URBANISTICA. La definizione di “pergolato” e i manufatti sottratti a titolo edilizio. Cassazione Penale n. 8090/2022.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 8090 del 7 marzo 2022 (ud. del 16 novembre 2021)

Pres. Marini, Est. Aceto

Urbanistica. Definizione di pergolato. Art. 44, lett. c) D.P.R. n. 380/2001.

Un’opera può definirsi un pergolato quando si tratti di un manufatto leggero, amovibile e non infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 8090 del 7 marzo 2022 (ud. del 16 novembre 2021)

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Crotone ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 21/07/2021 del Tribunale di Crotone che, accogliendo la richiesta di riesame della sig.ra OMISSIS, ha annullato il decreto del 09/06/2021 dello stesso PM che, ipotizzando il reato di cui all’art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, aveva disposto il sequestro probatorio di un manufatto in legno del quale si ipotizza la realizzazione in assenza di permesso di costruire.

1.1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza degli artt. 253 e 324 cod. proc. pen., e 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001. Afferma che si tratta di opera inamovibile e che il Tribunale del riesame ha esorbitato dalle sue attribuzioni anticipando la conclusione investigativa al cui accertamento il sequestro probatorio era finalizzato.

1.2. Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 6, lett. e), e 44 d.P.R. n. 380 del 2001. Sostiene che la amovibilità non esclude di per sé la necessità del permesso di costruire. Lamenta, altresì, la mancata valutazione delle esigenze che l’opera intendeva soddisfare, esigenze che rendono il dato strutturale insufficiente ai fini della valutazione sulla necessità o meno del permesso di costruire.

1.3. Con il terzo motivo deduce la mancanza assoluta di motivazione sulla amobivilità dell’opera, smentita dalla relazione del tecnico comunale che la descrive come stabilmente infissa al suolo.

2. Il PG di questa Corte ha chiesto l’accoglimento del ricorso del PM ed il conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata.

3. Con memoria del 27/10/2021, i difensori della sig.ra OMISSIS hanno chiesto il rigetto del ricorso del PM. Con successiva memoria integrativa del 03/11/2021 hanno interloquito sulla richiesta del PG di questa Corte contestandone le conclusioni e ribadendo la richiesta di rigetto del ricorso introduttivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. I motivi, attesa la loro stretta connessione logico-giuridica, possono essere esaminati congiuntamente.

2.1. Dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che, a seguito di sopralluogo del 17 maggio 2021 e del 7 giugno 2021, era stata accertata la realizzazione di un «manufatto in legno, tipo gazebo/pergola parasole, composto da pilastri in legno con copertura in tessuto». Il Tribunale ha escluso la rilevanza penale del fatto «in quanto l’opera asseritamente abusiva si sostanzia in un pergolato, non fissato al suolo in via inamovibile e costruito in legno, rientrante dunque nella categoria dell’edilizia libera per la quale non è necessario il rilascio del permesso di costruire, ma è sufficiente una semplice SCIA». Esclusa la possibilità di ritenere la violazione dell’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 e delle prescrizioni per gli interventi realizzati in zona sismica, siccome non contestate dal PM procedente, il Tribunale ha altresì escluso che, in relazione, al concorrente reato di cui all’art. 734 cod. pen. sussistessero le esigenze probatorie trattandosi di opera «sottoposta ad accurati rilievi fotografici, indicata in ortofoto e analizzata con relazione del tecnico comunale».

2.2. Fermo restando quanto oltre si dirà in ordine al regime edilizio del manufatto oggetto di contestazione, la Corte di cassazione ricorda che il sequestro probatorio è un mezzo di ricerca della prova sicché per la sua adozione non è necessario che il “fatto” sia accertato in ogni sua componente, ma è sufficiente che sia ragionevolmente presumibile o probabile anche attraverso elementi logici (Sez. 3, n. 2761 del 27/06/1991, Rv. 187816 – 01). Diversamente dal sequestro preventivo (misura cautelare reale), esso costituisce atto tipico di indagine messo a disposizione del pubblico ministero per riscontrare la fondatezza della notizia di reato e assumere le proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale. Sarebbe irragionevole pretendere, come condizione di legittimità del sequestro probatorio, la preesistenza del risultato probatorio che con la sua adozione si intende acquisire.

2.3. Di qui il consolidato insegnamento della Corte di cassazione secondo il quale se è vero che, in sede di riesame del sequestro probatorio, il tribunale deve stabilire l’astratta configurabilità del reato ipotizzato e che tale astrattezza non limita i poteri del giudice nel senso che questi deve esclusivamente “prendere atto” della tesi accusatoria senza svolgere alcun’altra attività, ma determina soltanto l’impossibilità di esercitare una verifica in concreto della sua fondatezza, e che alla giurisdizione compete, perciò, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell’ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero, è altrettanto vero che l’accertamento della sussistenza del “fumus commissi delicti” va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, dep. 1997, Bassi, Rv. 206657 – 01; Sez. 3, n. 3465 del 03/10/2019, dep. 2020, Rv. 278542 – 01; Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, Rv. 267007 – 01; Sez. 3, n. 15254 del 10/03/2015, Rv. 263053 – 01; Sez. 3, n. 15177 del 24/03/2011, Rv. 250300 – 01).

2.4. Nel caso di specie, il bene immobile è stato sequestrato per accertarne la natura eventualmente abusiva ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 3, comma 1, lett. e), e 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001. Il Tribunale, facendo peraltro malgoverno dei principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di “precarietà” delle opere edilizie, ha sostanzialmente anticipato il giudizio di merito sulla liceità del bene sequestrato non già valutando la astratta riconducibilità del fatto al reato ipotizzato dal pubblico ministero ma concludendo senza mezzi termini per la non necessità del permesso di costruire.

2.5. Quanto alla natura precaria dell’opera edilizia, essa non deriva dalla tipologia dei materiali impiegati per la sua realizzazione, tanto meno dalla sua facile amovibilità; quel che conta è la oggettiva temporaneità e contingenza delle esigenze che l’opera è destinata a soddisfare. Chiaro è, in tal senso, il dettato normativo che, nel definire gli interventi di “nuova costruzione”, per i quali è necessario il permesso di costruire o altro titolo equipollente (artt. 10, comma 1°, lett. a, e 23, comma 1°, lett. b, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), individua – tra gli altri e per quanto qui di interesse – i manufatti leggeri, anche prefabbricati, “che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee” (art. 3, comma 1°, lett. e.5, d.P.R. 380 cit.). La natura oggettivamente temporanea e contingente delle esigenze da soddisfare è richiamata anche dall’art. 6, comma 1°, lett. e-bis, d.P.R. 380/2001, per individuare le opere che possono essere liberamente eseguite. Si tratta di criterio che significativamente, sia pure ad altri fini, l’art. 812 cod. civ. utilizza per collocare nella categoria dei beni immobili gli edifici galleggianti saldamente ancorati alla riva o all’alveo e destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione, così diversificandoli dai galleggianti mobili adibiti alla navigazione o al traffico in acque marittime o interne, di cui all’art. 136 cod. nav. e che, a norma dell’art. 815 cod. civ., costituiscono, invece, beni mobili soggetti a registrazione.

2.6. La oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare bisogni non provvisori, la sua conseguente attitudine ad una utilizzazione non temporanea, né contingente, è criterio da sempre utilizzato dalla giurisprudenza di questa Corte per distinguere l’opera assoggettabile a regime concessorio (oggi permesso di costruire) da quella realizzabile liberamente, a prescindere dall’incorporamento al suolo o dai materiali utilizzati (cfr., Sez. 3, n. 9229 del 12/02/1976; Sez. 3, n. 1927 del 23/11/1981; Sez. 3, n. 5497 del 11/03/1983; Sez. 3, n. 6172 del 23/03/1994; Sez. 3, n. 12022 del 20/11/1997; Sez. 3, n. 11839 del 12/07/1999; Sez. 3, n. 22054 del 25/02/2009, quest’ultima con richiamo ad ulteriori precedenti conformi di questa Corte e del Consiglio di Stato). Nemmeno il carattere stagionale dell’attività implica di per sé la precarietà dell’opera (Sez. 3, n. 34763 del 21/06/2011; Sez. 3, n. 13705 del 21/02/2006; Sez. 3, n. 11880 del 19/02/2004; Sez. 3, n. 22054 del 25/02/2009 cit.).

2.7. Si tratta di principio talmente consolidato da far ritenere, per esempio, di natura eccezionale e non applicabile oltre i casi in esse tassativamente previsti, le disposizioni introdotte dalle leggi della Regione Sicilia che, privilegiando il dato strutturale su quello funzionale, hanno ricondotto nell’ambito dell’attività edilizia libera la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, la chiusura di verande o balconi con strutture precarie (così, da ultimo, l’art. 20 l.r. Reg. Sicilia 4/2003 che definisce precarie le strutture realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione) (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 16492 del 16/03/2010 e Sez. 3, n. 35011 del 26/04/2007 che hanno avuto modo di precisare che, in questi casi, la facile amovibilità delle strutture deve essere interpretata in senso assolutamente restrittivo).

2.8. Il riferimento alla temporaneità e alla contingenza dell’esigenza, piuttosto che alle caratteristiche  strutturali dell’opera edilizia ed al materiale impiegato per la sua realizzazione, deriva dal fatto che nella riflessione dottrinaria e giurisprudenziale del secondo dopoguerra si è venuta consolidando la consapevolezza che il territorio non può più essere considerato strumento destinato al solo assetto ed incremento edilizio (art. 1 L. 1150/42), ma come luogo sul quale convergono interessi di ben più ampio respiro che dalle modalità del suo utilizzo (o del suo non utilizzo) possono trovare giovamento o, al contrario, pregiudizio, sì che la sua trasformazione urbanistica ed edilizia (così l’art. 1 L. 10/77 che, si noti, operando un rivolgimento copernicano rispetto all’art. 1 L. 1150/42, ha posto l’attività edilizia in secondo piano rispetto a quella urbanistica) costituisce oggetto di compiuta valutazione e comparazione degli interessi in gioco e, dunque, vera e propria attività di governo (così l’art. 117, comma 3°, Cost.), non sempre, e non solo, appannaggio esclusivo della collettività che lo abita.

2.9. In questo contesto, appare evidente che la temporaneità dell’esigenza che l’opera precaria è destinata a soddisfare è quella (e solo quella) che non è suscettibile di incidere in modo permanente e tendenzialmente definitivo sull’assetto e sull’uso del territorio.

2.10. Il criterio utilizzato dal Tribunale del riesame per escludere (persino) la sussistenza indiziaria (secondo lo standard meno rigido richiesto ai fini del sequestro probatorio) del reato ipotizzato dal PM quale ipotesi di lavoro è dunque fallace, non rilevando né il materiale utilizzato (il legno), né il fatto che non fosse fissato al suolo in modo inamovibile. Al Tribunale sfugge il punto: se l’opera fosse o meno destinata a soddisfare o meno esigenze temporanee.

2.11. I difensori della OMISSIS sostengono, tuttavia, che il “pergolato” è opera che, per la sua funzione ornamentale (“arredo da giardino”), non necessita alcun titolo edilizio e indicano a sostegno il contenuto di atti processuali non allegati alla memoria, né trasmessi dal PM o dal Tribunale del riesame.

2.12. Sul punto occorre fare chiarezza.

2.13. Va in primo luogo osservato, in fatto, che l’opera in questione è costituita da un manufatto composto da quattro pilastri in legno (delle dimensioni di cm. 16×16 l’uno) disposti a maglia rettangolare avente lati mt. 4,4 x 4,4, sui quali era stato installato un graticcio di travi di mt. 5,90 x 6,30; i pilastri erano alti mt. 2,15 da un lato e mt. 2,50 dall’altro; l’opera era bullonata a terra. Tanto risulta dalla relazione tecnica illustrativa redatta dall’UTC del Comune di Santa Severina richiamata nell’ordinanza impugnata ed allegata al ricorso del PM a sostegno del sostanziale travisamento del dato probatorio relativo allo stabile ancoraggio dell’opera al suolo. Non vi é, sul punto, alcun tentativo del PM di indurre in errore la Corte di cassazione: l’ordinanza è richiamata dal Tribunale a sostegno della sua decisione ed in funzione descrittiva del fatto; tanto basta per ritenerne correttamente dedotto il sostanziale travisamento.

2.14. Quanto, invece, alla possibilità di definire tale manufatto alla stregua di un pergolato, va ricordato il consolidato insegnamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale un’opera può definirsi un pergolato quando si tratti di un manufatto leggero, amovibile e non infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti (Cons. St., Sez. 6, n. 5541 del 26/09/2018; Cons. St., Sez. 6, n. 4001 del 02/07/2018; Cons. St., Sez. 6, n. 306 del 25/01/2017; Cons. St., Sez. 6, n. 2134 del 27/04/2015).

2.15. Lo stesso legislatore, del resto, nell’individuare gli interventi edilizi liberamente eseguibili senza permesso di costruire, descrive i pergolati come «strutture di limitate dimensioni e non stabilmente infisse al suolo» (D.M. 02/03/2018, Approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attivita’ edilizia libera, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222).

2.16. La qualificazione dell’intervento edilizio e il suo regime urbanistico segue il fatto, non lo precede; non è pertanto fruttuoso postulare la qualifica del manufatto come “pergolato” prima di aver compiutamente accertato il fatto in ogni suo aspetto, funzione alla quale era preposto il decreto di sequestro probatorio proprio per questo ingiustamente annullato.

2.17. Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Crotone per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Crotone competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen. .

Così deciso in Roma, il 16/11/2021.

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