AMBIENTE. Comitati spontanei e legittimazione ad agire in giudizio. Cons. di Stato n. 7952/2023.

Cons. di Stato, Sez. V, sent. n. 7952 del 25 agosto 2023 (ud. del 18 luglio 2023)

Pres. Caringella, Est. Santini

Ambiente in generale. Comitati spontanei. Convenzione di Aahrus. Art. 13 L. n. 349/1986.

La presenza di associazioni ambientaliste riconosciute ai sensi dell’art. 13 della legge n. 349 del 1986 non esclude, ai fini del ricorso alla giustizia amministrativa, analoga legittimazione ad agire per comitati spontanei che agiscono in ambito territoriale più circoscritto. E ciò in quanto altrimenti opinando, le località e le relative popolazioni, interessate da minacce alla salute pubblica o all’ambiente in un ambito locale circoscritto, non avrebbero autonoma protezione, in caso di inerzia delle associazioni ambientaliste espressamente legittimate per legge. Le associazioni ed i comitati che insorgono avverso taluni atti della PA sono solitamente costituiti proprio in occasione di un “evento scatenante”. Ciò che è tra l’altro naturale, non potendosi ipotizzare che talune iniziative, dato il notevole impiego di risorse e di mezzi che normalmente richiedono, possano nascere dal nulla, in assenza ossia di una particolare fattispecie di ritenuta fonte lesiva. Pertanto: escludere tutte le formazioni sociali costituitesi ad hoc, e dunque tutte quelle che sorgono “in occasione” di determinati eventi lesivi, vorrebbe dire escludere la gran parte di simili organismi associativi dalla possibilità di invocare tutela dinanzi ai preposti organi di giustizia, il che risulterebbe contrario rispetto ai principi contenuti nelle disposizioni internazionali, costituzionali e legislative.

Cons. di Stato, Sez. V, sent. n. 7952 del 25 agosto 2023 (ud. del 18 luglio 2023)

07952/2023REG.PROV.COLL.

01694/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1694 del 2023, proposto da

OMISSIS S.p.A. Unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Carlo Montanino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Claudio Di Tonno, Matteo Di Tonno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vincenzo Cerulli Irelli in Roma, via Dora n. 1;

nei confronti

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Comune di Pescara, non costituito in giudizio;

Comune di Montesilvano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Marina De Martiis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
OMISSIS S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Biagio Giliberti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni n. 281;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) n. 00507/2022, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comitato Strada Parco Bene Comune, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Regione Abruzzo, Comune di Montesilvano e OMISSIS S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 luglio 2023 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Montanino, Di Tonno Matteo, Giliberti e l’Avvocato dello Stato Santini.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Si controverte sulla filovia che dovrebbe collegare Montesilvano a Pescara. L’intervento, avendo come obiettivo quello di conseguire un decisivo decongestionamento del traffico attraverso la realizzazione di un sistema pubblico di trasporto con mezzi interamente elettrici, si propone di abbattere gli attuali importanti livelli di inquinamento da polveri sottili. Il progetto iniziale era in realtà molto più ampio, dovendo collegare anche altre località del pescarese (Francavilla). Per ragioni di finanziamento si è dunque stabilito di ripartire l’opera in tre lotti funzionali e di concentrarsi, innanzitutto, sul primo lotto che riguarda esclusivamente, come già anticipato, l’asse di collegamento tra Montesilvano e Pescara (pari a circa 8 km). Più in particolare, quanto ai fatti essenziali nonché strettamente rilevanti ai fini del decidere:

1.1. Nel 2007 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (d’ora in avanti, MIT) rilasciava nulla osta tecnico, ai fini della sicurezza, sul progetto di filovia nella parte riguardante gli aspetti infrastrutturali, rinviando le valutazioni finali relative al mezzo da utilizzare ossia al veicolo ibrido diesel/elettrico a quel momento contemplato (parte innovativa) ad un ulteriore intervento, in funzione di completamento del suddetto nulla osta tecnico, da parte di apposita Commissione di Sicurezza;

1.2. Nel frattempo il Comitato VIA regionale decideva, mediante atti adottati tra il 2008 ed il 2014, di escludere il progetto stesso dalla assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale;

1.3. Sempre nel frattempo, la società che avrebbe dovuto fornire il mezzo di trasporto ibrido (Phileas) era fallita. Di qui la decisione di optare per un mezzo esclusivamente elettrico di tipo “Tram Look” (e dunque non più ibrido diesel/elettrico);

1.4. Con atto del 15 marzo 2021, veniva poi rilasciato il nulla osta tecnico alla sicurezza anche sulla parte innovativa ossia sul mezzo da utilizzare. Mezzo che, come anticipato, sarebbe stato solamente elettrico (di qui la formulazione di una specifica perizia di variante, la quale riguardava anche altri aspetti tra cui la posa in opera di un nuovo manto bituminoso e la messa in sicurezza mediante allargamento di alcuni tratti di marciapiede). Il nulla osta conteneva alcune prescrizioni la cui ottemperanza avrebbe dovuto poi essere verificata nella successiva fase di valutazione circa l’idoneità del mezzo stesso.

2. Un comitato di cittadini si opponeva a tale progetto, e in particolare alla terza variante (che sostanzialmente comporta il passaggio da tram ibridi diesel-elettrici Phileas a tram esclusivamente elettrici ossia “Tram look”), e dunque presentava ricorso al TAR Pescara che ha ritenuto di accogliere il gravame sulla base delle seguenti ragioni:

2.1. Il comitato denota un sufficiente grado di rappresentatività: di qui la sussistenza della legittimazione attiva;

2.2. Il nulla osta alla sicurezza progettuale espresso dal MIT ha natura del tutto interlocutoria o soprassessoria: diversi punti critici sarebbero infatti rimasti aperti e dunque rinviati alla sola fase di esercizio;

2.3. Il nulla osta alla sicurezza sulla terza variante (che riguarda prevalentemente il suddetto passaggio da tram diesel a tram elettrici) si fonda su un atto ministeriale del 2007, riguardante le opere infrastrutturali di base, che tuttavia era stato qualificato dallo stesso MIT alla stregua di “parere preliminare” e non di nulla osta definitivo: dunque il provvedimento definitivo riguarderebbe solo il mezzo utilizzato ma non anche l’intera opera infrastrutturale nel suo complesso;

2.4. La terza variante (passaggio da tram diesel a tram elettrici) non è stata ritualmente sottoposta a nuova verifica di assoggettabilità a VIA.

3. Tale sentenza veniva impugnata per i motivi di seguito sintetizzati:

3.1. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stata colta la assenza di legittimazione a ricorrere in capo al ridetto comitato cittadino (in sostanza, per assenza del requisito della stabilità temporale ossia di attività protratta nel tempo nello specifico settore);

3.2. Erroneità per omessa rilevazione della tardività del ricorso, atteso che la scelta di effettuare tale intervento risalirebbe ad oltre dieci anni prima;

3.3. Erroneità, nel merito, per avere ritenuto sussistente la violazione degli artt. 3, 4 e 5 del DPR n. 753 del 1980 (il giudice di primo grado avrebbe considerato il provvedimento in data 15 marzo 2021 alla stregua di parere interlocutorio e non definitivo “salvo prescrizioni”);

3.4. Erroneità, sempre nel merito, per avere ritenuto il nulla osta del 6 aprile 2007 alla stregua di parere preliminare e non definitivo (o almeno definitivo quanto alla parte infrastrutturale). Erroneità, legata a tale motivo, in quanto non sarebbe stata in ogni caso affermata la tardività del gravame in relazione a tale specifico motivo (erroneità già evidenziata al punto 3.2.);

3.5. Erroneità, ancora nel merito, per avere ritenuto ulteriormente necessario avviare la procedura di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale anche della terza variante.

4. Si costituivano in giudizio: MIT, Regione Abruzzo, OMISSIS e Comune di Montesilvano per aderire al ricorso in appello. Il Comitato originariamente ricorrente per chiedere il rigetto dell’appello stesso nonché per riproporre alcuni motivi non altrimenti valutati in occasione della sentenza di primo grado. Più in particolare si lamentava ancora omessa considerazione, da parte delle competenti amministrazioni:

4.1. Circa il fatto che l’area destinata all’intervento andrebbe ormai considerata alla stregua di “bene comune” della collettività di riferimento, come tale da sottrarre a simili interventi;

4.2. Dei presupposti per disporre la revoca del finanziamento dell’intervento stesso;

4.3. Di alcuni decisivi aspetti legati alla sicurezza della circolazione;

4.4. Del principio di precauzione;

4.5. Delle distanze minime previste dalla normativa di settore.

5. La richiesta di sospensiva della suddetta sentenza è stata accolta sulla base delle seguenti considerazioni:

“Considerato che, nella contrapposizione tra i due opposti interessi, occorre in questa fase annettere preminenza all’interesse pubblico legato al celere compimento di una pubblica opera che dovrebbe sensibilmente contribuire all’abbassamento dei livelli di congestionamento del traffico stradale e dunque ad un miglioramento dello stato di inquinamento ambientale;

Ritenuto infine che, a corroborare le considerazioni di cui sopra, contribuisce altresì il rilievo che i motivi di appello – sebbene ad un primo esame che è proprio di questa fase cautelare – non sembrano sforniti del sufficiente fumus di fondatezza sia sotto il profilo della legittimazione a ricorrere, sia sotto il profilo delle sollevate questioni merito (nulla osta alla sicurezza progettuale e non assoggettabilità a VIA della variante in discussione)”.

6. Alla pubblica udienza del 18 luglio 2023 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso in appello veniva infine trattenuto in decisione.

7. Tutto ciò premesso la legittimazione ad agire del comitato va comunque ritenuta sussistente.

Si rammentano al riguardo i requisiti che debbono a tal fine essere cumulativamente posseduti affinché simili formazioni sociali possano essere ammesse alla legittimazione a ricorrere: a) finalità ambientale da tutelare e che deve essere presente a livello statutario; b) consistenza organizzativa e adeguata rappresentatività dell’ente stesso (dunque: stabilità organizzativa ed associativa); c) stabilità territoriale, consistente nel collegamento effettivo tra l’associazione e l’area che si intende tutelare; d) stabilità temporale, consistente per l’appunto nello svolgimento della ridetta attività in via protratta nel tempo, con preesistenza in ogni caso – giova ripetere – rispetto all’iniziativa che si intende contrastare. Ebbene nel caso di specie difetterebbe in particolare quest’ultimo requisito, e ciò dal momento che il Comitato è sorto soltanto un mese circa prima della proposizione del ricorso di primo grado.

Al riguardo è stato tuttavia affermato secondo un più recente orientamento (Cons. Stato, sez. III, 10 dicembre 2020, n. 7850) che:

“Sul tema del riconoscimento della legittimazione attiva dinanzi al giudice amministrativo degli enti esponenziali di interessi collettivi, sui presupposti di tale legittimazione e sulla stessa nozione di interesse collettivo, si è di recente pronunciata l’Adunanza Plenaria n. 6 del 20 febbraio 2020, che, nello specifico, ha riaffermato una giurisprudenza ben risalente di oltre cinquant’anni, ribadendo, innanzitutto, la non necessità, ai fini dell’impugnazione dell’atto amministrativo, di una legittimazione straordinaria conferita dal legislatore, ben potendo il giudice, all’esito di una verifica concreta della rappresentatività, ammettere l’esercizio dell’azione anche al di fuori di casi tassativamente indicati ex lege.

L’Adunanza Plenaria ha rilevato l’attualità dell’orientamento giurisprudenziale del c.d. criterio del doppio binario di accertamento, secondo il quale gli enti collettivi e in primo luogo le associazioni, ove presentino determinati requisiti da accertare caso per caso (effettiva rappresentatività, finalità statutaria, stabilità e non occasionalità e, in talune circostanze, anche collegamento con il territorio), sono legittimati all’impugnazione a tutela di interessi collettivi, a prescindere da una specifica disposizione legislativa”.

Pertanto, prosegue questa giurisprudenza:

“Si è già detto che la ricorrente è associazione di persone a fini di promozione sociale regolarmente costituita a norma del codice civile e che esplica per statuto la propria attività di interesse generale, come stigmatizzata dall’art. 5, comma 1 lett. a) del D.lgs. n. 117/2017.

Né può attribuirsi rilevanza decisiva in senso negativo alla circostanza che l’associazione sia stata costituita il 27 giugno 2018, solo qualche mese prima della proposizione del ricorso (depositato l’8 novembre) e che inizialmente siano solo sette i soci che ne fanno parte.

Se l’elemento temporale fosse dirimente si impedirebbe in modo irragionevolmente discriminatorio a formazioni sociali di nuova costituzione, per il cui riconoscimento giuridico ai sensi di legge, tra l’altro, non è richiesto un numero minimo di componenti o di soci costituenti, di accedere agli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per la tutela di situazioni giuridiche protette, in violazione dei principi espressi dagli artt. 2, 3 e 39 Cost.. Ed ancora, attribuire all’elemento temporale – la più o meno recente costituzione – tale funzione di discrimine, introdurrebbe un indebito elemento discrezionale se non arbitrario la cui delimitazione – in mesi? in giorni? in anni? – o valutazione non è, del resto, in alcun modo dalla legge considerata né, quindi, attribuita a qualsivoglia organismo.

Neppure può fondatamente sostenersi che l’associazione sia “nata in funzione dell’impugnativa di singoli atti e provvedimenti”.

La circostanza che il primo atto concreto compiuto per la realizzazione delle finalità statutarie sia la proposizione dell’impugnazione avverso il regolamento del Comune di Parma non dimostra l’occasionalità della rappresentatività dell’interesse collettivo che l’associazione ha assunto”.

A ciò sia consentito aggiungere che:

7.1. Ferma restando la validità dei requisiti sub lettere a), b) e c) da ultimo descritti, ad avviso del collegio qualche perplessità suscita, piuttosto, la persistente attualità e validità del requisito in discussione, quello ossia relativo alla c.d. stabilità temporale. E ciò anche alla luce di alcuni dei più significativi interventi normativi di rango internazionale (cfr. Convenzione di Aahrus del 25 giugno 1998), costituzionale (cfr. art. 118 a seguito della legge costituzionale n. 3 del 2001) e legislativo (cfr. art. 3-ter del codice dell’ambiente).

7.2. In linea generale si osserva che, anche secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. VI, 23 maggio 2011, n. 3107), la presenza di associazioni ambientaliste riconosciute ai sensi dell’art. 13 della legge n. 349 del 1986 non esclude, ai fini del ricorso alla giustizia amministrativa, analoga legittimazione ad agire per comitati spontanei che agiscono in ambito territoriale più circoscritto. E ciò in quanto “altrimenti opinando, le località e le relative popolazioni, interessate da minacce alla salute pubblica o all’ambiente in un ambito locale circoscritto, non avrebbero autonoma protezione, in caso di inerzia delle associazioni ambientaliste espressamente legittimate per legge”.

7.3. Ciò rammentato si evidenzia che:

a) l’art. 118, quarto comma, a seguito della riforma di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, prevede che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”;

b) l’art. 3-ter (Principio dell’azione ambientale) del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente) prevede che “La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio <<chi inquina paga>> che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”;

c) la Convenzione di Aahrus prevede a sua volta: il più ampio “sostegno delle associazioni … che promuovono la tutela dell’ambiente” (art. 3, par. 4); il “più ampio accesso alla giustizia in materia ambientale” (art. 3, par. 5) anche da parte delle organizzazioni (art. 9, par. 2) “che promuovono la tutela dell’ambiente” (art. 2, par. 5, il quale non prevede, va osservato, alcun requisito di tipo temporale ai fini della legittimazione processuale di cui si discute); infine, l’eliminazione e comunque la riduzione di “ostacoli all’accesso alla giustizia” (art. 9, par. 5).

7.4. Dal quadro sopra descritto emerge dunque una forte attenzione non solo nei riguardi dei singoli ma anche dei corpi intermedi, espressamente tutelati e valorizzati dall’art. 2 della Carta costituzionale, e del ruolo che gli stessi – pure attraverso il ricorso ai mezzi giurisdizionali – possono efficacemente svolgere per la tutela di determinati interessi generali e, in particolare, per la tutela della salute e dell’ambiente.

7.5. Tanto opportunamente premesso osserva il collegio che:

7.5.1. Le associazioni ed i comitati che insorgono avverso taluni atti della PA sono solitamente costituiti proprio in occasione di un “evento scatenante”. Ciò che è tra l’altro naturale, non potendosi ipotizzare che talune iniziative, dato il notevole impiego di risorse e di mezzi che normalmente richiedono, possano nascere dal nulla, in assenza ossia di una particolare fattispecie di ritenuta fonte lesiva. Pertanto: escludere tutte le formazioni sociali costituitesi ad hoc, e dunque tutte quelle che sorgono “in occasione” di determinati eventi lesivi, vorrebbe dire escludere la gran parte di simili organismi associativi dalla possibilità di invocare tutela dinanzi ai preposti organi di giustizia, il che risulterebbe contrario rispetto ai principi contenuti nelle disposizioni internazionali, costituzionali e legislative sopra indicate;

7.5.2. Sotto diverso profilo è pacifico che la tutela uti singuli, in ossequio al medesimo orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, soggiace a vincoli meno stringenti come la vicinitas e la prova del danno patrimoniale e personale (alla salute) asseritamente subito. Di qui una evidente disparità di trattamento, considerati i parametri richiesti per le formazioni sociali (non solo stabile collegamento ma anche stabilità temporale nei termini di cui si è già detto), tra due categorie (singoli ed associazioni) che legge (art. 3-ter cit.) e Costituzione (art. 118 cit.) collocano invece su un piano di perfetta e totale equiparazione. Disparità di trattamento che assume connotati di un certo rilievo ove soltanto si consideri il particolare regime di favore di cui godono siffatti corpi intermedi ai sensi dell’art. 2 Cost.;

7.5.3. Corollario di siffatto disallineamento è che, in termini di strategia processuale, i ricorsi vengono proposti sia come associazione sia come singoli individui (i quali sono coloro che fanno poi parte dell’associazione stessa), in modo che se non dovesse riconoscersi legittimazione processuale alla formazione sociale (per mancanza del requisito della stabilità temporale) si potrebbe pur sempre trovare ingresso nella ridetta procedura contenziosa attraverso il meccanismo del ricorso collettivo (dato dall’insieme dei singoli ricorrenti che agiscono individualmente ed i quali non sono pacificamente soggetti alle medesime limitazioni di carattere temporale) o comunque individuale: il che, ove pure non costituisse forma di elusione di quanto stabilito dal richiamato orientamento, comunque finirebbe per svuotare di significato i criteri specificamente individuati dalla giurisprudenza onde ammettere la legittimazione processuale di talune formazioni sociali;

7.5.4. In ulteriore analisi è noto – come a suo tempo messo in rilievo da autorevole dottrina – che l’esigenza di una legittimazione “di gruppo” deriva dalla preoccupazione che, pur trattandosi di interessi di alto valore sociale e di notevole rilevanza individuale, lo scontro con antagonisti più forti (i titolari ossia di autorizzazioni che determinano rilevanti impatti sul piano sanitario, paesaggistico ed ambientale) possa attenuare l’efficienza e l’effettività della tutela ove questa sia invocata dal singolo individuo. Intervenire in sede processuale mediante gruppi organizzati consente infatti, secondo il noto adagio per cui “l’unione fa la forza”, di ottimizzare competenze (anche di natura tecnica) e di condividere risorse (anche di natura finanziaria, date le elevate somme richieste per accedere alla giustizia amministrativa tramite il versamento del contributo unico). In questa direzione, spingere di fatto a chiedere giustizia in forma individuale piuttosto che in forma associativa si traduce: più “a monte”, nella costruzione di un vero e proprio ostacolo all’accesso ai mezzi giurisdizionali di chiaro segno contrario rispetto a quanto espressamente previsto dal citato art. 9, par. 5, della Convenzione di Aahrus; più “a valle”, in una tutela più stemperata e dequotata delle singole matrici sanitarie, ambientali e paesaggistiche, le quali godono invece di un certo livello di tutela rafforzata a livello costituzionale (artt. 9 e 32 Cost.);

7.5.5. Non si trascuri poi che, nell’ottica del citato art. 3-ter del codice dell’ambiente, la governance del bene ambientale passa altresì attraverso l’azione di siffatte formazioni sociali le quali, in chiave di sussidiarietà, rispondono in questo modo al problema della insufficienza della tutela pubblica di certi valori, pure costituzionalmente garantiti, mediante la tipica azione dei pubblici poteri. Azione sussidiaria, quella appena descritta, che una volta esauriti tutti i mezzi di carattere fisiologico (accesso agli atti, partecipazione al procedimento, etc.), giocoforza deve assumere natura patologica mediante il ricorso alla tutela di tipo giurisdizionale. L’orientamento giurisprudenziale che si basa, tra l’altro, sul requisito della stabilità temporale, finirebbe piuttosto per scoraggiare quelle forme di associazionismo cui la citata disposizione del codice dell’ambiente, unitamente all’art. 118, quarto comma, Cost., tende invece ad assegnare un ruolo pressoché fondamentale ai fini della tutela dell’ambiente;

7.5.6. A ciò si aggiunga che esigere tale “prova di maturità” in capo alle associazioni non riconosciute si tradurrebbe, ove non si inneschino altresì forme di tutela individuale oppure ad opera di associazioni legalmente riconosciute (art. 13 legge n. 349 del 1986), nella creazione di vere e proprie sacche di insindacabile illegittimità e, di conseguenza, nella possibile compromissione dei valori ambientali, soprattutto ove i motivi di ricorso si appalesino conclusivamente e sostanzialmente fondati;

7.5.7. Né il riconoscimento della legittimazione processuale in capo a siffatti organismi potrebbe compromettere, in qualche misura, il principio della giurisdizione soggettiva su cui poggia il sistema del processo amministrativo. E ciò in quanto le suddette formazioni sociali, benché costituite in occasione di specifiche vicende, non coltivano comunque un generico interesse alla legittimità dell’azione amministrativa quanto, piuttosto, un proprio concreto interesse giuridicamente qualificato dalla presenza di uno stabile collegamento tra la sfera soggettiva dell’ente e la fattispecie oggetto della potestà amministrativa, di solito una determinata area territoriale, di cui si chiede il sindacato. Sarebbe in altre parole più che sufficiente, onde garantire il rispetto del principio della giurisdizione soggettiva, il solo requisito della stabilità territoriale;

7.5.8. In questa direzione, l’orientamento restrittivo elaborato dalla giurisprudenza maggioritaria sembrerebbe dunque rispondere all’esigenza non tanto di garantire il rispetto dei richiamati principi della giurisdizione soggettiva quanto piuttosto di introdurre – seppure indirettamente – ulteriori forme di deflazione del contenzioso che, tuttavia, devono non solo formare esclusivo appannaggio dell’azione del legislatore ordinario ma anche considerarsi giocoforza recessive, per livello e grado di importanza, rispetto a più elevati valori di rango costituzionale come la salute, il paesaggio e l’ambiente.

7.6. Da quanto complessivamente detto deriva, ad avviso del collegio, che ai fini della legittimazione al ricorso di simili organismi (pure definiti in dottrina comitati d’occorrenza o spontanei) siano sufficienti i requisiti della finalità statutaria e della stabilità organizzativa, associativa e territoriale, non risultando altresì necessario quello della stabilità temporale.

7.7. Di qui, pertanto, il rigetto della relativa eccezione.

7.8. Inoltre, se i “sottoscrittori” sono ancora 4, gli “aderenti” sono invece in numero sufficiente (più di settecento, secondo quanto riferito dalla difesa di parte appellante e non altrimenti contestato dalle altre parti costituite), oltre ad uno statuto piuttosto articolato ed incentrato sulle materie oggetto di gravame (laddove si parla di tutela della Strada Parco quale “social street” della Città di Pescara), onde dimostrare la sussistenza del requisito della stabilità organizzativa (requisito avvalorato anche dalla presenza di un conto corrente e di un indirizzo mail).

Ne deriva da quanto detto il rigetto del primo motivo di appello.

8. Quanto alla lamentata tardività del gravame di primo grado, osserva il collegio come nel caso di specie si tratta di censurare prevalentemente le valutazioni operate in occasione del nulla osta del 2021 il quale: in primo luogo conterrebbe valutazioni del tutto generiche; in secondo luogo si baserebbe su precedenti valutazioni non definitive; in terzo luogo si fonderebbe su novità (passaggio da veicolo ibrido ad elettrico) non preliminarmente sottoposte al vaglio del comitato VIA. Di qui il rigetto della suddetta eccezione di rito, già sollevata in primo grado, e dunque dello specifico motivo di appello, atteso che le suddette censure si appuntano pressoché esclusivamente sull’atto da ultimo adottato in data 15 marzo 2021.

9. Nel merito si affronta, innanzitutto, la censura riguardante la violazione degli artt. 3 e 5 del DPR n. 753 del 1980.

Osserva preliminarmente il collegio come l’autorizzazione di cui all’art. 3 del DPR n. 753 del 1980 si riferisca al nulla osta tecnico alla sicurezza del progetto ferroviario nel suo complesso, laddove il successivo art. 5 riguarda la successiva verifica di funzionalità del veicolo mezzo utilizzato ossia il nulla osta tecnico all’esercizio del mezzo stesso. Dunque l’autorizzazione di cui al comma 3 è “sul progetto” (in termini di “sicurezza” della circolazione) mentre quella di cui al comma 5 è “sul mezzo” (in termini di idoneità e funzionalità ossia di “esercizio” del medesimo).

Il giudice di primo grado, con riferimento ai contenuti ed alla adeguatezza del provvedimento in data 15 marzo 2021, ha così statuito che: “Nel caso di specie … risulta che il nulla osta impugnato non si è concluso con un giudizio e una valutazione definitiva sul progetto, essendosi il Ministero limitato a esaminare il progetto, rilevandone delle criticità e dettando delle prescrizioni generiche al punto da risultare soprassessorie, e comunque perplesse, per poi rinviare la ulteriore valutazione al diverso controllo in sede di esercizio”. Ed ancora che: “non si può autorizzare la realizzazione di un progetto e neanche giustificare il conseguente impiego di denaro pubblico se non si stabilisce prima e con certezza che tale progetto è realizzabile nel rispetto dei canoni di sicurezza previsti dalla legge, non potendosi dunque rimandare continuamente tale verifica solo al completamento delle opere”. Più in particolare, si tratterebbe “di problemi del tutto centrali sulla sicurezza dell’opera e della sua interazione con il traffico veicolare” che sarebbero “non solo … rimandati, con decisione soprassessoria … ma … anche esposti in maniera dubitativa e perplessa”. Di qui la “grave lacunosità della valutazione”.

Osserva il collegio che:

9.1. Quanto alla possibilità di prevedere “autorizzazioni con prescrizioni” si rinvia alla giurisprudenza che, a proposito di procedimenti complessi come la valutazione di impatto ambientale o l’autorizzazione integrata ambientale, ha affermato che in simili ipotesi il relativo provvedimento si “presenta come una “autorizzazione a struttura aperta”, con prescrizioni correlate alla complessità della vicenda di interesse (TAR Lazio, Sez. II, sentenza n. 32176 dell’8 settembre 2010)”(Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 1164). Ebbene un simile orientamento, benché espresso in materia di valutazioni ambientali, ben potrebbe essere esteso alla più generale tematica delle “autorizzazione complesse”, con gli opportuni accorgimenti, quali quelle del caso di specie;

9.2. Sulla possibilità che la PA, in presenza di procedimenti amministrativi complessi, possa condizionare il rilascio dell’autorizzazione al rispetto di talune condizioni o prescrizioni di esercizio oppure progettuali, si veda inoltre Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2016, n. 882;

9.3. Si veda ancora sul tema quanto stabilito in altre decisione del GA secondo cui, in particolare:

“Quanto alla possibilità d’inserire le c.d. “prescrizioni di obblighi”, va ricordato che qualsiasi atto amministrativo ha per contenuto una “parte necessaria” (essentialia negotia), corrispondente agli elementi del tipo previsto dalla legge, e può avere anche una limitata “parte eventuale” (accidentalia negotia). Nell’attività amministrativa, si è infatti pervenuti ad ammettere l’inserimento di elementi accidentali o eventuali nell’atto amministrativo, ai quali vengono in genere ricondotti le c.d. clausole impositive di obblighi, purché però queste non siano ex se incompatibili con la natura dell’atto e non alterino la tipicità del provvedimento stesso.

Le misure prescrittive dunque indicano propriamente a quali obblighi viene subordinata la validità e l’efficacia dell’autorizzazione, ovverosia quali sono gli obblighi a cui deve adempiere e conformarsi il destinatario dell’atto, affinché possa svolgere legittimamente l’attività assentita.

In questa accezione, può dirsi che la c.d. prescrizione di obblighi ponga una sorta di condicio juris al provvedimento, in quanto solo dopo il suo adempimento l’autorizzazione spiega i propri effetti tipici. Talché un simile provvedimento finisce per assumere un contenuto precettivo positivo complesso, che è racchiuso sì nella parte dispositiva, ma per come strettamente delimitata dalla parte prescrittiva” (TAR Bari, Sez. II, 23 settembre 2021, n. 1387);

9.4. In questa direzione occorrerà dunque valutare in concreto se tali “prescrizioni d’obbligo”, per quantità e qualità del loro contenuto anche intrinseco, risultino o meno sì rilevanti “da “esternalizzare” in pratica la riprogettazione di una gran parte dell’impianto dal provvedimento e dal procedimento previsto dalla legge”. Sotto altra angolazione, se il numero o la tipologia di prescrizioni siano de facto impossibili da realizzare, tanto da configurare un provvedimento sostanzialmente negativo;

9.5. Alla luce di quanto appena riportato può dunque affermarsi in estrema sintesi che: a) le c.d. prescrizioni d’obbligo ben possono essere contemplate, in funzione di elementi accidentali, all’interno di ogni provvedimento autorizzatorio; b) ciò anche allo scopo di snellire procedimenti amministrativi di una certa complessità (quali quelli di specie); c) deve comunque trattarsi di prescrizioni che, per numero e contenuto, non comportino una nuova progettazione dell’intervento né rendere di fatto impossibile l’intervento stesso. In altre parole, non deve trattarsi di “prescrizioni d’obblighi” radicali (tali ossia da dare luogo ad un “nuovo progetto”) né irrealizzabili (tali da dare luogo ad un “non progetto”).

9.6. Fatte queste doverose premesse, nel caso di specie la Commissione di Sicurezza ha previsto nella prescritta relazione (fatta poi propria dal gravato provvedimento ministeriale del 15 marzo 2021) ben nove prescrizioni e, in particolare:

9.6.1. La verifica sul percorso promiscuo (filobus ed autovetture) che le corsie per le macchine siano sufficientemente ampie. Prescrizione questa che non comporta rinnovi progettuali né difficoltà estreme;

9.6.2. Verifica della programmazione dei semafori in funzione degli orari del filobus. Anche qui si tratta di prescrizione agevolmente realizzabile senza stravolgimenti progettuali;

9.6.3. Revisione orario del servizio filobus per alcuni particolari tratti (prescrizione questa già ottemperata dalla Regione Abruzzo senza contestazioni sul punto ad opera del ricorrente comitato cittadino);

9.6.4. Sul percorso dedicato espressamente al filobus, prevedere “ostacoli” per il camminamento pedonale ossia evitare, in altre parole, che i pedoni siano portati a camminare sui binari del filobus. A questo proposito si suggerisce di inserire ai lati del percorso arbusti o barriere. Ove tali ostacoli non siano inseribili per motivi fisici o tecnici, prevedere una limitazione della velocità del filobus. Dunque una prescrizione, questa, che non comporta un riavvio dell’iter progettuale né presenta particolari difficoltà tecniche;

9.6.5. In presenza di accessi privati (abitazioni) che insistono sul percorso del filobus, prevedere semafori per attraversamento oppure cartelli che inibiscano attraversamento dei binari del tram qualora vi siano semafori nelle vicinanze dell’abitazione. Prescrizione anche questa agevolmente realizzabile senza alcun stravolgimento progettuale;

9.6.6. Analogo discorso di cui al punto che precede per la presenza di passi carrabili che insistano sul percorso del filobus. Anche qui inserimento di semafori. Prescrizione eminentemente tecnica di agevole realizzazione;

9.6.7. Dettaglio su “collegamento all’impianto di terra previsto per i sostegni della linea di trazione TE”. Prescrizione questa poi ottemperata senza contestazione alcuna ad opera della Regione Abruzzo;

9.6.8. Presentazione di “appositi elaborati grafici, riferiti alle sezioni tipiche delle fermate e della linea”. Prescrizione questa poi ottemperata senza contestazione alcuna ad opera della Regione Abruzzo;

9.6.9. Rielaborazione del quadro economico in funzione delle prescrizioni sopra descritte. Adempimento questo strettamente consequenziale alle indicazioni stesse.

9.7. Alla luce di quanto sopra riportato, le “prescrizioni d’obbligo” contemplate nel provvedimento autorizzatorio non si rivelano né soprassessorie né generiche né tanto meno dubitative, palesandosi al contrario specifiche e agevolmente definibili nonché suscettive di immediata verificabilità (circa la esatta realizzazione delle medesime) anche in fase di esercizio ossia in vista del concreto avvio della suddetta attività di trasporto. Dunque non si tratta di prescrizioni irrealizzabili, alla luce di quanto riportato in premessa, né di obblighi diretti a comportare una sostanziale “riprogettazione” dell’intervento stesso. Il nulla osta alla sicurezza progettuale di cui alla gravata determinazione del 15 marzo 2021 (art. 3 DPR 753 del 1980) prevede prescrizioni (ossia miglioramenti e affinamenti progettuali) che dunque ben potranno essere verificate in occasione della ulteriore fase di autorizzazione all’esercizio (art. 5 del DPR 753 del 1980).

9.8. A ciò si aggiunga che, come del resto già anticipato, prevedere talune prescrizioni costituisca pratica comune se non proprio fisiologica, in fase di autorizzazione amministrativa, onde poter consentire una certa celerità al procedimento amministrativo di approvazione del progetto stesso.

9.9. Decisivo in tal senso è che si tratti pur sempre di “prescrizioni” sostenibili e agevolmente realizzabili da parte del proponente nonché di obblighi che non implichino necessariamente il riavvio dell’iter progettuale. Ma di tale “sostenibilità” si è data ampia dimostrazione ai punti che precedono.

9.10. Ebbene, pur in presenza di simili “sostenibili” prescrizioni la difesa del comitato appellato si è in questa sede genericamente limitata ad affermare che: a) la modifica apportata con la terza variante al sistema di trasporto (da sistema Phileas a sistema Tram Look) si tradurrebbe in una “modifica … in pejus per la pubblica incolumità”; b) si registrerebbe un certo “tenore dichiaratamente perplesso e dubitativo circa l’effettiva utilità delle prescrizioni e condizioni ivi impartite” (pag. 30 memoria comitato dell’11 aprile 2023); c) le medesime prescrizioni “quand’anche realizzate potrebbero non risolvere le molteplici criticità riscontrate in punto di sicurezza del transito filoviario all’interno della Strada-Parco: ed anzi permanendo situazioni di sicuro rischio” (pag. 30 stessa memoria). Il tutto senza mai indicare per quali effettive ragioni tali “criticità” non potrebbero giammai essere risolte. Evidente la ellitticità di quanto affermato e dunque il mancato raggiungimento della prova di inidoneità, sotto i profili sopra evidenziati, con riguardo alle disposte prescrizioni d’obbligo.

9.11. Ne deriva che, in assenza di prova contraria da parte della associazione ricorrente (impossibilità teorica e pratica di osservare simili prescrizioni né obbligo di apportare modifiche sostanziali al progetto), si deve ritenere che le prescrizioni siano tutto sommato ordinariamente assolvibili da parte del proponente.

9.12. Alla luce di quanto sopra riportato consegue l’accoglimento dello specifico motivo di appello.

10. Con il motivo sub 3.4. si lamenta invece erroneità, sempre nel merito, per avere il giudice di primo grado ritenuto il nulla osta del 6 aprile 2007 alla stregua di parere preliminare e non definitivo (o almeno definitivo quanto alla parte infrastrutturale).

In particolare secondo il giudice di primo grado: nel 2007 non sarebbe stato rilasciato un nulla osta definitivo, ai sensi dell’art. 3 del DPR n. 753 del 1980, ma soltanto un parere del tutto preliminare. Dunque mancherebbe l’approvazione definitiva sul progetto nel suo complesso, atteso che il nulla osta del 15 marzo 2021, oltre ad essere incompleto per le ragioni sopra descritte al punto 12, sarebbe comunque circoscritto alla sola idoneità del veicolo utilizzato sul piano della sicurezza. In altre parole, nella prospettiva del giudice di primo grado vi sarebbe un nulla osta definitivo su una parte del progetto (parte innovativa del mezzo di locomozione utilizzato) ma non anche sull’intero progetto o meglio sulla parte infrastrutturale (in ordine alla quale nel 2007 sarebbe stato rilasciato soltanto un parere preliminare e non anche un nulla osta definitivo). Dunque sarebbe stata omessa ogni valutazione circa “la possibile interazione … tra il mezzo e le opere infrastrutturali”.

Osserva tuttavia il collegio come nel 2007 si trattasse di un nulla osta alla sola parte tradizionale o infrastrutturale, mentre il completamento del nulla osta alla sicurezza sarebbe avvenuto attraverso una Commissione di Sicurezza che si doveva esprimere sulla restante parte innovativa o tecnologica riguardante il mezzo utilizzato. Più in particolare, una volta valutata la tempestività della censura sollevata in primo grado (in quanto la denunziata incompletezza si riverbera sulla determinazione in data 15 marzo 2021, laddove il provvedimento in data 6 aprile 2007 è stato impugnato soltanto per dimostrare l’insussistenza dei presupposti onde ritenere conclusivo lo stesso atto del 15 marzo 2021):

10.1. Con nota in data 6 aprile 2007 si rilasciava formalmente “parere tecnico preliminare” sull’intero progetto ad eccezione della parte che riguardava “le soluzioni innovative del sistema” ossia la “progettazione esecutiva … e costruttiva del veicolo” (il quale si basava su un meccanismo di “guida automatica”). Tale parte del progetto doveva essere specificamente riservato ad una Commissione di Sicurezza (si veda sul punto anche la relazione tecnica di accompagnamento al citato provvedimento del 6 aprile 2007);

10.2. Con nota del 17 aprile 2007 veniva poi precisato dallo stesso Ministero che: a) il parere del 6 aprile 2007 doveva intendersi alla stregua di “NULLA OSTA TECNICO PRELIMINARE”; b) la Commissione di Sicurezza si sarebbe occupata delle ulteriori “fasi di affinamento progettuale” (quelle ossia relative alla valutazione delle parti innovative concernenti il veicolo da utilizzare);

10.3. Con nota del 6 dicembre 2010, lo stesso Ministero precisava ulteriormente che, con l’avvento di tali innovativi sistemi di trasporto (guida automatica), è ormai da tempo invalsa la prassi secondo cui: a) si rilascia in prima battuta un nulla osta tecnico preliminare sulla parte tradizionale di simili progetti di trasporto ossia sulle parti infrastrutturali ed impiantistiche dell’intervento; b) il nulla osta stesso ai fini della sicurezza (art. 3 del DPR n. 753 del 1980) viene poi “completato” previo coinvolgimento di apposita “Commissione di Sicurezza” la quale dovrà occuparsi degli “aspetti innovativi dell’impianto” attraverso “verifica teorica della progettazione della tecnologia” nonché mediante una “serie di prove e verifiche funzionali”. Dunque una valutazione non solo teorica ma anche pratica ad opera di tale Commissione di Sicurezza;

10.4. Siffatta impostazione veniva ulteriormente confermata con nota ministeriale del 7 luglio 2014.

10.5. Dunque si deve parlare non tanto di “parere preliminare” quanto, piuttosto, di “nulla osta parziale” ossia riferito ad una parte del progetto (quella tradizionale ossia infrastrutturale), così postulando una successiva attività di valutazione e di “completamento” su un’altra parte del progetto (quella innovativa ossia tecnologica sul mezzo da utilizzare per la suddetta attività di trasporto).

10.6. Questo tipo di incedere amministrativo (nulla osta preliminare o meglio parziale, sulle parti infrastrutturali e dunque tradizionali, seguito o meglio “completato” da un secondo nulla osta sulle parti più innovative) si rivela corrispondente ai canoni di ragionevolezza e di proporzionalità dell’azione amministrativa, atteso che in presenza di complessità ed innovazione del sistema le rispettive valutazioni di sicurezza e idoneità del progetto formulato e del mezzo utilizzato ben possono essere riservate a diverse sequenziali fasi procedimentali nonché a differenti unità tecniche di giudizio.

10.7. Né d’altra parte la formale qualificazione impressa dalla PA (parere preliminare) potrebbe giammai vincolare questo GA circa la corretta ed esatta qualificazione dell’atto stesso (nulla osta parziale).

10.8. Da quanto sinora detto consegue l‘accoglimento altresì di tale specifica censura.

11. Con il motivo sub 3.5. si lamenta erroneità, nuovamente nel merito, per avere il giudice di primo grado ritenuto ancora necessario avviare la procedura di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale anche con riguardo alla terza variante.

Il giudice di primo grado, quanto alla omessa sottoposizione della terza variante (si ripete: passaggio da sistema “Phileas” a sistema “Tram Look”) alla procedura di assoggettabilità a VIA, rammenta che con atto n. 2437 del 2014 il Comitato regionale VIA aveva ribadito, in forma di autovincolo, che “la definizione progettuale di ulteriori progetti dovrà essere sottoposta preliminarmente a valutazione di impatto ambientale (VIA) al fine di verificarne l’effetto cumulo con il presente intervento”. Di qui il ritenuto obbligo, che l’amministrazione si sarebbe autoimposto, di sottoporre a verifica di assoggettabilità ogni ulteriore progetto, varianti comprese. Più in particolare: il giudice di primo grado evidenzia che, ancor prima nel Giudizio VA 2275 dell’11 settembre 2013, il Comitato VIA Regionale aveva escluso, relativamente alle opere già realizzate, un danno ambientale ex articolo 29, comma 4, d.lgs. 152 del 2004: di qui la non assoggettabilità del progetto a valutazione di impatto ambientale ai sensi dell’articolo 20 comma 5, del medesimo codice dell’ambiente ratione temporis vigente a norma del quale: “Se il progetto non ha impatti negativi e significativi sull’ambiente, l’autorità compente dispone l’esclusione dalla procedura di valutazione ambientale e, se del caso, impartisce le necessarie prescrizioni”. Tale decisione non ha formato oggetto di gravame e sul punto si è dunque formata acquiescenza. Allo stesso modo il Comitato VIA non ha mancato di precisare che: “si ribadisce che la definizione progettuale di ulteriori progetti dovrà essere sottoposta preliminarmente a valutazione di impatto ambientale (VIA) al fine di verificarne l’effetto cumulo con il presente intervento”. Per il giudice di primo grado una simile formulazione costituirebbe ipotesi di autovincolo sufficiente a rendere obbligatorio il procedimento VIA, o quanto meno la verifica di assoggettabilità a VIA, anche della variante al progetto iniziale. A ciò si aggiungerebbe il fatto che la modifica apportata con la terza variante, ossia attraverso il passaggio da veicolo ibrido a veicolo totalmente elettrico, sarebbe “tutt’altro che lieve” in termini di impatto ambientale ossia “in merito al rumore, alla qualità dell’aria … agli effetti sul traffico” nonché alle “vibrazioni”. In altre parole la sostituzione del mezzo (da ibrido ad elettrico tout court) “essendo una modifica sostanziale” imporrebbe “una rivalutazione complessiva dell’opera sotto il profilo ambientale”. Ciò proprio per la presenza di un certo “effetto cumulo con altri progetti precedenti e dunque di nuovo l’intera opera nel suo complesso e il suo impatto complessivo”.

Osserva al riguardo il collegio che:

11.1. Secondo la costruzione della disposizione di cui al codice dell’ambiente, non solo vi deve essere una modifica sostanziale del progetto ma anche un certo peggioramento delle matrici ambientali, peggioramento per l’appunto da ascrivere alle predette modifiche progettuali. Ed infatti l’Allegato IV, punto n. 8, alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006 (Codice dell’ambiente) prevede espressamente che tra i “Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni” rientrino altresì “modifiche o estensioni di progetti di cui … all’Allegato IV già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente”. Ebbene tra i progetti di cui all’allegato IV, al punto 7, alla lettera l) rientrano proprio i “sistemi di trasporto a guida vincolata (tramvie e metropolitane)”. Pertanto deve trattarsi non solo di modifiche sostanziali ma anche di modifiche che possano avere “notevoli ripercussioni negative sull’ambiente” (i due presupposti debbono dunque intendersi come cumulativi);

11.2. Tanto premesso sul piano normativo, nel caso di specie il progetto nel suo complesso è già stato sottoposto a verifica di assoggettabilità a VIA per poi esserne escluso con provvedimento del comitato VIA del 2013 (mai impugnato). Ebbene una modifica al progetto già escluso della procedura VIA dovrebbe in linea tendenziale continuare ad essere estromessa da tale procedura valutativa, come detto al punto che precede, salvo non risultino novità sostanziali tali da far ipotizzare un peggioramento delle matrici ambientali (inquinamento atmosferico, acustico, etc.), peggioramento di cui deve in ogni caso essere fornita adeguata dimostrazione ad opera di chi ha interesse ad opporsi all’intervento (nella specie, il comitato ricorrente);

11.3. Ebbene la invocata modifica ha qui riguardato essenzialmente il passaggio da un sistema di locomozione ibrido (Phileas) ad un sistema totalmente elettrico (tram elettrico “Tram Look”), laddove il resto delle variazioni progettuali ha riguardato il nuovo manto bituminoso, la eliminazione di alcune barriere architettoniche e la messa in sicurezza mediante allargamento di alcuni tratti di marciapiede (criticità antropiche, in estrema sintesi): dunque, al netto della modifica del mezzo le restanti modifiche progettuali non possono dirsi così essenziali e determinanti. Quanto invece al passaggio da tram diesel “Phileas” a tram elettrico “Tram Look”, questo dovrebbe anzi determinare un miglioramento delle prestazioni ambientali;

11.4. Ora, nel caso di specie, quand’anche si ritenesse essenziale o sostanziale la modifica riguardante la modifica del mezzo (da ibrido a integralmente elettrico), occorrerebbe comunque dimostrare quali possano essere le negative ripercussioni sull’ambiente. Dimostrazione questa che nel caso di specie risulta del tutto omessa dal momento che la difesa di parte appellante si è limitata ad affermare del tutto genericamente che:

“Il Comitato regionale per le Valutazioni Ambientale deve … esprimersi in ordine:

– alle “caratteristiche dell’insieme del progetto”;

– ai “rischi di gravi incidenti”;

– ai “rischi per la salute umana” …

– alla “utilizzazione del territorio esistente e approvato” con “particolare attenzione alle (…) zone con forte densità demografica” (cfr. lett. a) e c7) del punto 2 sulla “localizzazione dei progetti”);

Non solo, perché – oltre alla modifica della motorizzazione ed alla soppressione del sistema di guida innovativo – anche in ordine all’inquinamento elettromagnetico, deve ancora rendersi la verifica, con l’ausilio di qualificati centri di ricerca universitaria, della compatibilità ambientale del doppio bifilare delle linee aeree di contatto ad una distanza inferiore a quella minima di legge (18 mt.), quando in più punti a stretto ridosso di abitazioni.

Trattasi, quelli ora sommariamente indicati, dei criteri sui quali deve necessariamente incentrarsi la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale, la cui competenza appartiene, in via esclusiva, all’Autorità ambientale cui il TAR ha correttamente rimesso le relative valutazioni” (pagg. 44 e 45 della memoria del comitato appellato in data 11 aprile 2023).

Il tutto senza mai evidenziare né tantomeno specificare per quali ragioni vi sarebbe il rischio di gravi incidenti e per la salute umana, per l’utilizzo del territorio ed ancora per l’inquinamento elettromagnetico. Trattasi come è evidente di affermazioni del tutto inidonee a dimostrare il sostenuto peggioramento delle matrici ambientali. Allo stesso modo non possono convincere le affermazioni del giudice di primo grado secondo cui vi sarebbe un pregiudizio per le componenti rumore, qualità dell’aria e vibrazione, non risultando agli atti del fascicolo alcuno studio o analisi in tal senso prodotta dal comitato ricorrente in primo grado. Deve piuttosto ritenersi, in questa stessa direzione, che la terza variante sia stata implicitamente valutata come migliorativa del progetto originario in ragione dell’impiego di un mezzo particolarmente performante sotto il profilo ambientale, in quanto ad alimentazione totalmente elettrica ossia senza emissioni di Co2 nell’ambiente, e tanto a differenza del precedente che era alimentato da un motore endotermico diesel euro 3 (oggi considerato altamente inquinante);

11.5. Quanto invece al ritenuto autovincolo posto dallo stesso Ministero si osserva ulteriormente che: a) il decreto del Comitato Via n. 2275 dell’11 settembre 2013 prevede che la verifica sul c.d. effetto cumulo avverrà “all’esito dell’eventuale definizione progettuale di un ulteriore lotto del sistema di TPL” (pag. 5); b) l’atto del Comitato VIA n. 2437 del 6 novembre 2014 prevede a sua volta analoga disposizione, alla pag. 2 del provvedimento, ossia che la valutazione del c.d. effetto cumulo, e dunque un nuovo procedimento di assoggettabilità a VIA, si svolgerà in caso di presentazione di ulteriore progetto riguardante “ulteriore lotto”. Dunque l’autovincolo che si sarebbe posta l’amministrazione regionale riguarda non il lotto in questione Montesilvano-Pescara (che costituisce uno dei tre lotti dell’intero intervento) ma soltanto uno degli altri due lotti al momento non ancora progettati. In altre parole, l’obbligo di effettuare una nuova verifica di assoggettabilità a VIA sarebbe scattato soltanto per gli altri due lotti e non anche per modifiche (non essenziali e comunque non peggiorative sul piano ambientale) riferite allo stesso lotto (tratto Montesilvano – Pescara) per cui il Comitato VIA aveva già espresso una decisione di esclusione dalla VIA. Autovincolo che tra l’altro non sarebbe stato neppure necessario porre in questi termini atteso che, trattandosi di progettazione del tutto nuova, troverebbero automaticamente applicazione le già descritte disposizioni del codice dell’ambiente (e in particolare quelle del citato Allegato IV) che impongono la nuova verifica di assoggettabilità a VIA in presenza di “nuovi progetti”. Dunque l’invocato autovincolo non poteva pacificamente applicarsi al caso di specie attesa l’identità del lotto in questione con quello oggetto dei due citati provvedimenti del Comitato VIA. In questa specifica direzione va dunque interpretata l’affermazione contenuta alla pag. 3 del provvedimento 2437 del 6 novembre 2014 secondo cui l’effetto cumulo sarebbe stato da valutare in presenza di “ulteriori progetti”, laddove per ulteriori progetti va considerata la sola ipotesi di progetti afferenti “ulteriori lotti” dell’intervento (le due affermazioni di pag. 2 e di pag. 3 debbono dunque essere lette in modo coordinato ed organico);

11.6. Alla luce di tutte le svolte considerazioni anche lo specifico motivo di appello deve dunque essere accolto.

12. Quanto invece ai motivi di ricorso di primo grado, non affrontati dal TAR e riproposti in questa sede ex art. 101 c.p.a., osserva il collegio che:

12.1. Quanto alla omessa considerazione, da parte della amministrazione comunale, circa il fatto che l’area destinata all’intervento andrebbe ormai considerata alla stregua di “bene comune” della collettività di riferimento (come tale da sottrarre a simili interventi) va in primo luogo rilevato che la formale destinazione che lo strumento urbanistico ha impresso a tale area (corridoio verde mediante trasporto pubblico locale a piena sostenibilità ambientale) non potrebbe giammai essere obliterata dalla “destinazione di fatto” che la collettività, nelle more della realizzazione dell’intervento in questione, avrebbe poi dato all’area in discussione. Ed infatti, le Amministrazioni comunali di Pescara e Montesilvano hanno sempre destinato l’area di sedime della cd. strada parco alla realizzazione di un sistema innovativo di trasporto pubblico locale a basso impatto ambientale per il collegamento Pescara – Montesilvano. Dunque all’area pubblica stradale di che trattasi (ricompresa nel demanio accidentale comunale) è stata ormai assegnata, sin dal 1999, un’irreversibile destinazione di “corridoio verde” ossia a mobilità innovativa e sostenibile al fine di contrastare l’elevato tasso di inquinamento urbano derivante dall’ingente volume di traffico veicolare anche a tutela della salute pubblica. Non è per tale via dirimente il concetto di “bene comune” invocato da parte ricorrente proprio in quanto il progetto impugnato nella presente sede soddisfa, comunque, un’esigenza collettiva relativa alla mobilità sostenibile di rilevante interesse pubblico. In secondo luogo va poi osservato che l’utilizzo della strada quale percorso ciclo-pedonale non è affatto impedito ma anzi garantito e reso ancor più sicuro ad opera dell’intervento filoviario che si intende realizzare (il quale contempla anche percorsi pedonali e ciclabili). Dunque l’uso o il “godimento collettivo” nonché l’elevato valore sociale ed ecologico dell’area, aspetti questi tutti evidenziati dalla difesa del comitato appellato (cfr. pag. 5 della memoria in data 11 aprile 2023), sarebbe non solo salvaguardato ma anche valorizzato dall’intervento contestato. Di qui il rigetto della relativa censura;

12.2. Quanto alla omessa considerazione, da parte della PA, dei presupposti per disporre la revoca del finanziamento dell’intervento stesso: in primo luogo non vengono puntualmente specificate le ragioni per cui il finanziamento dovrebbe essere revocato; in secondo luogo si tratta di un segmento procedimentale ed amministrativo parallelo e comunque autonomo rispetto a quello autorizzatorio che si intende mettere in discussione con il provvedimento qui gravato (che infatti riguarda la sicurezza del progetto e la funzionalità dei mezzi utilizzati). In altre parole gli atti qui impugnati non hanno alcuna attinenza con la fattibilità finanziaria dell’intervento che segue altri percorsi e procedure. Di qui la sostanziale inammissibilità delle censure stesse. Da ultimo la associazione appellata propone istanza istruttoria chiedendo al dipartimento per la programmazione economica della PCM di esprimersi sulla copertura finanziaria dell’intero progetto. Trattasi tuttavia, come già ampiamente detto, di elemento estraneo alla fattispecie autorizzatoria di cui in questa sede unicamente si discute. Di qui il rigetto altresì della specifica richiesta istruttoria;

12.3. Con riguardo alla omessa considerazione, da parte della PA, di alcuni decisivi aspetti legati alla sicurezza della circolazione, le relative censure si rivelano del tutto generiche in quanto non vengono evidenziate norme tecniche nonché criteri e parametri di rischio che sarebbero stati altrimenti violati con il progetto in discussione. Di qui la inammissibilità della censura;

12.4. Parimenti generica si rivela la lamentata omessa considerazione, da parte della PA, del principio di precauzione. Ciò risulta piuttosto evidente nella parte in cui la difesa dell’appellato comitato cittadino riferisce che: “gli elementi di rischio per la collettività sarebbero destinati a moltiplicarsi in base ad un fattore di ripetizione di tipo esponenziale, anche in considerazione della peculiarità dei luoghi”. Di qui la evidente genericità e dunque inammissibilità della censura stessa;

12.5. Ancora generico e dunque inammissibile si rivela l’ultimo riproposto motivo di censura dal momento che non viene in alcun modo specificato per quali ragioni e soprattutto sotto quali aspetti tecnici il progetto in discussione avrebbe comportato la violazione dei parametri tecnici sulle distanze minime di corsie e carreggiate (DM 5 novembre 2001).

12.6. Alla luce delle superiori considerazioni, i motivi riproposti ex art. 101 c.p.a. debbono dunque essere tutti rigettati.

13. In conclusione il ricorso in appello, con particolare riguardo all’accoglimento dei motivi affrontati ai punti 12, 13 e 14 della presente decisione, si rivela fondato e deve essere accolto con conseguente riforma della sentenza di primo grado e dunque rigetto del ricorso di primo grado.

14. Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate, tra tutte le parti costituite, data la complessità delle esaminate questioni.

 P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della gravata sentenza, rigetta il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 luglio 2023 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Angela Rotondano, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Anna Bottiglieri, Consigliere

Massimo Santini, Consigliere, Estensore

Scarica in pdf il testo della sentenza: cons. di stato, sez. 5, sent. n. 7652-2023