RIFIUTI. Quando i fanghi derivanti dal lavaggio di inerti provenienti da cava non sono rifiuti? Cassazione Penale n. 7042/2019.

 Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 7042 del 14 febbraio 2019 (ud. del 16 luglio 2018)
Pres. Di Nicola, Est. Aceto.
RIFIUTI. Fanghi derivanti dal lavaggio di inerti provenienti da cava. Smaltimento diffuso ed incontrollato nel terreno di rifiuti liquidi. Acque. Inquinamento idrico. Cave. Reflui liquidi derivanti dal ciclo di lavorazione. Assenza di autorizzazione. Artt. 137, 185 e 256 d. lgs n.152/2006.
I fanghi derivanti dal lavaggio di inerti provenienti da cava non rientrano nel campo di applicazione della disciplina sui rifiuti solo quando rimangono all’interno del ciclo produttivo dell’estrazione e della connessa pulitura, mentre quando si dia luogo ad una loro successiva e diversa attività di lavorazione devono considerarsi rifiuti sottoposti alla disciplina generale circa il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica. Nella fattispecie, i reflui liquidi derivanti dal ciclo di lavorazione si disperdevano in modo diffuso ed incontrollato nel terreno circostante senza essere in alcun modo intercettati da alcuno degli impianti autorizzati (non funzionanti). Pertanto, la qualifica di rifiuto liquido, esclude l’applicazione della disciplina relativa alle cd. AMD (acque meteoriche dilavanti) e AMDCN (acque meteoriche non contaminate dilavanti).
Sono esclusi dalla normativa sui rifiuti solo i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando restino entro il ciclo produttivo dell’estrazione e connessa pulitura, cosicché l’attività di sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali e, se si esula dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava sono da considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale (nel senso che l’abbandono incontrollato dei rifiuti liquidi provenienti dal ciclo di lavorazione degli inerti comporta la applicazione ad essi della normativa sui rifiuti, cfr. altresì Sez. 3, n. 43944 del 08/09/2016).
 
Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 7042 del 14 febbraio 2019 (ud. del 16 luglio 2018)

SENTENZA
sul ricorso proposto da VIVIANI MARCO nato a VIAREGGIO;
avverso la sentenza del 12/09/2016 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIULIO ROMANO che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, Avv. LUCA LATTANZI, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. Marco Viviani ricorre per l’annullamento della sentenza del 12/09/2016 della Corte di appello di Firenze che, per quanto qui rileva, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di due mesi e dieci giorni di arresto per il reato di smaltimento si rifiuti liquidi in assenza di autorizzazione di cui all’art. 256, d. lgs. n. 152 del 2006, così diversamente qualificato il fatto originariamente rubricato ai sensi dell’art. 137, commi 1 e 9, stesso decreto.
1.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 256, d. lgs. n. 152 del 2006, in relazione all’art. 137, commi 1 e 9, stesso decreto e vizio di motivazione contraddittoria e manifestamente illogica sul punto.
Sostiene che il mancato rispetto delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione non può essere assimilato alla mancanza di autorizzazione sol perché l’impianto autorizzato non è funzionante; nel caso di specie – prosegue – gli impianti in questione erano entrambi autorizzati con conseguente mera rilevanza amministrativa della condotta ai sensi dell’art. 137, comma 3, d. lgs. n. 152 del 2006.
1.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 185, d. lgs. n. 152 del 2006, e vizio di motivazione contraddittoria e manifestamente illogica sul punto.
1.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 137, commi 1 e 9, d. lgs. n. 152 del 2006 e vizio di motivazione contraddittoria e manifestamente illogica sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è infondato.
2. L’imputato risponde del reato a lui ascritto perché, quale legale rappresentante della società «Davi S.r.l.», gestrice di due cave contigue (Filucchia 1 e Filucchia 2), aveva effettuato lo smaltimento dei rifiuti liquidi provenienti dai relativi siti in assenza di autorizzazione. I due siti erano stati autorizzati all’esercizio di attività estrattiva di materiale lapideo ornamentale ed allo scarico delle acque reflue industriali. All’esito di sopralluogo effettuato nel mese di ottobre dell’anno 2013, era emerso che:
2.1. L’impianto per il trattamento dei reflui industriali a servizio di Filucchia 1, posta a valle di Fulicchia 2, non era in uso;
2.2. Il sito Filucchia 2 non era dotato di un sistema di trattamento delle acque e l’impianto presente non era funzionante, né era mai stato utilizzato;
2.3. L’attività estrattiva era in corso solo nella cava Filucchia 2, in quanto il fronte estrattivo di Filucchia 1 era quasi interamente occupato da una rampa di accesso alla limitrofa e sovrastante Filucchia 2;
2.4. Non era stato approntato alcun sistema per il recupero o il convogliamento nei vicini corsi d’acqua delle acque meteoriche non contaminate dilavanti (cd. AMDNC) dall’area esterna all’area di coltivazione attiva, né vi erano canalizzazioni o vasche di raccolta capaci di contenere le acque di prima pioggia e prevenire il trasporto di solidi sospesi o eventuali inquinanti, così che lo scarico avveniva in modo diffuso e non controllabile su tutta la superficie di cava e attraverso la rete di naturale infiltrazione delle acque nel suolo;
2.5. In entrambi i siti estrattivi non era stato predisposto alcun sistema di trattamento delle acque meteoriche dilavanti (AMD), come imposto dalle prescrizioni.
3.Tanto premesso in fatto, la Corte di cassazione osserva in diritto quanto segue:
3.1. i fanghi derivanti dal lavaggio di inerti provenienti da cava non rientrano nel campo di applicazione della disciplina sui rifiuti solo quando rimangono all’interno del ciclo produttivo dell’estrazione e della connessa pulitura, mentre quando si dia luogo ad una loro successiva e diversa attività di lavorazione devono considerarsi rifiuti sottoposti alla disciplina generale circa il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica (Sez. 3, n. 26405 del 02/05/2013, Pomponio, Rv. 257141; Sez. 3, n. 42966 del 22/09/2005, Viti, Rv. 232343);
3.2. in particolare, come spiegato da Sez. 3, n. 26405 del 2013, cit., «sono esclusi dalla normativa sui rifiuti solo i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando restino entro il ciclo produttivo dell’estrazione e connessa pulitura, cosicché l’attività di sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali e, se si esula dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava sono da considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale (Sez. 3 n. 9491, 3 marzo 2009, non massimata; Sez. 3 n. 45463, 9 dicembre 2008, non massimata; Sez. 3 n. 41584, 12 novembre 2007; Sez. 3 n. 5315,18 febbraio 200)» (nel senso che l’abbandono incontrollato dei rifiuti liquidi provenienti dal ciclo di lavorazione degli inerti comporta la applicazione ad essi della normativa sui rifiuti, cfr. altresì Sez. 3, n. 43944 del 08/09/2016);
3.3. nel caso di specie non è contestato che i reflui liquidi derivanti dal ciclo di lavorazione si disperdessero in modo diffuso ed incontrollato nel terreno circostante senza essere in alcun modo intercettati da alcuno degli impianti autorizzati (non funzionanti);
3.4. trattandosi di rifiuti liquidi, non è pertinente il richiamo all’art. 137, comma 3, d. lgs. n. 152 del 2006, mentre è corretto il rilievo che il relativo smaltimento è del tutto privo di autorizzazione, non rilevando in alcun modo il possesso di autorizzazioni allo scarico di acque reflue (e dunque di un oggetto diverso da quello autorizzato) ovvero alla coltivazione della cava, autorizzazioni rispetto alle quali lo smaltimento dei rifiuti liquidi nei termini sopra indicati non può definirsi violazione delle prescrizioni, bensì attività non consentita tout court (primo motivo);
3.5. la qualifica di rifiuto liquido, esclude l’applicazione al caso di specie della disciplina relativa alle cd. AMD e AMDCN (terzo motivo).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 luglio 2018.
Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen., sez. 3, sent. n. 7042-2019