposto gravame, sia del tutto inconferente con la fattispecie per cui è causa, che è invece pienamente riconducibile ad un’operazione di recupero ambientale, come tale assoggettata alla procedura semplificata di cui agli artt. 214 e 216 d.lgs. n. 152/2006, correttamente attivata dalla società appellata.

2.1. Con il secondo motivo di appello, la Provincia di Bari ha dedotto la violazione, nel caso di specie, anche della Legge Regionale n. 11 del 2001 e della direttiva 2011/92/UE.

In relazione a tale profilo, la Provincia ha evidenziato che la comunicazione per l’esercizio dell’attività di recupero, oltre all’autorizzazione all’esercizio della discarica, necessita anche della preventiva valutazione di impatto ambientale, asserendo che nella fattispecie oggetto di giudizio, la comunicazione per l’esercizio dell’attività di recupero di rifiuti non pericolosi in procedura semplificata, oltre che improcedibile per omessa autorizzazione alla discarica, sarebbe altresì improcedibile per omessa acquisizione preventiva della valutazione di impatto ambientale, secondo le vigenti norme comunitarie, oltre che nazionali e regionali. In particolare risulterebbe violata la legge regionale n. 11 del 2001 che prevede la valutazione di impatto ambientale obbligatorio per le discariche di rifiuti speciali, ad esclusione delle discariche per inerti con capacità sino 50.000 mc: nel caso di specie tale capacità progettuale sarebbe ampiamente superata.

2.2. La censura è destituita di ogni fondamento.

Sul punto è sufficiente evidenziare che, come emerge dalla documentazione depositata in atti, l’appellata ha ottenuto la prescritta V.I.A. con determinazione dirigenziale della Regione Puglia n. 410/2007 e il successivo rinnovo, con ulteriore atto dirigenziale n. 6/2011, oltre che per la coltivazione di cava di pietra calcarea anche per il ricolmamento di essa con espressa comunicazione al comitato V.I.A. del tipo e della quantità di rifiuti trattati.

Infine la Provincia appellante ha dedotto che, quand’anche nel caso in esame si trattasse di operazione di recupero ambientale e non già di attività di discarica, sarebbe comunque necessaria, in forza della Legge Regionale n. 11/2001, la “preventiva procedura di verifica di assoggettabilità”, in ragione della circostanza che i rifiuti inerti R 13 non pericolosi sarebbero nella specie superiori a 30.000 mc..

Invero proprio dall’esame della tabella contenuta alle pagine 77-78 della Comunicazione del 25.01.2012 dell’appellata si ricava che, sommando la “quantità massima stoccabile” dei rifiuti inerti non pericolosi, denominati R 13, essi possono al massimo ammontare a 2140 tonnellate, pari a 1070 metri cubi: cifra lontanissima da quei 30.000 mc. oltre i quali la normativa regionale richiamata dall’appellante prevede la verifica di assoggettabilità in parola. Pertanto anche tale motivo d’appello è infondato e non meritevole di accoglimento.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, rigetta l ‘appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

La novità e la complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione della spese del presente giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Angela Rotondano, Consigliere, Estensore

Scarica in pdf il testo della sentenza: Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4690-2017