URBANISTICA. Lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, nozione di “variante” e modificazioni quantitative e qualitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto originario. Cassazione Penale n. 17516/2019.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 17516 del 24 aprile 2019 (ud. del 30 ottobre 2018)
Pres. Sarno Est. Aceto

Urbanistica. Lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio. Nozione di variante. Modificazioni quantitative e qualitative. Permesso di costruire. Art. 44, lett. c) D.P.R. n. 380/2011.
La nozione di “variante” deve ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto all’originario progetto e che gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, riguardano la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato. Il nuovo provvedimento (da rilasciarsi con il medesimo procedimento previsto per il rilascio del permesso di costruire) rimane in posizione di sostanziale collegamento con quello originario ed in questo rapporto di complementarietà e di accessorietà deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso in variante, che giustifica – tra l’altro – le peculiarità del regime giuridico cui esso viene sottoposto sul piano sostanziale e procedimentale. Rimangono sussistenti, infatti, tutti i diritti quesiti e ciò rileva specialmente nel caso di sopravvenienza di una nuova contrastante normativa che, se non fosse ravvisatale l’anzidetta situazione di continuità, renderebbe irrealizzabile l’opera.

 

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 17516 del 24 aprile 2019 (ud. del 30 ottobre 2018)

RITENUTO IN FATTO
1. I sigg.ri Teresa Alongi e Alfonso Alongi, parti civili nel processo a carico del sig. Sebastiano Di Francesco, proponendo cinque motivi, ricorrono per l’annullamento della sentenza del 21/06/2017 della Corte di appello di Palermo che, in riforma della sentenza di condanna del 24/02/2014 del G.U.P. del Tribunale del medesimo capoluogo impugnata dall’imputato, ha assolto quest’ultimo dai reati a lui ascritti con la formula: «perché il fatto non sussiste», ed ha revocato le statuizioni civili in loro favore.
1.1. Con il primo motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 192, comma 1, e 125, comma 3, cod. proc. pen., art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, D.M. n. 1444 del 1968, art. 37 del Regolamento edilizio comunale del PRG del 1978, art. 11 delle NTA del PRG del 2009, e circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2474 del 31 gennaio 1973, nonché vizio di motivazione manifestamente illogica e internamente incoerente perché, sulla scorta di un palese travisamento probatorio, ha ritenuto insussistente qualsiasi obbligo di rispetto di una distanza minima dal confine, finendo per ritenere regolare un “volume tecnico” lungo 11 metri a due falde della stessa pendenza e direzione del tetto principale, avente un’altezza massima di 5 metri ed una minima di 3 metri rispetto al piano di calpestio del lato ovest che ha permesso di traslare l’edificio sul confine “annullando” così il pregresso quanto illegittimo distacco.
1.2. Con il secondo motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 192, comma 1, e 125, comma 3, cod. proc. pen., art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, D.M. n. 1444 del 1968, art. 37 del Regolamento edilizio comunale del PRG del 1978, art. 11 delle NTA del PRG del 2009, e circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2474 del 31 gennaio 1973, nonché vizio di motivazione manifestamente illogica e internamente incoerente perché, sulla scorta di un palese travisamento probatorio, ha ritenuto insussistente qualsivoglia illegittimità della concessione edilizia (rectius: permesso di costruire) n. 8 del 02/02/2010 che ha consentito un “rapporto di copertura” superiore a quello ammissibile.
1.3. Con il terzo motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 192, comma 1, e 125, comma 3, cod. proc. pen., art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, D.M. n. 1444 del 1968, art. 37 del Regolamento edilizio comunale del PRG del 1978, art. 11 delle NTA del PRG del 2009, e circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2474 del 31 gennaio 1973, artt. 3 e 4, legge reg. Sicilia n. 37 del 1985, nonché vizio di motivazione manifestamente illogica e internamente incoerente perché, sulla scorta di un palese travisamento probatorio, ha ritenuto regolare un “volume tecnico” lungo 11 metri a due falde della stessa pendenza e direzione del tetto principale, avente un’altezza massima, in corrispondenza della sommità, pari a 5 metri ed un altezza minima di 3 metri rispetto al piano di calpestio del lato ovest che ha permesso di traslare l’edificio sul confine “annullando” così il pregresso quanto illegittimo distacco.
1.4. Con il quarto motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 192, comma 1, e 125, comma 3, cod. proc. pen., art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2474 del 31 gennaio 1973, D.M. 11/03/1988 e OPCM n. 3274 del 2003, aggiornata con delibera di GR Sicilia n. 408 del 19/12/2003, art. 8, legge reg. Sicilia n. 37 del 1985, nonché vizio di motivazione manifestamente illogica e internamente incoerente perché, sulla scorta di un palese travisamento probatorio, ha ritenuto regolare un “vuoto tecnico” avente un’altezza superiore a 1,80 metri, realizzato al di sotto del solaio del piano terra, per gran parte fuori terra e con il lato prospiciente la via pubblica non ultimato in cemento armato ma tamponato con laterizi.
1.5. Con il quinto motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 192, comma 1, e 125, comma 3, cod. proc. pen., 323 cod. pen., art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, D.M. n. 1444 del 1968, art. 37 del Regolamento edilizio comunale del PRG del 1978, art. 11 delle NTA del PRG del 2009, e circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2474 del 31 gennaio 1973, nonché vizio di motivazione manifestamente illogica e internamente incoerente perché, sulla scorta di un palese travisamento probatorio, ha ritenuto insussistente la violazione dell’interesse pubblico e privato quale conseguenza del rilascio delle due concessioni edilizie (rectius: permessi di costruire).
2. Il Di Francesco ha depositato memoria con la quale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile o venga comunque rigettato con condanna delle parti civili al pagamento delle spese sostenute nel giudizio di legittimità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi sono inammissibili.
4. Di Francesco Sebastiano risponde, in qualità di dirigente dell’ufficio tecnico comunale firmatario dei permessi di costruire, in concorso con i sigg.ri Butera Lorenzo (committente), Taibi Pietro (progettista e direttore dei lavori), e Zicari Luigi (responsabile dell’Ufficio tecnico incaricato dell’istruttoria), dei reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, lett. b), D.P.R. n. 380 del 2001 (rubricati ai capi A e B) e 110, 323 cod. pen. (rubricato al capo C). La vicenda riguarda la realizzazione di un fabbricato assentito con permesso di costruire n. 131 del 2009, provvedimento del quale la rubrica predica l’inesistenza perché palesemente illegittimo sotto il duplice profilo della violazione della distanza minima obbligatoria dal confine e del superamento, a favore del privato richiedente, del rapporto di copertura, maggiore di quello ammissibile (capo A). Per tale fabbricato era stato rilasciato un successivo permesso di costruire in variante con il quale era stata autorizzata la realizzazione di un “volume tecnico” e di un “vuoto tecnico” che la rubrica ipotizza privi dei requisiti per essere ritenuti tali, sì da determinare un ulteriore e non consentito incremento della volumetria totalmente esaurita dall’intervento già realizzato (capo B). La condotta integrante il delitto di abuso di ufficio riguarda proprio il rilascio dei due titoli edilizi (capo C).
4.1. In primo grado l’imputato era stato dichiarato colpevole di tutti i reati a lui ascritti e condannato alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili da liquidare in separata sede.
4.2. La Corte di appello, pur dando atto della intervenuta prescrizione delle contravvenzioni, ha assolto l’imputato da tutti i reati con la formula «perché il fatto non sussiste» ed ha revocato le statuizioni civili di condanna.
4.3. Le odierne parti civili, in quanto titolari di diritti reali sul lotto confinante, si erano costituite in giudizio chiedendo la condanna del Di Francesco al risarcimento del danno conseguente alla lesione del «diritto soggettivo al rispetto della distanza legale». La lesione di tale diritto circoscrive l’odierna regiudicanda ed è rispetto ad essa che deve essere verificata la sussistenza dell’interesse all’impugnazione contestata dal Di Francesco con la memoria depositata l’8 giugno 2018.
4.4. A tal fine è necessario prendere in considerazione il fatto, potenzialmente lesivo del diritto vantato dalle parti civili, così come descritto dal capo di imputazione. In relazione a quel fatto deve essere valutata la legittimazione sostanziale e processuale del titolare del diritto azionato e l’interesse a dolersi della pronuncia che la lesione di tale diritto neghi. Orbene, tutti i fatti contestati al Di Francesco contengono un chiaro riferimento alla violazione delle norme sulle distanze minime dai confini, non essendovi dubbio alcuno che anche la realizzazione del cd. “volume tecnico” di cui al capo B viene contestata come effettuata in violazione delle distanze imposte dal nuovo PRG.
4.5. Ne consegue che il secondo ed il quarto motivo (che censurano, rispettivamente, la violazione del rapporto di copertura e la natura “tecnica” del vano realizzato sotto il piano terra), poiché hanno ad oggetto aspetti di illegittimità dei permessi (e degli interventi assentiti) che non incidono in alcun modo sulla violazione delle distanze, seppur fondati nel merito (sopratutto in relazione alla consentita realizzazione di volumi tecnici e vani tecnici che tali non sono), non sono ammissibili.
4.6. Così delineato l’oggetto della regiudicanda, possono essere esaminati gli altri motivi.
5. Il primo, il terzo ed il quinto motivo, comuni per l’oggetto (la violazione della distanza dai confini), possono essere esaminati congiuntamente.
5.1. Il capo A della rubrica indica in 5 metri la distanza minima obbligatoria (indistintamente) imposta dalle «disposizioni del codice civile», dal D.M. n. 1444 del 02/04/1969 (rectius: 1968), dal Regolamento edilizio comunale del PRG del 1978. Tale distanza era stata violata, secondo la rubrica, perché la costruzione era stata autorizzata e realizzata a 65-100 cm dal confine, lato ovest.
5.2. Sennonché, come correttamente osservato dalla Corte di appello, né il D.M. n. 1444 del 02/04/1968, né il codice civile prevedono il rispetto di distanze minime dai confini e certamente non di 5 metri.
5.3. La parte civile deduce che a tanto provvedeva l’art. 37, n. 3, del Regolamento edilizio vigente all’epoca del rilascio del permesso PRG del 1978, documento del quale deduce il travisamento e che allega al ricorso. Il contenuto della norma è riportato per esteso anche dalla Corte di appello che la trascrive negli stessi esatti termini che risultano dall’articolato allegato al ricorso.
5.4. Deve perciò essere escluso il travisamento della prova che consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento della prova rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile. Come recentemente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).
5.5. La Corte, come detto, ha ben presente il contenuto dell’art. 37 del REC ed afferma che «tale norma non prevede espressamente una distanza dalle costruzioni dal confine, ma la individua in base a parametri variabili come l’altezza degli edifici»; il dissenso delle parti civili riguarda perciò non il “significante”, bensì il “significato” della norma che i Giudici distrettuali interpretano, secondo i ricorrenti, in modo errato.
5.6. Orbene, l’interpretazione dell’art. 37, n. 3), del REC fornita dalla Corte di appello è aderente al dato testuale della norma che, diversamente da quanto affermano le parti civili, non impone alcuna distanza degli edifici dai confini, ma fornisce il criterio di calcolo nei casi in cui tale distanza è prescritta. Quando la norma ha inteso prescrivere in modo diretto l’osservanza delle distanze dai confini lo ha fatto espressamente (si vedano i successivi punti 4 e 5 del medesimo articolo).
5.7. Ne consegue che le censure relative alla illegittimità del permesso di costruire indicato nel capo A sono manifestamente infondate.
6. Non hanno miglior fortuna le censure relative al capo B della rubrica che imputa al Di Francesco di aver rilasciato il permesso di costruire n. 8 del 02/02/2010 che, per quanto qui rileva, autorizzava il Butera a realizzare, in variante al precedente permesso, un “volume tecnico” espressamente finalizzato ad estendere il fabbricato fino al confine con la proprietà Alongi, in spregio all’art. 11 delle NTA del nuovo PRG (approvato il 28/10/2009 e pubblicato sulla GU della Regione Sicilia il 24/12/2009) che imponeva una distanza minima dal confine di 5 metri.
6.1. Tale volume, secondo la descrizione della Corte di appello, «eliminava l’intercapedine immaginaria che si esisteva tra l’immobile del Butera (fino a quel momento posto da distanza variabile dalla linea di confine con la proprietà Alongi da cm. 65 a m. 1), ponendolo sulla linea di confine. Tale volume tecnico risulta avere lunghezza pari a m. 11 e larghezza da cm. 60 a m. 1 ed altezza non inferiore a 3 m. e presenta un tetto a falde». Si trattava di «un vano chiuso con accesso autonomo (…) posto lungo tutto il lato ovest del fabbricato del Butera, con un impatto visivo considerevole», in quanto impegnava più della metà del prospetto ovest del fabbricato. Il vano realizzato, prosegue la Corte, «non può ritenersi suscettibile di alcun uso abitativo, considerata la larghezza variabile  (dunque al saldo dei muri) da 55-60 cm. a 90 cm. circa. Dunque risulta materialmente impossibile che il vano possa avere un uso abitativo, mancando, peraltro, di collegamenti interni con il resto del fabbricato. Tuttavia, le dimensioni del vano, di forma trapezioidale (pari a circa mc. 27), appaiono del tutto sproporzionate rispetto alla funzione tecnica da svolgere o di ricovero di opere, visto che i pozzetti di ispezione che dovrebbe contenere sono di norma realizzati all’aria aperta e non necessitano di alcuna sovrastruttura), rivelando quale destinazione principale – peraltro apertamente dichiarata nel progetto di variante – quella funzionale, ossia annullare la distanza del fabbricato autorizzato con C.E. n. 132/09 a seguito della quale risulta emessa la C.E. n. 8/10 di cui si discute): proprio per questo motivo risulta realizzato con tale imponenza».
6.2. La Corte di appello ha correttamente escluso che tale volume aggiuntivo possa qualificarsi come “tecnico”; “volumi tecnici” sono solo quelli strettamente necessari a contenere e consentire la sistemazione di impianti tecnici, aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione (serbatoi idrici, extra-corsa degli ascensori, vani di espansione dell’impianto termico, canne fumarie e di ventilazione, vano scala al di sopra della linea di gronda), che non possono trovare allocazione, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti, entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche (Sez. 3, n. 22255 del 28/04/2016, Casu, Rv. 267289; Sez. 3, n. 14281 del 04/02/2016, Mocetti, Rv. 266394; Sez. 3, n. 2187 del 03/12/1992, dep. 1993, Fluss, Rv. 192757; Sez. 3, n. 1488 del 21/09/2017, dep. 2018, n.m.; Sez. 7, n. 20755 del 24/06/2016, dep. 2017).
6.3. La Corte di appello ha però ritenuto possibile l’intervento sul rilievo che si tratta di variazione non essenziale ai sensi dell’art. 4, legge reg. Sicilia n. 37 del 1985, che, in attuazione del previgente art. 8, legge n. 47 del 1985 (oggi art. 32, d.P.R. n. 380 del 2001), esclude la natura essenziale della variazione quando le opere aggiuntive non comportano un aumento della cubatura dell’immobile superiore al 20%.
6.4. Sull’argomento questa Corte ha recentemente ribadito (Sez. 3, n. 34148 del 13/06/2018, Ulcini, n.m.) che mentre le “varianti in senso proprio”, ovvero le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare ed accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all’originario permesso a costruire, le “varianti essenziali”, ovvero quelle caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall’art. 32 del d. P.R. n. 380 del 2001, sono soggette al rilascio di permesso a costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto a quello originario e per il quale valgono le disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante. Si è ricordato, in particolare, che «secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte (Sez.3, n.9922 del 20/01/2009, Rv.243103; Sez.3, n.24236 del 24/03/2010, Rv.247687; Sez.3, n.7241 del 09/02/2011, Rv.249544), la nozione di “variante” deve ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto all’originario progetto e che gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, riguardano la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato (vedi C. Stato, Sez. 4, 11 aprile 2007, n.1572). Il nuovo provvedimento (da rilasciarsi con il medesimo procedimento previsto per il rilascio del permesso di costruire) rimane in posizione di sostanziale collegamento con quello originario ed in questo rapporto di complementarietà e di accessorietà deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso in variante, che giustifica – tra l’altro – le peculiarità del regime giuridico cui esso viene sottoposto sul piano sostanziale e procedimentale. Rimangono sussistenti, infatti, tutti i diritti quesiti e ciò rileva specialmente nel caso di sopravvenienza di una nuova contrastante normativa che, se non fosse ravvisatale l’anzidetta situazione di continuità, renderebbe irrealizzabile l’opera. E’ stato, quindi, affermato che costituisce “variante essenziale” ogni variante incompatibile con il disegno globale ispiratore del progetto edificatorio originario, sia sotto l’aspetto qualitativo che sotto l’aspetto quantitativo. Nel D.P.R. n. 380 del 2001, si è detto, non si rinviene alcun riferimento espresso all’istituto della variante essenziale ma, per la configurazione dell’ambito di tale istituto, può essere utile tenere conto della definizione (comunque non coincidente e che non ne esaurisce il concetto) di “variazione essenziale” posta dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32. Ed ai sensi dell’art. 32 potrà aversi variazione essenziale “quando si verifica una o più delle seguenti condizioni”: a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali. E si è sottolineato che caratteri peculiari presentano, poi, le c.d. “varianti leggere o minori in corso d’opera” (già disciplinate dalla L. n. 10 del 1977, art.15, comma 12, e poi dalla L. n. 47 del 1985, art. 15, modificato nuovamente dalla L. n. 662 del 1996). Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 2, – come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002- prevede che sono sottoposte a denuncia di inizio dell’attività (ora SCIA a seguito delle successive modifiche dell’art. 17, comma 1 lett. m) n. 1 del d.l. 12.9.2014 n. 133 conv., con modificazioni nella l 11.11.2014 n. 164) le varianti a permessi di costruire che:- non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie;- non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia; — non alterano la sagoma dell’edificio; non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire. La denuncia di inizio dell’attività (ora SCIA) costituisce “parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale” e può essere presentata prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori: la formulazione dell’art. 22 consente, pertanto, la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori».
6.5. Esclusa la natura di vano tecnico del volume aggiuntivo, ne deriva che la nuova opera incideva sui parametri urbanistici, comportava un aumento di volumetria ed un’alterazione della sagoma dell’edificio che, ai sensi dell’art. 22, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001 (nella versione vigente pro-tempore), escludevano in radice la natura cd. “leggera o minore” dell’intervento.
6.6. L’art. 22, comma 2, cit., così recitava: «Sono, altresì, realizzabili mediante denuncia di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali denunce di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori».
6.7. Successivamente, l’art. 22 ha subito importanti modifiche che, tuttavia, non rilevano in questa sede, dovendosi valutare la legittimità dell’intervento assentito in base alle norme all’epoca vigenti. E tuttavia non si può fare a meno di notare che se, in base alle modifiche successive, la alterazione della sagoma degli edifici non sottoposti a vincolo ai sensi del d. lgs. n. 42 del 2004 e la possibilità di realizzare variazioni non essenziali, non escludono la natura “leggera” della variante in corso d’opera, è anche vero che resta immutata la necessità di rispettare le prescrizioni urbanistiche.
6.8. Il necessario rilascio del nuovo permesso di costruire comportava, di conseguenza, la necessaria osservanza degli strumenti urbanistici vigenti al momento del rilascio stesso (art. 12, D.P.R. n. 380 del 2001).
6.9. Orbene, nell’escludere la illegittimità del permesso di costruire in variante, la Corte di appello afferma, per quanto qui rileva, che la «edificazione sul confine era prevista anche [nel] vigore del nuovo PRG» e che a tal fine «non è affatto univoca la asserita impossibilità della costituzione di un vincolo di asservimento con atto d’obbligo unilaterale, in quanto ciò che rileva è il vincolo che il proprietario impone al suo fondo in favore di quello vicino». In tal senso i Giudici distrettuali hanno interpretato l’art. 11 delle NTA del nuovo PRG secondo il quale «la distanza minima di una costruzione dal confine di proprietà o dal limite di zona non può essere inferiore a ml. 5.00. Nelle zone A e B, ove non diversamente indicato dal Piano o dalle vigenti leggi nazionali e regionali, sono ammesse costruzioni, ricostruzioni, ampliamenti e soprelevazioni, in aderenza e a confine tra proprietà (previo atto d’obbligo regolarmente registrato), con esclusione di costruzioni sul limite di zona omogenea». Il Butera, infatti, aveva registrato un atto d’obbligo unilaterale, mai sottoscritto dai confinanti i quali contestano l’interpretazione data dalla Corte di appello all’art. 11, cit., deducendo che l’atto d’obbligo avrebbe dovuto essere sottoscritto anche da loro. Ancora una volta, dunque, il dissenso delle parti civili riguarda non il “significante”, bensì il “significato” della norma che i Giudici distrettuali interpreterebbero, a loro dire, in modo errato.
6.10. Sennonché, se è vero che le norme contenute nei piani regolatori, in quanto integrano quelle del codice civile per effetto degli artt. 869, 871, 872 e 873 cod. civ., possono essere conosciute dal giudice di legittimità quali “norme giuridiche delle quali si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale” (art. 606, lett. b, cod. proc. pen.), è altrettanto vero, però, che l’interpretazione di tali norme è affare del giudice di merito. Sicché la non manifesta irragionevolezza dell’interpretazione del contenuto del piano regolatore e degli strumenti urbanistici costituisce un limite al sindacato di legittimità sul punto, con conseguente inammissibilità delle relative censure (cfr., sul punto, Cass. civ., Sez. 2, n. 9857 del 24/04/2007, Rv. 596357 – 01, secondo cui l’indagine in ordine alla vigenza e al contenuto del piano regolatore generale e degli strumenti urbanistici locali costituisce un accertamento di fatto riservato all’apprezzamento che il giudice di merito deve compiere in base alle risultanze probatorie acquisite e che, come tale, è insindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione).
6.11. La mancanza di una situazione soggettiva attiva giuridicamente tutelabile (il rispetto della distanza dai confini) priva i ricorrenti dell’interesse a coltivare anche il quinto motivo di ricorso, anche perché il reato di abuso di ufficio è contestato nella rubrica (capo C) come teologicamente orientato a procurare un ingiusto vantaggio ai titolari dei permessi di costruire, non già a procurare in danno ingiusto alle odierne parti civili.

7. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00.
7.1. Tuttavia, deve essere disattesa la richiesta di condanna della parte civile alla rifusione delle spese sostenute nel grado dall’imputato avuto riguardo alla particolare complessità della vicenda che ha determinato decisioni diametralmente opposte dei giudici di merito.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Compensa le spese sostenute nel grado dall’imputato
Così deciso in Roma, il 30/10/2018.

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