Acque. Scarichi, immissione delle acque reflue derivanti da allevamento di bestiame: quando è reato? Cassazione Penale n. 5813/2019.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 5813 del 6 febbraio 2019 (ud. del 7 dicembre 2018)
Pres. Sarno, Est. Noviello

Acque. Scarichi. Immissione delle acque reflue. Reflui provenienti da imprese di allevamento di bestiame,  e assimilazione alle acque reflue domestiche. Art. 107, comma 7, 183, lett. h) e 256 d. lgs. n. 152/2006.
La disciplina sui reflui trova applicazione solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato, senza soluzione di continuità, mediante una condotta o altro sistema stabile di collettamento, atteso che l’art. 183 lett. h) del d.lgs. 152/2006 definisce quale scarico, che rimanda alla normativa sui reflui, solo l’immissione effettuata tramite un sistema stabile e diretto di collettamento.  Consegue che in assenza di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento i reflui sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla distinta disciplina dell’art. 256 d. lgs. n. 152 del 2006.

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 5813 del 6 febbraio 2019 (ud. del 7 dicembre 2018)
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 30/10/2017 il Tribunale di Firenze condannava De Sensi Domenico alla pena di euro 5000,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali, per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui all’art. 256 comma 1 lett. a) del d. lgs. n. 152/2006 per avere «smaltito ed abbandonato sul suolo gli effluenti prodotti dal proprio allevamento di suini posto in loc. Moriano di Sotto nel Comune di Vicchio»
2. Avverso la sentenza del tribunale fiorentino De Sensi Domenico, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi, senza specificare espressamente il tipo di violazione eccepito. Con il primo ha dedotto un errore di diritto in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado, rappresentando che la condotta ascritta all’imputato, riguardando lo scarico di reflui provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame non sarebbe prevista dalla legge come reato, integrando ormai un illecito amministrativo in ragione dell’art. 101 del d. lgs. n. 152/2006 che, al comma 7, come modificato con novella di cui all’art. 2 comma 8 del d. lgs. 16 gennaio 2008 n. 4, ha equiparato alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti dall’attività di allevamento di bestiame.
3. Con il secondo motivo ha lamentato l’eccessività della pena, cui il Tribunale è pervenuto valorizzando esclusivamente la reiterazione della pena (rectius della condotta), avendo il giudice escluso la sussistenza di elementi positivi su cui fondare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche nonostante l’imputato abbia partecipato alla fase dibattimentale anche sottoponendosi ad esame e nonostante l’incensuratezza del medesimo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile. Quanto al primo motivo di impugnazione va osservato che con la sentenza impugnata il ricorrente è stato ritenuto responsabile del reato di abusivo smaltimento su suolo di effluenti provenienti dal proprio allevamento, ai sensi dell’art. 256 del d. lgs. n. 152/2006. Tale disposizione, rientrante nella parte IV, titolo VI del d. lvo sopra citato, si rinviene tra gli articoli che delineano il sistema sanzionatorio riguardante la gestione di rifiuti. La disciplina, diversa, dei reflui, si rinviene invece, quanto al sistema sanzionatorio, nella parte prima, titolo V del medesimo Testo Unico. Come evincibile anche dalla diversa collocazione sistematica, si tratta di sistemi sanzionatori afferenti a settori e materie diverse.
1.2 In particolare, per quanto qui interessa, la disciplina sui reflui trova applicazione solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato, senza soluzione di continuità, mediante una condotta o altro sistema stabile di collettamento (cfr. Sez. 3, n. 16623 del 08/04/2015, Rv. 263354 – 01 D’Aniello), atteso che l’art. 183 lett. h) del d.lgs. 152/2006 definisce quale scarico, che rimanda alla normativa sui reflui, solo l’immissione effettuata tramite un sistema stabile e diretto di collettamento (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 6998 del 22/11/2017 (dep. 14/02/2018) Rv. 272822 – 01 Martiniello).  Consegue che in assenza di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento i reflui sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla distinta disciplina dell’art. 256 d. lgs. n. 152 del 2006.
1.3. Appare allora incongruo il richiamo operato dal ricorrente alla disciplina dei reflui e quindi alla novella di cui all’art. 2 comma 8 del d. lgs. 16 gennaio 2008 n. 4, laddove nel modificare l’art. 101 comma 7 lett. b) del d. lgs. n. 152/2006 ha stabilito che non costituisce più reato la condotta di scarico senza autorizzazione dei reflui provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame, attesa la loro assimilabilità incondizionata alle acque reflue domestiche (cfr. Sez. 3, n. 9488 del 29/01/2009 Rv. 243112 – 01 Battisti; in tal senso anche Sez. 3, n. 38866 del 30/05/2017 Rv. 271801 – 01 Midgley). Infatti, come sopra anticipato, nel provvedimento impugnato viene in contestazione lo “smaltimento ed abbandono sul suolo” di effluenti provenienti da un allevamento di suini, ovvero condotte di sversamento su suolo descritte, in virtù del richiamo alla nozione di smaltimento di cui al citato art. 256, come realizzate senza immissione diretta ovvero in assenza di una condotta o altro sistema stabile di collettamento. Del resto nel provvedimento impugnato, laddove si descrive acqua proveniente «dall’impianto di condizionamento sito nelle stalle dei maiali la quale, cadendo in terra, defluiva mischiandosi al materiale organico che si trovava sul pavimento interno della stalla per poi convogliare all’esterno tramite un buco posto  in basso all’estremità di una parete», si fa riferimento proprio ad effluenti da allevamento che, mescolandosi ad acqua, defluivano fuori della stalla spargendosi sul suolo per la spinta autoprodotta dei liquidi e senza un sistema di diretto collettamento, così da integrare lo smaltimento contestato nel capo di imputazione. Da qui il corretto inquadramento giuridico della condotta contestata.
2. Quanto al secondo motivo, risolvendosi nella contestazione della pena, definita eccessiva, per la mancata concessione delle circostanze attenuanti in assenza di «elementi positivi» in favore dell’imputato (al contrario ritenute dal ricorrente applicabili per l’incensuratezza del medesimo oltre che per l’intervenuta sua sottoposizione ad esame), si configura inammissibile sia perché generico in quanto non si indica né il tipo di vizio lamentato né le ragioni, sia perché, come già rilevato da questa Corte, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (cfr. Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017 Rv. 270986 – 01 Starace).
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 7 dicembre /2018

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