Rifiuti. Abbandono, committente, responsabilità se si partecipa all’illecito. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 35569 del 19 luglio 2017 (ud. 30 maggio 2017)

Pres. Savani, Est. Aceto

Rifiuti. Abbandono. Responsabili di enti e imprese. Reato. Art. 256, comma 2, d. lgs n. 152/2006. Culpa in vigilando. Committente di lavori che si ingerisce nell’attività di produzione o gestione del rifiuto. Responsabilità. Sussistenza.

Il reato di abbandono incontrollato di rifiuti, di cui all’art 256 comma 2 del d. lgs. n. 152/2006, sanziona i titolari e i legali responsabili di enti ed imprese, i quali ne rispondono anche per i propri dipendenti (che abbiano commesso il reato), per omessa vigilanza. Ciò significa che quando l’abbandono è opera di una diversa impresa, che ha commissionato i lavori, il rispettivo titolare sarà chiamato a risponderne solo se ha avuto un ruolo attivo o di controllo diretto nell’attività di produzione o gestione del rifiuto, perché è proprio compiendo atti di gestione o di movimentazione dei rifiuti che si assume l’obbligo di impedirne l’abbandono.

COMMENTO:

La pronuncia in esame riguarda il caso concreto dell’attribuzione di responsabilità in capo al committente dei lavori che metta a disposizone il terreno per il deposito dei rifiuti prodotti e si assuma l’incarico di provvedere al loro smaltimento. Se la mera qualifica di soggetto committente non è idonea di per sè ai fini di un’affermazione di responsabilità, qualora lo stesso si ingerisca, a qualsiasi titolo, nell’attività di produzione o gestione dei rifiuti, sarà chiamato a rispondere penalmente per abbandono di rifiuti ai sensi del combinato disposto degli artt. 192, 256, comma 2 d. lgs. n. 152/2006. Nel caso concreto, il proprietario del terreno ove erano stati posizionati i rifiuti derivanti dalla realizzazione di un impianto do cogenerazione commissionata ad una società terza, aveva permesso che i rifiuti prodotti dall’appaltatore venissero depositati in loco e poi abbandonati.

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Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 35569 del 19 luglio 2017 (ud. 30 maggio 2017)

Ritenuto in fatto

1.Il sig. F.C. ricorre per l’annullamento della sentenza del 23/05/2016 del Tribunale di Lanciano che lo ha condannato alla pena di 5.000,00 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 256, commi 1, lett. a), e 2, d.lgs. n. 152 del 2006, per aver, quale amministratore unico della società «D.D.A. S.r.l.», abbandonato in modo incontrollato ed immesso nelle acque sotterranee, contaminandole, rifiuti non pericolosi (manufatti obsoleti di legno, inerti provenienti da demolizioni di pavimentazione stradale, scarti indifferenziati di natura urbana, contenitori e imballaggi in plastica e frammenti di metallo in avanzato stato di ossidazione). Il fatto è contestato come commesso in Atessa fino al 08/04/2013, data del sequestro.

1.1.Con unico motivo, deducendo di essere solo il committente dei lavori che hanno prodotto i rifiuti, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 256, d.lgs. n. 152 del 2006.

Considerato in diritto

2. Il ricorso è infondato.

3. Sostiene il Tribunale (non contraddetto sul punto dall’imputato) che i rifiuti in questione provenivano dalla realizzazione di un impianto di cogenerazione in altro immobile di proprietà della società «D.D.A. S.r.l.», limitrofo all’area sequestrata, e che l’attività era stata commissionata nel 2010 alla società «I.C. S.r.l.» che la eseguì nell’anno 2011. Una volta terminati i lavori i rifiuti erano stati lasciati sul posto in attesa di essere smaltiti ma, per probabile dimenticanza, erano rimasti fino al sopralluogo della PG che procedette al sequestro. Benché i rifiuti fossero stati prodotti e abbandonati dalla «I.C. S.r.l.», il Tribunale ha ritenuto la responsabilità dell’imputato perché legale rappresentante della società committente dei lavori, divenuta “proprietaria” dei rifiuti, tant’è che aveva incaricato altra ditta specializzata per il loro smaltimento sostenendo la relativa spesa (smaltimento cui però non fu dato seguito forse, afferma il Giudice, per dimenticanza).

3.1. L’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, punisce il titolare dell’impresa o il responsabile dell’ente che abbandona o deposita in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immette in acque superficiali o sotterranee.

3.2. La fattispecie descrive in termini chiaramente commissivi la condotta da essa prevista (sulla natura commissiva del reato, Sez. 3, n. 25429 del 01/07/2015, Gai, Rv. 267183; Sez. 3, n. 38662 del 20/05/2014, Convertino). Non tragga in inganno il fatto che secondo l’indirizzo costante di questa Corte i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono (Sez. 3, n. 40530 del 11/06/2014, Mangone, Rv. 261383; Sez. 3, n. 23971 del 25/05/2011, Graniero, Rv. 250485; Sez. 3, n. 24736 del 18/05/2007, Sorce, Rv. 236882). Ciòperché la norma, nell’individuare i possibili autori del reato, non intende certamente riferirsi al titolare dell’impresa o al responsabile dell’ente quali persone fisiche, bensì ad essi quali legali responsabili dell’impresa/ente cui deve essere ricondotta l’attività di abbandono/deposito incontrollato. Sicché è sufficiente che l’abbandono/deposito venga posto in essere anche tramite persone fisiche diverse dal titolare/legale rappresentante perché questi ne risponda, purché ciò avvenga nell’ambito delle attività riconducibili alle imprese e agli enti da loro rappresentati. In questo senso si può affermare che la “culpa in vigilando”, quale necessario titolo di addebito per il fatto altrui, costituisce un baluardo verso forme di responsabilità oggettiva.

3.3. Ne consegue che il titolare dell’impresa/legale rappresentante dell’ente non è garante delle condotte di abbandono/deposito incontrollato poste in essere dai dipendenti altre imprese; la norma non lo prevede, né sono possibili applicazioni ‘in malam partem’ dell’art. 40, cpv., cod. pen..

3.4. Quando il rifiuto è abbandonato dall’impresa/ente che lo ha prodotto, perché ne risponda il titolare/legale rappresentante della diversa impresa/ente che ha commissionato i lavori, è necessario che questi si sia ingerito a qualsiasi titolo nell’attività di produzione o gestione del rifiuto. Per questa ragione questa Corte ha sempre affermato il principio che l’appaltatore, per la natura del rapporto contrattuale che lo vincola al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio dell’intera attività, riveste generalmente la qualità di produttore del rifiuto e su di lui gravano gli obblighi di corretto smaltimento, salvi i casi in cui, per ingerenza o controllo diretto del committente sull’attività dell’appaltatore, i relativi doveri si estendono anche a tale soggetto (Sez. 3, n. 11029 del 05/02/2015, D’Andrea, Rv. 263754; Sez. 3, n. 25041 del 25/05/2011, Spagnuolo, Rv. 250676, che ha affermato il principio in un caso di deposito incontrollato di materiali di risulta edile, provenienti dai lavori di recupero abitativo del sottotetto di un immobile, in violazione delle disposizioni sul deposito temporaneo; Sez. 3, n. 15165 del 28/01/2003, Capecchi, Rv. 224706, che ha espressamente escluso l’esistenza, in capo al committente, di un dovere di garanzia dell’esatta osservanza delle norma in materia di smaltimento dei rifiuti, non essendo derivabile da alcuna fonte giuridica – legge, atto amministrativo o contratto).

3.5. Nemmeno la proprietà del sito sul quale altri abbiano abbandonato i rifiuti costituisce di per sé titolo per affermare la responsabilità del terzo proprietario. Coerentemente ai principi sopra esposti, questa Corte ha affermato che non è configurabile in forma omissiva il reato di cui all’art. 256, comma secondo, D.Lgs. n. 152 del 2006, nei confronti del proprietario di un terreno sul quale terzi abbiano abbandonato o depositato rifiuti in modo incontrollato, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti, poiché tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo, che il proprietario può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti (Sez. 3, n. 50997 del 07/10/2015, Cucinella, Rv. 266030, che ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva condannato il proprietario non per la sua qualità di possessore dell’area di deposito, ma per avere questi consapevolmente partecipato all’attività illecita, mettendo a disposizione il terreno per lo smaltimento abusivo di rifiuti derivanti da lavori edili da egli stesso commissionati; Sez. 3, n. 2477 del 09/10/2007, Marcianò, Rv. 238541, che ha escluso la responsabilità di chi abbia la disponibilità di un’area sulla quale altri abbiano abbandonato rifiuti per non essersi questi attivato per la loro rimozione; Sez. 3, n. 49327 del 12/11/2003, Merlet, Rv. 257294; Sez. 3, n. 40528 del 10/06/2014, Cantoni, Rv. 260754).

3.6. Nel caso di specie la responsabilità dell’imputato non è stata affermata esclusivamente in base al fatto di aver commissionato i lavori che hanno generato i rifiuti abbandonati (unico argomento difensivo devoluto), ma anche sulla concorrente circostanza che il terreno era di proprietà della società da lui legalmente rappresentata e che aveva persino sostenuto i costi per il loro smaltimento, poi non avvenuto.

3.7. Il ricorrente non prende posizione sul ragionamento seguito dal Giudice che, nel trarre da questi dati la riconducibilità della condotta di abbandono/ deposito anche all’odierno imputato (per aver messo a disposizione il proprio terreno per il deposito dei rifiuti cui egli avrebbe direttamente provveduto), non è manifestamente illogico. Inoltre, l’essersi fatto carico dei costi di smaltimento, senza poi provvedervi, è condotta che dimostra, sul piano logico, la signoria sul fatto e la riconducibilità delle sue conseguenze (il mantenimento in loco del deposito incontrollato fino al giorno del sequestro) alla responsabilità dell’imputato che, ingerendosi nella condotta di abbandono/deposito, ne ha procrastinato la consumazione.

3.8. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.

3.9. Deve essere disattesa l’eccezione difensiva della prescrizione perché il reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, ha natura permanente (in questo senso, da ultimo, Sez. 3, n. 25429 del 01/07/2015, Gai, Rv. 267183, che ha ribadito il costante insegnamento di questa Corte secondo il quale il reato di deposito incontrollato di rifiuti è reato commissivo eventualmente permanente, la cui antigiuridicità cessa con il conseguimento della necessaria autorizzazione ovvero con l’ultimo abusivo conferimento di rifiuti o con un provvedimento cautelare di natura reale ovvero con la sentenza di primo grado).

[omissis]