Inquinamento del suolo. Rifiuti, bonifica, principio “chi inquina paga”, terzo proprietario incolpevole. T.A.R. Toscana.

T.A.R. Toscana,  Sez. II, sentenza n. 541 del 10 aprile 2017 (ud. 29 marzo 2017)

Pres. Romano, Est. Viola

Inquinamento del suolo. Bonifica e messa in sicurezza d’emergenza. Principio “chi inquina, paga”. Soggetto responsabile dell’inquinamento. Proprietario incolpevole. Obbligo di bonifica desunto dall’art. 2051 c.c. . Contraddizione con i criteri di imputazione dettati dagli artt. 240 e ss. del d.lgs. n. 152/2006. Procedimenti in materia di bonifica ambientale. Contraddittorio con gli interessati. Fase istruttoria. Accertamenti analitici. Applicabilità dell’art. 223 disp. att. c.p.p.

L’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità. L’Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento. L’enunciato è conforme al principio “chi inquina, paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1906 del 2011, proposto da:
Sa.Ge.Van Marmi s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Pilade Chiti, Antonella Vergine, con domicilio eletto presso lo studio Mario Pilade Chiti in Firenze, via Lorenzo il Magnifico n. 83;

contro

Comune di Carrara, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Sonia Fantoni, Marina Vannucci, con domicilio eletto presso lo studio Domenico Iaria in Firenze, via dei Rondinelli 2;
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Firenze, via degli Arazzieri 4;
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Toscana, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Fabio Ciari, con domicilio eletto presso lo studio – Ufficio Legale Regione Toscana in Firenze, piazza dell’Unità Italiana, 1;

nei confronti di

Agenzia Sviluppo Industriale Asi S.p.A., Bnp Paribas Lease Group S.p.A. (già Locafit – Locazione Macchinari Industriali S.p.A.) non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

– del Provvedimento Autorizzativo Unico 9 agosto 2011, n. 14 del Comune di Carrara, in parte qua recepisce e trasferisce suiIa ricorrente le prescrizioni di cui al parere ARPAT prot. n. 53155 del 4.8.2011, relative all’installazione del piezometri;

del Parere ARPAT – dipartimento Provinciale di Massa e Carrara prot. n. 53155 cl.DP_MS.01.17.04/303.2 del 4.8.2011 in parte qua prescrive l’esecuzione, da parte della ricorrente di controlli della falda, attrezzando idonei piezometri;

e di ogni altro atto connesso, conseguente o presupposto, ancorché incogniti alla ricorrente ed in particolare del parere dell’ARPAT Direzione Provinciale Massa ··carrara del 17.10.2008 in parte qua prescrive l’esecuzione, da parte della ricorrente di controlli della faIda, attrezzando idonei piezometri;

nonché per il risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla ricorrente a causa dell’ illegittimità dei provvedimenti impugnati, nella misura che sarà quantificata in corso di causa come sarà ritenuta di giustizia.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Carrara, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Toscana;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 marzo 2017 il dott. Luigi Viola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’odierna ricorrente opera nel settore della lavorazione e trasformazione di materiali lapidei; la stessa è attualmente proprietaria di un’area sita in Carrara loc. Avenza, ove è collocata la sede della società, oltre al capannone per la trasformazione dei marmi ed i locali adibiti ad uffici amministrativi.

Tale area è nella disponibilità di Sa.ge.van fin dal marzo 1998, in forza di un contratto di locazione finanziaria sottoscritto con la Locafit s.p.a., la quale aveva acquistato il bene dalla ASI s.p.a. originaria proprietaria dell’intero comparto Italiana Coke; nel 2002 la ricorrente ha poi riscattato il bene concesso in locazione finanziaria, divenendone proprietaria.

La suddetta area corrisponde ai lotti di terreno originariamente contraddistinti dai nn. 10 e 11 del sito denominato ex Italiana Coke, oggi interamente ricompreso nel più ampio S.I.N. (Sito di interesse Nazionale) di Massa-Carrara, istituito con l. 426/1998 (e successivamente perimetrato con d.m. 21 dicembre 1999).

Nel corso dell’anno 2008, la ricorrente inoltrava all’Amministrazione Comunale di Carrara apposita richiesta per il rilascio di autorizzazione alla realizzazione ed installazione di una tettoia ad uso deposito e stoccaggio materiali nell’area scoperta di sua proprietà.

In sede di rilascio del parere di competenza in merito alla suddetta richiesta, A.R.P.A.T. esprimeva parere favorevole con prescrizioni; tali prescrizioni avevano ad oggetto, per quanto qui rileva, l’esecuzione, a cura della società ricorrente, di un controllo della falda mediante idonei piezometri. Tale prescrizione trovava il proprio fondamento nella premessa del suddetto parere, in cui si precisava che la ditta in oggetto non aveva provveduto in precedenza a <<quanto richiesto nelle conferenze di servizi presso il MATTM per quanto riguarda gli accertamenti sulle acque di falda>>.

Ritenendo che si trattasse di una svista dell’Ufficio competente dell’A.R.P.A.T. (non essendo l’odierna ricorrente compresa tra le ditte destinatarie delle richieste delle conferenze dei servizi tenutesi negli anni presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed essendo il sito ormai bonificato), la ricorrente avanzava al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare un’istanza espressamente volta a chiarire l’erroneità della prescrizione dell’ A.R.P.A.T.

Con nota 5 agosto 2010 prot. n. 20269/Tri/Di, il Direttore della Direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, pur premettendo che l’area di proprietà della ricorrente era effettivamente bonificata e precisando che la presenza di sostanze nocive in concentrazione superiore alla soglia era stata riscontrata in aree diverse da quella della ricorrente (ma, pur sempre, ricadenti all’interno del sito della ex Italiana Coke), riteneva di poter confermare <<la richiesta formulata da A.R.P.A.T. di eseguire il controllo della falda attrezzando idonei piezometri>>, preannunciando altresì, nell’ipotesi di conferma del superamento dei valori limite anche nell’area della ricorrente, la necessità di adottare <<idonei interventi di messa in sicurezza d’emergenza finalizzati ad impedire la diffusione delle acque di falda contaminate all’esterno dell’area in oggetto e verso il bersaglio costituito dal mare>>.

La società ricorrente impugnava il provvedimento sopra richiamato con il ricorso R.G. n. 1924/2010 che era accolto dalla Sezione, con la sentenza 29 aprile 2016, n. 739, che disponeva l’annullamento del provvedimento impugnato.

Con provvedimento autorizzativo unico 9 agosto 2011, n. 14, il Responsabile del Settore Urbanistica e S.U.A.P. del Comune di Carrara accoglieva l’istanza di variante al provvedimento autorizzativo unico 20 novembre 2008 n. 20 presentata dalla ricorrente in data 8 agosto 2011 e relativa a minime variazioni (ampliamento planimetrico tettoia autorizzata; adeguamento fondazioni; realizzazione di una scala esterna; ecc.), recependo la prescrizione prevista dalla nota 4 agosto 2011, n. 53155 di A.R.P.A.T.-Dipartimento di Massa e Carrara relativa al <<controllo della falda mediante idonei piezometri>>; l’unica motivazione dell’imposizione del controllo della falda mediante idonei piezometri era rintracciabile nella relazione tecnica allegata alla nota 4 agosto 2011, n. 53155 di A.R.P.A.T.-Dipartimento di Massa e Carrara che così motivava: <<la ditta non ha provveduto ad ottemperare a quanto richiesto nelle conferenze di servizi presso il MATTM per quanto riguarda gli adempimenti sulle acque di falda sottostanti le aree incluso nel perimetro della ex Italiana Coke>>.

Gli atti sopra richiamati erano impugnati dalla ricorrente, limitatamente alla parte riguardante l’imposizione del controllo della falda mediante idonei piezometri, sostanzialmente per gli stessi motivi già posti a base del ricorso R.G. n. 1924/2010 ed in particolare, per: 1) violazione e/o falsa applicazione d.lgs. 152/2006, art. 73 e 250, eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, violazione del principio di proporzionalità; 2) violazione e/o falsa applicazione d.lgs. 152/2006, art. 240, dell’art. 174 Trattato UE, violazione del principio di proporzionalità, difetto di motivazione e illogicità manifesta, disparità di trattamento; 3) eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione art. 242 del d.lgs. 152/2006 e del principio di proporzionalità e sostenibilità dei costi; 4) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 17 del d.lgs. 22 del 1997 sotto altro profilo, dell’art. 9 del d.m. 471/1999, dell’art. 51 bis del d.lgs. 22/1997 e dell’art. 114, 7° comma della l. 388/2000, degli artt. 240 e ss. del d.lgs. 152/2006, dell’art. 3 della l. 241 del 1990, eccesso di potere per assenza assoluta di motivazione, violazione e/o falsa applicazione artt. 174 Trattato UE; con il ricorso era altresì richiesto il risarcimento (mai quantificato in corso di causa) dei danni derivanti dagli atti impugnati (domanda poi rinunciata con la memoria di replica del 7 marzo 2017

Si costituivano in giudizio il Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, il Comune di Carrara e A.R.P.A.T., controdeducendo sul merito del ricorso.

Alla pubblica udienza del 29 marzo 2017 il ricorso passava quindi in decisione.

DIRITTO

L’azione di annullamento è fondata e deve pertanto essere accolta.

Già nella parte in fatto della sentenza è stato evidenziato come l’imposizione alla ricorrente del controllo della falda mediante idonei piezometri sia stata determinata solo dalla mancata ottemperanza della ricorrente <<a quanto richiesto nelle conferenze di servizi presso il MATTM per quanto riguarda gli adempimenti sulle acque di falda sottostanti le aree incluso nel perimetro della ex Italiana Coke>> (così la relazione tecnica allegata alla nota 4 agosto 2011, n. 53155 di A.R.P.A.T.-Dipartimento di Massa e Carrara); appare pertanto del tutto sufficiente richiamare quanto già esaurientemente sostenuto nella precedente sentenza 29 aprile 2016, n. 739 della Sezione in ordine all’illegittimità dell’imposizione di una simile prescrizione ad opera del M.A.T.T.M.

La problematica dell’attuale conformazione del principio “chi inquina paga” dopo l’intervento di Corte giust. UE, sez. III, 4 marzo 2015 n. 534 è stata affrontata dalla Sezione con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 1676, che può essere richiamata, anche in funzione motivazionale della presente decisione: <<la problematica è già stata affrontata dalla Sezione con numerose decisioni (T.A.R. Toscana, sez. II, 11 maggio 2010 n. 1397 e 1398, 19 ottobre 2012 n. 1659, 1664 e 1666), spesso rese con riferimento al S.I.N. di Massa-Carrara …(che così hanno concluso): “come questa Sezione ha più volte avuto modo di affermare (cfr., ex multis, T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665; id., 6 maggio 2009, n. 762), tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (cfr., nello stesso senso, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254). L’Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente disciplina, T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320). L’enunciato è conforme al principio “chi inquina, paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.

Tale impostazione, sancita dal d.lgs. n. 22/1997, risulta, come detto, confermata e specificata dagli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice Ambiente), dai quali si desume l’addossamento dell’obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, al responsabile dell’inquinamento, che potrebbe benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell’area interessata (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 665/2009, cit.).

Va precisato, in argomento, che il principio “chi inquina, paga” vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d’emergenza, alle quali si riferiscono le Conferenze di Servizi per cui è causa, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall’art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente). Infatti, anche l’adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell’inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).

Si deve sottolineare che a carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava infatti che, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso – e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355; T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 settembre 2009, n. 1448)……Del resto, l’obbligo di procedere alla bonifica dell’area non potrebbe neanche essere desunto, come preteso dagli atti impugnati, dall’applicazione della previsione dell’art. 2051 c.c. (che regolamenta la responsabilità civile del custode); a prescindere da ogni considerazione relativa all’aspetto temporale della problematica (che richiederebbe l’accertamento della qualità di custode dell’area al momento dell’inquinamento e non in un periodo di tempo di molto successivo, come avvenuto nel caso di specie), deve, infatti, rilevarsi come si tratti di un criterio che si presenta in contraddizione con i precisi criteri di imputazione degli obblighi di bonifica previsti dagli artt. 240 e ss. e 252-bis, 2° comma del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

In buona sostanza, si tratta pertanto di una disciplina esaustiva della problematica che non può certo essere integrata dalla sovrapposizione di principi (come quello previsto dall’art. 2051 c.c.) desunti da diversa normativa e che determinerebbero la sostanziale alterazione di un contenuto normativo improntato a ben diversi principi” (T.A.R. Toscana, sez. II, 19 ottobre 2012 n. 1659, 1664 e 1666).

L’impostazione seguita dalla Sezione è poi stata pienamente confermata, sotto il profilo del diritto interno, dall’ordinanza 25 settembre 2013 n. 21 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (resa proprio sugli appelli proposti sulle sentenze 19 ottobre 2012 n. 1659, 1664 e 1666 della Sezione), che ha così concluso: “emerge, quindi, come l’orientamento interpretativo di gran lunga prevalente escluda la possibilità per l’Amministrazione nazionale di imporre al proprietario non responsabile della contaminazione misure di messa in sicurezza d’emergenza o di bonifica del sito inquinato. A tale indirizzo, l’Adunanza Plenaria ritiene di dover dare continuità, in quanto esso, alla luce delle considerazioni già svolte, esprime l’unica interpretazione compatibile con il tenore letterale delle disposizioni in esame”.

Sotto il profilo del diritto comunitario, la soluzione è poi stata confermata da Corte giust. UE, sez. III, 4 marzo 2015 n. 534 (resa sul rinvio pregiudiziale operato da Cons. Stato, ad plen. ord. 25 settembre 2013 n. 21) che ha rilevato come “l’articolo 191, paragrafo 2, TFUE non p(ossa) essere invocato dalle autorità competenti in materia ambientale per imporre misure di prevenzione e riparazione in assenza di un fondamento giuridico nazionale” (punto n. 41 della motivazione) e ricapitolato, sulla base della propria precedente giurisprudenza, le condizioni di applicabilità della direttiva 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale); in particolare le condizioni di applicabilità della dir. 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE sono state individuate:

a) nel fatto che l’”evento o … incidente” fonte di inquinamento si sia verificato il 30 aprile 2007 o successivamente (punto n. 44 della motivazione);

b) nella possibilità, al fine del riconoscimento della responsabilità oggettiva, di riportare l’autore dell’inquinamento alla tipologia di operatore ed alle lavorazioni previste dall’Allegato III alla direttiva (punto n. 53);

c) nel riconoscimento (in aggiunta o in sostituzione dell’elemento riportato alla lettera precedente, in questo caso con riferimento alla responsabilità da dolo o colpa) della sussistenza di un nesso causale tra le attività svolte e l’inquinamento (punti 54 e ss. della motivazione)>> (T.A.R. Toscana, sez. II, 9 dicembre 2015, n. 1676).

Nel caso di specie, l’Amministrazione resistente non ha depositato in giudizio alcun accertamento istruttorio volto a determinare la sussistenza dei presupposti soggettivi per l’imposizione, a carico dell’odierna ricorrente, degli obblighi di controllo ambientale (mediante installazione dei piezometri) e di messa in sicurezza; per di più, la semplice lettura del provvedimento impugnato evidenzia come la conferma dell’obbligo d’installazione dei piezometri derivi sostanzialmente dalla qualità sopravvenuta di proprietario dell’area e non di responsabile dell’inquinamento e come non sia stato effettuato alcun accertamento in ordine alla sussistenza dei tre requisiti della responsabilità richiamati da Corte giust. UE, sez. III, 4 marzo 2015 n. 534.

In ogni caso, non sono poi state contestate, in punto di fatto, le affermazioni di parte ricorrente relative all’acquisizione della proprietà dell’area in un momento successivo, non solo all’inquinamento, ma anche alla bonifica dell’area; le stesse possono pertanto essere considerate oggetto di ammissione giudiziale ex art. 64, 2° comma c.p.a. e pertanto utilizzate dalla Sezione per la decisione della fattispecie.

Del resto, il provvedimento impugnato sarebbe comunque viziato anche per violazione del principio del contraddittorio, come già rilevato dalla Sezione, con la sentenza 3 marzo 2010, n. 594, resa con riferimento ad altro lotto ricadente nel comparto dell’ex Italiana Coke; <<invero, con una recente decisione (T.A.R. Toscana, Sez. II, 6 maggio 2009, n. 762) questa Sezione ha già avuto modo di chiarire che, nei procedimenti in materia di bonifica ambientale, è necessario che la P.A. consenta ai soggetti destinatari delle prescrizioni dettate dalla stessa P.A. di partecipare al relativo procedimento (articolato in una o più Conferenze di Servizi, istruttorie e decisorie). Ciò, quantomeno, con riguardo alle fasi procedimentali in cui emerge l’esistenza di una contaminazione del terreno e della falda acquifera nell’area in esame e che poi sfociano nelle determinazioni assunte dalla Conferenza di Servizi decisoria. È evidente, infatti, che l’onerosità degli obblighi imposti agli interessati impone di instaurare con questi ultimi un ampio contraddittorio. Del resto, è pacifica in giurisprudenza l’affermazione che l’attività istruttoria del procedimento di bonifica deve prevedere la partecipazione del soggetto interessato; in particolare, gli accertamenti analitici vanno eseguiti in contraddittorio (v. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1913; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 27 luglio 2001, n. 488).

Sotto quest’ultimo profilo, non si potrebbe ribattere che lo stato di contaminazione dei suoli forma oggetto di un accertamento tecnico, avente natura di attività vincolata, per il quale, quindi, non sono invocabili i principi in tema di giusto procedimento di cui alla l. n. 241/1990. Né potrebbe obiettarsi che incombe sulla ricorrente fornire un principio di prova per far ritenere che i rilevamenti effettuati dalla P.A. non siano stati corretti: principio di prova non fornito nel caso in esame.

In contrario, si richiama la giurisprudenza poc’anzi indicata, secondo cui, nell’attività istruttoria del procedimento di bonifica, il contraddittorio procedimentale si appalesa necessario in particolare per gli accertamenti analitici (v. T.A.R. Lombardia, Sez. I, n. 1913/2007, cit.): ciò, atteso che l’onere di effettuare gli accertamenti in contraddittorio con le parti interessate risponde ad evidenti ragioni di trasparenza e pubblicità, principi del diritto vivente cui la P.A. si deve uniformare in ogni momento della propria azione, oltre che all’interesse pubblico all’imparzialità dell’azione amministrativa. Va poi rilevato che, ad avviso di altra giurisprudenza, in materia sarebbe applicabile l’art. 223 disp. att. c.p.p., secondo cui, qualora, nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti, si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, l’organo procedente deve, anche oralmente, dare avviso all’interessato dell’ora e del luogo di effettuazione delle analisi, in funzione del diritto dello stesso di presenziare a queste, di persona o tramite persona di fiducia da lui designata, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico (cfr. T.A.R., Lombardia, Sez. I, 11 novembre 2003, n. 4982, che, in proposito, ricorda l’orientamento della Cassazione, per cui la disposizione è applicabile anche alle analisi di campioni finalizzate a verificare l’esistenza di illeciti puniti con sanzioni amministrative)>> (T.A.R. Toscana, sez. II, 3 marzo 2010, n. 594).

In definitiva, le stesse ragioni che hanno portato all’annullamento disposto con la precedente sentenza 29 aprile 2016, n. 739 portano all’accoglimento anche dell’azione di annullamento proposta in questa sede ed all’annullamento della prescrizione in ordine al <<controllo della falda mediante idonei piezometri>> apposta agli atti impugnati (che si presenta meramente conseguenziale alle prescrizioni imposte dal M.A.T.T.M.); per quanto riguarda l’azione risarcitoria la Sezione non può che prendere atto della rinuncia all’azione contenuta nella memoria di replica depositata in data 7 marzo 2017.

La particolarità della fattispecie giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

a) accoglie l’azione impugnatoria, come da motivazione e, per l’effetto, dispone l’annullamento della prescrizione in ordine al <<controllo della falda mediante idonei piezometri>> apposta agli atti impugnati;

b) dà atto della rinuncia all’azione risarcitoria contenuta nelle memoria di replica del 7 marzo 2017.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 29 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Saverio Romano, Presidente

Luigi Viola, Consigliere, Estensore

Riccardo Giani, Consigliere