ECODELITTI: la nozione di ingiusto profitto nel traffico illecito di rifiuti. Cassazione Penale n. 16056/2019.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 16056 del 12 aprile 2019 (ud. del 28 febbraio 2019)

Pres. Izzo, Est. Ramacci

Ecodelitti. Attività organizzate per il traffico illecito. Configurabilità dell’ingiusto profitto. Art. 452-quaterdecies c.p. .
Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., l’ingiusto profitto può consistere non soltanto in un ricavo patrimoniale, ma anche nel vantaggio conseguente dalla mera riduzione dei costi aziendali o nel rafforzamento di una posizione all’interno dell’azienda ed è ingiusto in quanto la condotta posta in essere abusivamente, oltre che anticoncorrenziale, può essere produttiva di conseguenze negative, in termini di pericolo o di danno, per la integrità dell’ambiente ed impedisce, comunque, il doveroso controllo, da parte dei soggetti preposti, sull’intera filiera dei rifiuti, che la legge impone dalla produzione alla destinazione finale.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 16056 del 12 aprile 2019 (ud. del 28 febbraio 2019)

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 19 luglio 2018 ha rigettato l’istanza di riesame proposta da Antonio BERLINGIERI avverso l’ordinanza, emessa dal GIP del Tribunale di quella città il 5 luglio 2018, di applicazione della custodia cautelare in carcere in relazione al reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., perché, secondo il capo di incolpazione, in concorso con altri, al fine di conseguire un ingiusto profitto avvalendosi della disponibilità di mezzi riferibili alla società BEDA S.r.l., quali gru ed autocarri, nella maggior parte dei casi neppure autorizzati al trasporto di rifiuti, realizzava una vera e propria filiera del commercio illecito di ferro ed acciaio, dietro lo schermo della società BEDA S.r.l., autorizzata unicamente al trasporto di rifiuti non pericolosi. In particolare, quale unico socio, amministratore ed unico dipendente della società, riceveva quotidianamente ingenti quantitativi di ferro, acciaio ed, in alcuni casi, anche di rifiuti speciali e pericolosi, dietro il pagamento di un corrispettivo a soggetti conferitori, i quali effettuavano verso la BEDA S.r.l. trasporti non autorizzati di rifiuti di ignota provenienza. Successivamente, al fine di occultare tali forme di ricettazione, ometteva la compilazione del formulario obbligatorio relativo al trattamento di rifiuti di cui all’art. 258 d. lgs. 152/2006, ovvero ne falsificava il contenuto, sovente annotando, ove è richiesta l’indicazione della provenienza, la stessa società quale “produttore/detentore” di rifiuti. Successivamente, dopo aver esercitato anche l’attività di stoccaggio, lavorazione di rifiuti anche speciali e pericolosi, nonché di scarico delle acque reflue direttamente sul suolo, attività per le quali la società è sprovvista di autorizzazione, trasportava ferro e d’acciaio presso la società “Silipo Luciano S.r.l.” ed altre società del settore della lavorazione del ferro, per rivenderli ad un maggior prezzo, lucrando sulla differenza, gestendo in questo modo abusivamente ingenti quantitativi di tali rifiuti a fini di profitto (in Lamezia Terme, in data anteriore al 3 aprile 2017, con condotta perdurante).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge del vizio di motivazione in relazione alla mancata individuazione del profitto ingiusto, che costituisce uno dei requisiti del reato contestato e rileva che né il GIP nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare, né, tanto meno, il Tribunale avrebbero compiutamente indicato in che cosa esso consistesse.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione riguardo all’ulteriore, indispensabile requisito della abitualità della condotta, in quanto le attività oggetto di incolpazione sarebbero riferite ad un periodo di tempo limitato, in occasione del quale si sarebbe svolto il monitoraggio da parte della polizia giudiziaria.
4. Con il terzo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione, deducendo la mancanza totale di giustificazione riguardo il rapporto lavorativo intercorrente tra gli indagati, ritenuto necessario per l’individuazione delle sue responsabilità, nonché il fatto che il suo coinvolgimento nei fatti contestati sarebbe fondato esclusivamente sulla base della sua qualifica di titolare della BEDA S.r.l..
Aggiunge che non sarebbe stato accertato alcun rapporto di lavoro tra soggetti coinvolti, neppure occasionale o “in nero”.
5. Con un quarto motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, rilevando che, dal confronto tra l’ordinanza di custodia cautelare oggetto del provvedimento impugnato e quella precedentemente messa dal GIP di Lamezia Terme, emergerebbe la mancanza di autonoma valutazione delle emergenze indiziarie da parte il GIP di Catanzaro e che tale circostanza non sarebbe stata minimamente considerata nell’ordinanza impugnata.
6. Con un quinto motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione dei reati, nonché sulla ritenuta inadeguatezza di misure alternative a quella carceraria.
Osserva, a tale proposito, che non sarebbe stata verificata la certezza o, comunque, la elevata probabilità di reiterazione dei reati, avendo il Tribunale fatto riferimento esclusivamente al ricavo proveniente dai comportamenti illeciti, che costituirebbe l’unica sua fonte di reddito e senza tener conto del fatto che lo stesso GIP aveva comunque disposto il sequestro preventivo dei beni aziendali, sicché la misura applicata avrebbe impedito l’attività della società.
Rileva, altresì, che non sarebbe stata compiuta alcuna valutazione rispetto al dato, ritenuto rilevante, del tempo trascorso dalla commissione dei fatti (aprile 2017) e che non sarebbe stata adeguatamente valutata, considerata anche la sua completa incensuratezza, la possibilità di misure alternative alla detenzione in carcere, considerando che il divieto di utilizzo del telefono e dei mezzi informatici avrebbe eliminato i contatti con l’esterno e la possibilità di effettuare le attività di gestione di rifiuti, rendendo quindi possibile ed adeguata la misura, meno afflittiva, degli arresti domiciliari.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. La consistenza e le modalità della condotta ritenuta riconducibile alla fattispecie astratta di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. emergono chiaramente dalla incolpazione, che il Tribunale non ha ritenuto di riprodurre nel provvedimento impugnato, ma che può leggersi nell’ordinanza applicativa della misura custodiale allegata al ricorso.
L’ordinanza impugnata, in ogni caso, nel rispondere alle censure prospettate con la richiesta di riesame, ha fornito adeguata giustificazione circa la sussistenza dei singoli elementi costitutivi del reato sui quali la difesa ha sollevato specifiche obiezioni.
3. Va dunque ricordato, quanto al primo motivo di ricorso, che secondo la dottrina il profitto del delitto in esame non deve necessariamente assumere una natura eminentemente patrimoniale, ben potendosi integrare con vantaggi di altro genere, quali il mero risparmio di costi e che sulla medesima linea si è posta, da tempo, la giurisprudenza di questa Corte, la quale, nel rilevare come sia «ingiusto» non soltanto il profitto esplicitamente contra legem, ma anche quello collegato a mediazioni o traffici illeciti o ad operazioni volte a manipolazioni fraudolente dei codici tipologici (Sez. 3, n. 45598 del 6/10/2005, Saretto, Rv. 232639), ha espressamente fatto riferimento pure alla semplice riduzione dei costi aziendali (Sez. 4, n. 28158 del 2/7/2007, P.M. in proc. Costa, Rv. 236907; Sez. 3, n. 41310 dell’8/11/2006, Pecoraro, non massimata; Sez. 3, n. 4503 del 16/12/2005 (dep. 2006), Samarati, Rv. 233293), anche unito al rafforzamento nella posizione apicale all’interno dell’azienda da parte degli imputati (Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, P.M. in proc. Fradella, Rv. 232351), confermando tali principi anche successivamente (Sez. 3, n. 53136 del 28/6/2017, Vacca e altro, Rv. 272097; Sez. 3, n. 52838 del 14/7/2016, Serrao e altri, Rv. 268920 (non massimata sul punto); Sez. 4, n. 29627 del 21/4/2016, Silva e altri, Rv. 267845).
In altra occasione si è chiarito che il requisito dell’ingiusto profitto non deriva dall’esercizio abusivo dell’attività di gestione dei rifiuti, bensì dalla condotta continuativa ed organizzata finalizzata a conseguire vantaggi (risparmi di spesa e maggiori margini di guadagno) altrimenti non dovuti (Sez. 3, n. 35568 del 30/5/2017, Savoia, Rv. 271138), specificando che l’ingiustizia del profitto evoca “un concetto di relazione che gli deriva dal confronto con quello normalmente conseguito a seguito dell’esercizio lecito dell’attività, sì da rendere l’attività illecitamente svolta ingiustamente concorrenziale e/o maggiormente redditizia non solo per chi la propone, ma anche per chi ne usufruisce (il mercato)”.
I richiamati principi sono pienamente condivisi dal Collegio, che non intende discostarsene ed offrono un’agevole soluzione della questione controversa.
4. Considerata l’incolpazione e quanto evidenziato nel provvedimento impugnato, le indagini espletate hanno posto in evidenza l’effettuazione, da parte degli indagati, di una perdurante e continuativa attività organizzata, accertata mediante videoriprese, appostamenti e disamina della documentazione acquisita, di gestione illecita di rifiuti (ricezione, trasporto, trattamento e smaltimento illecito) posta in essere mediante l’utilizzo della BEDA S.r.l. – società autorizzata al solo trasporto di rifiuti non pericolosi, della quale l’odierno ricorrente è unico socio, amministratore ed unico dipendente – ricevendo in maniera sistematica da singoli soggetti, definiti “microconferitori”, anch’essi privi di qualsivoglia titolo abilitativo, centinaia di chilogrammi di rifiuti ferrosi, dietro compenso corrispondente al peso.
Il materiale così illecitamente gestito veniva poi conferito, senza alcun tracciamento, in quanto le informazioni riportate nella prescritta documentazione non corrispondevano alla reale attività svolta dall’azienda, ad altri soggetti operanti nell’ambito del commercio dei metalli dietro maggior compenso, lucrando, quindi, sulla differenza.
5. Alla luce di quanto appena illustrato, occorre formulare alcune considerazioni di carattere generale.
Il rifiuto, dalla sua produzione e per tutte le fasi di gestione, genera costi nella maggior parte dei casi, in quanto la specifica disciplina di settore richiede adeguate misure di cautela e rigorosi controlli finalizzati alla prevenzione o riduzione degli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti.
La mera inosservanza anche di alcune tra le rigorose disposizioni che regolano la materia (ma lo stesso può dirsi per tutte le disposizioni che riguardano la tutela ambientale) può comportare, per i soggetti coinvolti, un notevole risparmio di spesa, come inequivocabilmente dimostrato non soltanto dalla casistica, ma anche dalla semplice disamina delle modifiche apportate nel corso degli anni alle disposizioni che riguardano questo particolare ambito, spesso generate dalla necessità di soddisfare le esigenze di singoli settori produttivi o risolvere, per via legislativa, situazioni contingenti.
Si tratta di una situazione ben nota e ripetutamente stigmatizzata dalla dottrina, specie con riferimento alla disciplina dei rifiuti, in modo particolare per gli interventi modificativi che, nel corso degli anni, hanno sottratto questo o quel materiale dal novero dei rifiuti.
La inosservanza delle disposizioni che regolano la gestione dei rifiuti non produce, quale unica conseguenza, un risparmio di costi, poiché indirettamente incide sul normale sistema concorrenziale tra imprese (come già chiarito da Sez. 3, n. 35568 del 30/5/2017, Savoia, Rv. 271138) e pone a rischio o danneggia l’ambiente e la salute delle persone, che la predisposizione di una rigorosa disciplina tende a tutelare.
6. Se, dunque, si hanno presenti questi aspetti ben noti, l’individuazione della nozione di “ingiusto profitto” risulta agevole.
Esso, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., può consistere non soltanto in un ricavo patrimoniale, ma anche nel vantaggio conseguente dalla mera riduzione dei costi aziendali o nel rafforzamento di una posizione all’interno dell’azienda ed è ingiusto in quanto la condotta posta in essere abusivamente, oltre che anticoncorrenziale, può essere produttiva di conseguenze negative, in termini di pericolo o di danno, per la integrità dell’ambiente ed impedisce, comunque, il doveroso controllo, da parte dei soggetti preposti, sull’intera filiera dei rifiuti, che la legge impone dalla produzione alla destinazione finale.
7. Nella fattispecie in esame, dunque, il Tribunale non aveva necessità di spendere molte parole per dimostrare la sussistenza di un ingiusto profitto, poiché, tenendo conto delle risultanze investigative, esso era evidente, avendo l’indagato svolto, attraverso la società di cui è titolare, una serie di attività di gestione di rifiuti per la quale non disponeva di alcuna autorizzazione, ricevendo da singoli soggetti, per un periodo non certo breve, una considerevole quantità di rottami ferrosi, peraltro di incerta provenienza, che poi rivendeva a prezzo maggiore rispetto a quello pagato ai c.d. “microconferitori”.
Del tutto destituita di fondamento risulta, inoltre, l’affermazione del ricorrente circa l’assenza di elementi dimostrativi della effettiva esistenza di un profitto.
Invero, in disparte l’osservazione che non sarebbe altrimenti spiegabile lo svolgimento, attraverso una società, di una simile attività del tutto diversa da quella, autorizzata, di mero trasporto di rifiuti non pericolosi, occorre rilevare che l’ordinanza impugnata fa riferimento ai numerosissimi conferimenti di rifiuti documentati, ai contenuti dei formulari esaminati (dove è specificata la quantità dei rifiuti conferiti, come emerge dalla ordinanza applicativa della misura allegata al ricorso) ed all’arco temporale entro il quale detta attività è stata posta in essere, così dando adeguata giustificazione della sussistenza dell’ingiusto profitto.
8. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per ciò che riguarda il secondo motivo di ricorso, in ordine alla ritenuta abitualità della condotta.
Va rilevato, con riferimento a tale specifico elemento, che il ricorrente, pur articolando il motivo di impugnazione lamentando la mancata verifica, da parte dei giudici del riesame, di tale specifico elemento, che la legge richiede per la configurabilità del reato, prescinde del tutto dal chiarire, anche incidentalmente, quale sarebbe la diversa, lecita attività svolta dalla società della quale è legale rappresentante.
Se, dunque, l’attività oggetto di contestazione non sarebbe abituale perché concentrata in un arco di tempo limitato, non è dato comprendere di cosa si occupasse effettivamente la società del ricorrente al di fuori di tale periodo.
Tale dettaglio è certamente di secondario rilievo, ma sottrae comunque concretezza alla censura, la quale, tuttavia, si rileva infondata anche per altre ragioni.
Occorre a tale proposito ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito, lo si ricorda anche in ricorso, che il delitto in esame è un reato abituale (v. Sez. 3, n. 29619 del 8/7/2010, Leorati e altri, Rv. 248145; Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605. V. anche Sez. 3,  n. 18669 del 8/1/2015, Gattuso, non massimata).
Come rilevato in altra pronuncia (Sez. 3, n. 44629 del 22/10/2015, Bettelli e altro, Rv. 265573), le richiamate decisioni non hanno indicato il numero minimo di condotte necessarie per la configurabilità del reato, mentre, in più occasioni, la dottrina ha affermato che esso debba individuarsi in almeno due, rinviando, come riferimento, ad una pronuncia di questa Corte (Sez. 4, n. 28158 del 2/7/2007, P.M. in proc. Costa, Rv. 236907).
Nella citata sentenza Bettelli si è altresì specificato come l’apprezzamento circa la soglia minima di rilevanza penale della condotta che configura il delitto debba essere effettuato non soltanto attraverso il riferimento al mero dato numerico, ma, ovviamente, anche considerando gli ulteriori rimandi, contenuti nella norma, a «più operazioni» ed all’«allestimento di mezzi e attività continuative organizzate» finalizzate alla abusiva gestione di ingenti quantità di rifiuti, poiché tale valutazione complessiva, operata in concreto dal giudice, consente di superare agevolmente eventuali margini di incertezza proprio in ragione della sostanziale pianificazione e strutturale organizzazione della condotta che la norma richiede.
Inoltre, si aggiunge, i requisiti della condotta indicati dalla legge – compimento di più operazioni e allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, attività di cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione, o comunque gestione abusiva di rifiuti, quantitativo ingente di rifiuti e finalità di ingiusto profitto – vanno considerati unitariamente e non singolarmente.
Si affermava, conseguentemente, il principio secondo il quale la natura di reato abituale del delitto in esame è pacifica ed il fatto che esso sia caratterizzato dalla sussistenza di una serie di condotte le quali, singolarmente considerate, potrebbero anche non costituire reato, ne consente l’astratta qualificazione come reato abituale proprio, la cui consumazione deve ritenersi esaurita con la cessazione dell’attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti (in senso conforme, Sez. 3, n. 52838 del 14/7/2016, Serrao e altri, Rv. 268920).
9. Ciò posto, risulta evidente che il riferimento, in ricorso, alla durata delle attività di monitoraggio mediante video riprese è del tutto inconferente, poiché, anche a voler considerare l’arco di tempo compreso tra l’aprile ed il maggio 2017 individuato dalla difesa, il requisito del numero minimo di condotte necessarie per la configurabilità del reato sarebbe già sussistente sulla base di quanto affermato nelle richiamate pronunce.
Inoltre, lo stesso ricorrente riconosce che l’ordinanza applicativa della misura custodiale si riferisce ad un periodo di tempo più ampio, quantificato in circa un anno e mezzo prima dell’esecuzione del provvedimento.
Risulta, poi, ampiamente dimostrata l’esistenza di un apparato organizzativo e di più operazioni di compravendita di rifiuti che i giudici del riesame non ritengono dimostrate dalle sole riprese video,  avendo fatto riferimento, come si è già detto, anche ad altre attività di indagine ed alla disamina della documentazione acquisita.
10. Le emergenze indiziarie, così individuate, consentono di affermare l’infondatezza anche del terzo motivo di ricorso.
Anche in questo caso va richiamata la giurisprudenza di questa Corte la quale, nel ritenere che la condotta sanzionata (ovviamente non occasionale, stante la natura del reato di cui è già detto), richiede una preparazione ed un allestimento di specifiche risorse, anche del tutto rudimentale, ha specificato come lo stesso possa configurarsi anche in presenza di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale, idonea ed adeguata a realizzare l’obiettivo criminoso preso di mira, anche quando essa non sia destinata, in via esclusiva, alla commissione di attività illecite, con la conseguenza che esso si realizza anche quando l’attività criminosa sia marginale o secondaria rispetto all’attività principale lecitamente svolta (Cass. Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232349; Sez. 3, n. 47870 del 19/10/2011, R.C., Giommi e altri, Rv. 251965; Sez. 3, n. 44632 del 22/10/2015, Impastato, non massimata).
E’ dunque del tutto evidente che la semplice titolarità dell’impresa, attraverso la quale l’indagato poneva in essere le condotte oggetto di contestazione, assume di per sé rilievo, specie se, come nel caso in esame, non è dato sapere se una diversa attività lecita fosse effettivamente svolta dalla società ed, in ogni caso, è indicativa della sussistenza di quella predisposizione di mezzi, anche rudimentale, che la giurisprudenza richiede.
Nel caso specifico, peraltro, il ruolo di rilievo del ricorrente nell’ambito dell’attività criminale viene chiaramente definito dal Tribunale il quale, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, ha pure posto in evidenza la posizione degli altri soggetti coinvolti, dando conto del fatto che, dall’analisi dei filmati acquisiti, si era accertata la presenza di diversi soggetti, tutti identificati, che attivamente partecipavano all’illecita attività, alcuni dirigendo le singole operazioni, altri svolgendo compiti di mera manovalanza.
Tali presenze, inserite evidentemente nell’ambito dell’attività aziendale, sono certamente significative e non richiedono ulteriori dimostrazioni della esistenza di un formale rapporto con la società, la quale era pacificamente gestita e diretta dall’odierno ricorrente, che il Tribunale indica come sempre presente sul luogo ove vengono svolte le operazioni, anche in occasione dei controlli.
11. Infondato è anche il quarto motivo di ricorso, poiché si è già affermato come, in tema di misure cautelari emesse ex art. 27 cod. proc. pen., il giudice competente ben possa motivare “per relationem” con riferimento all’ordinanza emessa dal giudice dichiaratosi incompetente, purché la motivazione di quest’ultima risulti congrua rispetto alle esigenze giustificative del nuovo provvedimento, che deve dar conto, in motivazione, della predetta congruità. (Sez. 2, n. 11460 del 2/2/2016, P.M. in proc. Di Pietro e altri, Rv. 266557; Sez. 3, n. 20568 del 29/1/2015, Verdone, Rv. 263744; Sez. 2, n. 6358 del 28/1/2015, Evangelista e altro, Rv. 262576).
Ciò posto, si osserva che non risulta, dal ricorso e dal provvedimento impugnato, che la questione sia stata oggetto di specifica censura innanzi al Tribunale del riesame, ma, in ogni caso, la mera disamina del provvedimento allegato al ricorso evidenzia l’esistenza di una corposa ed articolata motivazione e non anche di un, pur legittimo, richiamo al provvedimento cautelare emesso precedentemente dal giudice dichiaratosi incompetente.
Anche l’ordinanza impugnata si sottrae alle censure svolte con il motivo in esame, poiché il Tribunale, dando atto del fatto che la posizione del ricorrente era stata precedentemente esaminata dal Tribunale di Lamezia Terme, ha dichiarato di condividerne i contenuti, dando peraltro conto del fatto che, nelle more, non erano emersi elementi di novità tali da indurre a diverse conclusioni.
12. Infondato è, infine, il quinto motivo di ricorso.
Come questa Sezione ha già avuto modo di rilevare (Sez. 3, n. 37087 del 19/5/2015, Marino, Rv. 264688), l’attuale conformazione della norma codicistica richiede ora che il pericolo che l’indagato commetta altri delitti sia non solo concreto, ma anche attuale, con la conseguenza che non è più sufficiente ritenere – in termini di certezza o di alta probabilità – che questi torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario, anzitutto, prevedere – negli stessi termini di certezza o di alta probabilità – che gli si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti (v. anche, ex pl., Sez. 6, n. 21350 del 11/5/2016, Ionadi, Rv. 266958; Sez. 6, n. 24476 del 4/5/2016, Tramannoni, Rv. 266999)
Si è però ulteriormente precisato che tale requisito non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione prognostica fondata su elementi concreti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare (Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016 (dep. 2017), Verga, Rv. 269684. Conf. Sez. 5, n. 33004 del 3/5/2017, Cimieri, Rv. 271216. V. anche Sez. 3, n. 34154 del 24/4/2018, Ruggerini, Rv. 273674), dovendosi quindi escludere in presenza di una condotta del tutto sporadica ed occasionale e dovendo, invece, essere affermato qualora – all’esito di una valutazione prognostica fondata sulle modalità del fatto, sulla personalità del soggetto e sul contesto socio-ambientale in cui egli verrà a trovarsi, ove non sottoposto a misure – appaia probabile, anche se non imminente, la commissione di ulteriori reati, con la conseguenza che che il requisito dell’attualità del pericolo può sussistere anche quando l’indagato non disponga di effettive ed immediate opportunità di ricaduta (Sez. 2, n. 44946 del 13/9/2016, Draghici e altro, Rv. 267965. V. anche, ex pl., Sez. 2, n. 53645 del 8/9/2016, Luca’, Rv. 268977; Sez. 2, n. 47891 del 7/9/2016, Vicini e altri, Rv. 268366; Sez. 6, n. 24779 del 10/5/2016, Rando, Rv. 26783001).
Si è peraltro specificato, in alcuni casi, che il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto espressamente dalla legge 16 aprile 25, n. 47 nel testo dell’art. 274, lett. c) cod. proc. pen., costituiva già prima della entrata in vigore della legge in questione un presupposto implicito per l’adozione della misura cautelare, in quanto necessariamente insito in quello della concretezza del pericolo (ex pl. Sez. 6, n. 24779 del 10/5/2016, Rando, Rv. 267830; Sez. 6, n. 9894 del 16/2/2016, C., Rv. 266421;  Sez. 3, n. 12477 del 18/12/2015 – dep. 24/03/2016, Mondello, Rv. 266485).
Il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, dunque, presuppone la riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, che può però essere apprezzata anche sulla base delle modalità della condotta concretamente tenuta, della personalità dell’indagato, del contesto entro il quale i fatti si sono svolti, nonché su altri elementi obiettivi che consentano la formulazione del giudizio prognostico richiesto, che resta necessariamente tale (Sez. 3, n. 1381 del 18\12\2015 (dep. 2016) Franchini).
13. Nel caso di specie, il Tribunale ha posto in evidenza le modalità della condotta, caratterizzata da reiterazione e professionalità, nonché il fatto che dall’illecita attività contestata il ricorrente trae, in assenza di altre fonti di reddito, i mezzi per il proprio sostentamento.
A tali già significative evenienze i giudici del riesame aggiungono la pervicacia ed ostinazione con la quale l’indagato ha proseguito lo svolgimento dell’attività criminosa nonostante i molteplici controlli ed i provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
L’ordinanza impugnata risulta, pertanto, anche sul punto, adeguatamente motivata e giuridicamente corretta.
14. Altrettanto deve dirsi per quanto attiene alla scelta della misura, pure oggetto di censura, poiché i giudici del riesame hanno posto in rilievo, ancora una volta, la gravità dei fatti e le modalità della condotta, escludendo che misure meno afflittive potessero garantire le esigenze cautelari.
Va aggiunto che a nulla rileva il fatto che i beni aziendali siano stati sequestrati, poiché nel provvedimento impugnato, anche a dimostrazione della perseveranza manifestata dall’indagato nel mantenere in essere la propria attività illecita, viene richiamata l’attenzione sul fatto che allo stesso sono state contestate anche reiterate violazioni di sigilli, il che rende evidente anche l’inadeguatezza   di misure semplicemente volte ad impedire l’uso di mezzi di comunicazione.
15. Quanto, infine, al tempo trascorso dalla commissione dei fatti, il Tribunale indica significativamente che l’ultimo sequestro, dal quale, evidentemente, deve desumersi la sussistenza di attività ancora in atto, risale al 5 giugno 2018, quindi a poco tempo prima dell’esecuzione della misura.
16. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. .
Così deciso in data 28 febbraio 2019

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