Estinzione delle contravvenzioni ambientali. La non obbligatorietà della procedura e i rapporti con l’azione penale. Cassazione Penale n. 685/2024.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 685 del 9 gennaio 2024 (ud. del 14 dicembre 2023)
Pres. Ramacci, Est.  Rel. Scarcella

Ambiente in generale. Procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali. Art. 318-bis e ss. d. lgs. n. 152/2006.

La procedura di cui agli articoli 318-bis e ss. d. lgs. 152/2006 non è obbligatoria, e l’omessa indicazione all’indagato, da parte dell’organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza è necessaria per l’estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell’azione penale.  L’obbligatorietà della speciale procedura in esame non può, del resto, essere dedotta neppure dall’uso dell’indicativo utilizzato dal legislatore nella disposizione di cui all’art. 318-ter d.lgs. 152/06 (“… impartisce al contravventore un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente … “), poiché si tratta di una mera scelta di stile espositivo, atteso che, nei casi concreti, si possono verificare situazioni analoghe a quelle già esaminate nella disciplina della prevenzione degli infortuni sul lavoro, come nel caso in cui l’organo di vigilanza decida di non impartire alcuna prescrizione, perché non vi è alcunché da regolarizzare o perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua. La formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l’esercizio dell’azione penale nei casi in cui, legittimamente, l’organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l’imputato può comunque richiedere di essere ammesso all’oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 685 del 9 gennaio 2024 (ud. del 14 dicembre 2023)

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 marzo 2023, il Tribunale di Perugia dichiarava OMISSIS colpevole del reato di trasporto abusivo di rifiuti (art. 256, co. 1, lett. a) d. lgs. n. 152 del 2006), contestato come commesso in data 15.10.2021, irrogando al medesimo la pena di 2000 euro di ammenda, con confisca ex art. 259, co. 2, d. lgs. citato, del mezzo in sequestro, ferma restando l’eventuale distruzione del medesimo e cancellazione dal PRA in caso di mancanza di valore ai fini di vendita.

2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, deducendo sei motivi, di seguito sommariamente indicati.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge per aver il giudice fondato la responsabilità penale su atti inutilizzabili in violazione dell’art. 191, cod. proc. pen.
In sintesi, la difesa si duole per aver il giudice posto a base della sentenza le dichiarazioni degli agenti operanti contenute nel verbale di sequestro. Sarebbe pertanto illegittima l’acquisizione agli atti del fascicolo del dibattimento, e quindi l’utilizzabilità, delle dichiarazioni della polizia giudiziaria aventi ad oggetto l’attività investigativa sul presunto utilizzo dell’automezzo, in quanto si tratta di atti che per loro natura sono irripetibili, tant’è vero che nel corso del giudizio veniva escusso il verbalizzante che aveva proceduto al sequestro dell’automezzo. Richiama a tal proposito giurisprudenza di questa Corte, segnatamente la sentenza n. 15800 del 2019.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 516 cod. proc. pen.
In sintesi, si duole il ricorrente poiché la sentenza sarebbe viziata nel punto in cui il tribunale, a seguito della modifica del capo di imputazione avvenuta all’udienza del 13 marzo 2023 – nel corso della quale il pubblico ministero aveva integrato il capo di imputazione aggiungendo alla norma violata il riferimento al comma e alla lettera nonché le parole “senza la prescritta autorizzazione”-, non avrebbe disposto la notifica all’imputato assente dell’estratto del verbale ai sensi dell’articolo 520 del codice di procedura penale. Poiché tale modifica avrebbe chiaramente ampliato il nucleo fondamentale dell’accusa, comportando un’aggiunta degli elementi della fattispecie rispetto a quelli originariamente contestati, si sarebbe verificata la integrazione della violazione dell’articolo 520 del codice di procedura penale a seguito della omessa notifica del verbale di udienza all’imputato assente. Richiama a sostegno giurisprudenza di questa Corte, segnatamente la sentenza n. 961 del 2015.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento probatorio e dell’omessa valutazione della prova.

In sintesi, si duole il ricorrente poiché il giudice lo avrebbe ritenuto responsabile del reato a lui ascritto sul presupposto che l’imputato fosse in possesso della sola autorizzazione al commercio ambulante di abbigliamento e tessuti vari e non anche per il commercio itinerante di materiali ferrosi. Diversamente da quanto erroneamente rilevato dal giudice, l’imputato era in possesso non solo dell’autorizzazione per la vendita itinerante di abbigliamento ma anche per la raccolta di materiale ferroso, come si evince dall’iscrizione alla Camera di Commercio che indica come attività secondaria il commercio ambulante itinerante di materiali ferrosi. Si era dunque in presenza di un fatto diverso che si sostanziava non nella mancanza di autorizzazione, ma nell’aver superato il limite di 30 chilogrammi giornalieri o eventualmente nell’aver trattato rifiuti senza il documento accompagnatorio.

2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al d. lgs. n. 152 del 2006.
In sintesi, si duole il ricorrente per avere il giudice ritenuto che le merci contenute nel furgone fossero da qualificare come rifiuti. Diversamente, sostiene la difesa, tutta la merce presente nel furgone era destinata ad un successivo riutilizzo e quindi non avrebbe potuto essere interamente qualificata come rifiuto. Del resto, l’imputato, nel corso dell’interrogatorio svoltosi il 18 marzo 2022, aveva riferito che il materiale contenuto nel furgone era destinato ad un suo riutilizzo, come ad esempio la motozappa, che costituiva il materiale di maggior peso e che egli aveva riferito che era sua intenzione riparare in quanto era un bravo meccanico. Nonostante ciò, tutti i beni trasportati erano stati considerati e classificati, senza alcun accertamento in merito al loro funzionamento, come rifiuti non pericolosi non essendo nemmeno stato ipotizzato che la motozappa fosse idonea ad un riutilizzo.

Quanto sopra avrebbe comportato quantomeno un peso dei materiali ferrosi verificati come rifiuti notevolmente inferiore, a tal punto da essere probabilmente compatibile con l’autorizzazione rilasciata dal Comune di Perugia per il commercio di prodotti non alimentari e di materiali ferrosi.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 318-bis e ss., d. lgs. n. 152 del 2006, per la mancata applicazione della disciplina che esclude la punibilità sussistendo la causa di cui all’art. 318-bis, d. lgs. citato.

In sintesi, si duole il ricorrente per la mancata applicazione della causa di esclusione di cui all’articolo 318-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006. Richiamata la disciplina introdotta dalla legge n. 68 del 2015 che prevede la procedura di estinzione per le contravvenzioni ambientali modellata sulla falsariga di cui al decreto legislativo n. 758 del 1994, sostiene la difesa che, da quanto emerge dalle dichiarazioni dell’agente operante sentito in dibattimento, sarebbero state interamente adempiute le prescrizioni atte all’elisione del danno e del pericolo mediante condotte ripristinatorie, donde l’applicabilità della predetta causa di esclusione.

2.6. Deduce, con il sesto ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 131-bis, cod. pen. ed il correlato vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il giudice esclude la sussistenza delle condizioni per l’applicazione della causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità a seguito del travisamento della prova sul presupposto della non occasionalità della condotta.

In sintesi, richiamata sinteticamente in fatto la vicenda, la difesa si duole per non aver il Tribunale ritenuto concedibile la speciale causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità sul presupposto della non occasionalità della condotta. Richiamata ancora la giurisprudenza di questa Corte e la richiesta del pubblico ministero, formalizzata nel verbale di udienza del 13 marzo 2023, con cui il medesimo aveva chiesto pronunciarsi una sentenza di proscioglimento in applicazione dell’articolo 131-bis del codice penale, si duole la difesa per non aver il giudice di merito fatto un uso corretto nella disciplina in esame laddove sussistevano invece tutte le condizioni oggettive e soggettive per il riconoscimento della causa di non punibilità, atteso che l’attività di raccolta dei rifiuti non rappresentava l’attività posta in essere in materia in maniera principale ed abituale ma esclusivamente episodica con la consapevolezza della sua liceità e, comunque, in un momento di bisogno e di difficoltà economica come riconosciuto dallo stesso imputato nelle sue dichiarazioni rese nell’interrogatorio. Tali circostanze avrebbero dovuto già di per sé comportare una valutazione di tenuità del fatto, soprattutto tenuto conto della condotta successiva del ricorrente che, con il completo assolvimento delle prescrizioni impartite, avrebbe determinato la completa elisione delle conseguenze pericolose e dannose, come del resto oggi reso possibile dalla nuova e riformata previsione dell’articolo 131-bis che valorizza la condotta susseguente al reato. In ogni caso, erroneo sarebbe il presupposto di fatto sulla cui base il giudice ha ritenuto non occasionale la condotta del ricorrente, essendosi fondato tale giudizio, da una parte, sulle dichiarazioni inutilizzabili degli operanti contenute nel verbale di sequestro, dall’altro, per non aver esaminato il giudice l’assenza di precedenti di polizia e penali che avrebbero di per sé confermato la non abitualità, come del resto confortato dalle dichiarazioni del verbalizzante sentito in dibattimento che, sul punto, aveva segnalato che era la prima volta che l’imputato veniva controllato, con conseguente travisamento della prova. Allo stesso modo vi sarebbe un evidente travisamento delle dichiarazioni dall’imputato rese nell’interrogatorio, laddove questi aveva sì affermato di essersi portato altre volte in Castiglione del Lago per effettuare la raccolta di materiali ferrosi, ma in compagnia di amici che chiaramente sarebbero stati in possesso di tutte le autorizzazioni, anche perché contrariamente sarebbe stato identificato e destinatario di altri procedimenti penali.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta in data 22 novembre 2023, ha chiesto il rigetto del ricorso.

In sintesi, secondo il PG, il ricorso è infondato. La sentenza impugnata ha posto alla base della condanna le dichiarazioni rese in sede di istruttoria dibattimentale dal teste di p.g. escusso e non – come ipotizza il ricorrente – utilizzando le dichiarazioni della polizia giudiziaria avente ad oggetto l’attività investigativa contenute nel verbale di sequestro. Quanto al secondo motivo, nessuna violazione dell’articolo 516 c.p.p. vi è stata non essendo intervenuta alcuna modifica del capo di imputazione ma solo la specificazione dell’imputazione. Infondato anche il terzo motivo avendo lo stesso imputato ammesso che allorché veniva fermato in data 15/10/2021 che non era iscritto all’albo nazionale dei gestori ambientali. Il quarto motivo sollecita una rivisitazione delle risultanze probatorie non ammissibile in questa sede. Il quinto motivo è privo di pregio: la Corte (Sez. 3, n. 49718 del 25/09/2019, Fulle, Rv. 277468 – 01), ha chiarito che la procedura di cui agli articoli 318-bis e ss. d. lgs. 152/2006 non è obbligatoria, e che «l’omessa indicazione all’indagato, da parte dell’organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza è necessaria per l’estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell’azione penale». L’obbligatorietà della speciale procedura in esame non può, del resto, «essere dedotta neppure dall’uso dell’indicativo utilizzato dal legislatore nella disposizione di cui all’art. 318-ter d.lgs. 152/06 (“… impartisce al contravventore un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente … “), poiché si tratta di una mera scelta di stile espositivo, atteso che, nei casi concreti, si possono verificare situazioni analoghe a quelle già esaminate nella disciplina della prevenzione degli infortuni sul lavoro, come nel caso in cui l’organo di vigilanza decida di non impartire alcuna prescrizione, perché non vi è alcunché da regolarizzare o perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua» (Sez. 3, n. 24633 del 27/01/2021, Porrati, Rv. 281730 – 01). Ancora, Sez. 3, n. 24483 del 04/12/2020, Feronia srl, Rv. 281575 – 01 ha precisato che «la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l’esercizio dell’azione penale nei casi in cui, legittimamente, l’organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l’imputato può comunque richiedere di essere ammesso all’oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata. Tale principio è stato espressamente applicato da Sez. 3, n. 49718 del 25/09/2019, Rv. 259140, anche alla procedura estintiva disciplinata dagli artt. 318-bis e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, ancorché – si badi – l’oblazione assolta in sede giudiziaria ai sensi dell’art. 318-septies, comma 3, comporti il pagamento di una somma maggiore di quella dovuta in caso di corretto e tempestivo adempimento della prescrizione impartita ai sensi dell’art. 318-ter». Pertanto, in caso di eventuale omessa attivazione della procedura di estinzione agevolata, l’imputato avrebbe potuto attivare il meccanismo di cui all’articolo 162-bis cod. pen. per definire il procedimento (Sez. 3, n. 24633 del 27/01/2021, cit.: «la facoltà di cui all’art. 162-bis cod. pen. di richiedere l’oblazione speciale non è alternativa a quella prevista dagli artt. 318-bis e ss.del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, potendo essere esercitata non solo quando non ricorrano le condizioni per l’esperimento della procedura estintiva di settore, ma anche quando il contravventore abbia ritenuto di non avvalersene»; Sez. 3, n. 7678 del 13/1/2017, Bonanno, Rv. 269140), ma non può invocare la speciale causa estintiva in parola. Quanto all’ultimo motivo, con una motivazione congrua e come tale non sindacabile in questa sede, il tribunale ha ritenuto di non accogliere l’istanza di applicazione della causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis c. p. evidenziando che lo stesso imputato in sede di interrogatorio aveva riferito che tale attività doveva considerarsi complementare rispetto alla sua attività principale, ossia quella della vendita di tessuti ed abbigliamento, e che già altre volte si era portato in Castiglione del Lago per effettuare la raccolta di materiali ferrosi in compagnia di alcuni suoi amici che conoscevano la zona; concludendo che “osta dunque il presupposto dell’abitualità della condotta posta in essere”. Pacifico è che il giudizio sulla tenuità, nella prospettiva delineata dall’art. 131-bis cod. pen., richiede, una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U., n 13681 del 25/2/2016, 266590) e che ai fini dell’esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, è sufficiente l’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dalla norma (Sez. 3, Sentenza n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678 – 01). In questa cornice le determinazioni adottate dal giudice a quo in ordine alla non ravvisabilità della particolare tenuità del fatto, sono insindacabili in sede di legittimità ove siano supportate – come nel caso che occupa – da motivazione conforme alle indicazioni enucleabili dalla predetta pronuncia delle Sezioni unite ed esente da vizi logico-giuridici.

4. In data 23 novembre 2023, il difensore fiduciario, Avv. Pasquale Perticaro, ha depositato, in replica alla requisitoria del PG, le proprie conclusioni scritte con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato cartolarmente ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020 e successive modifiche ed integrazioni, è fondato limitatamente al terzo motivo relativo al dedotto travisamento probatorio.

2. Seguendo l’ordine suggerito dalla struttura dell’impugnazione, deve essere esaminato anzitutto il primo motivo che si espone al giudizio di inammissibilità.

Il motivo è inammissibile per genericità. Il ricorrente si limita, infatti, ad eccepire l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai verbalizzanti aventi ad oggetto l’attività investigativa sul presunto utilizzo dell’automezzo, senza tuttavia chiarirne l’incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato (segnatamente, rispetto alle dichiarazioni rese dallo stesso imputato, che aveva riferito in sede di interrogatorio che l’attività di raccolta dei rifiuti doveva considerarsi complementare e che già altre volte si era portato in zona per effettuare la raccolta di materiali ferrosi in compagnia di suoi amici), sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato.

È pacifico, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l’incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, dep.  2020, Rv. 278123 – 01; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Rv. 254108 – 01; Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416 – 01).

3. Anche il secondo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.

È ben vero che il PM ha modificato l’imputazione all’ud. 13.03.2023 aggiungendo alla norma violata (art. 256, d. lgs. n. 152 del 2006), l’indicazione del comma (comma 1) e della lettera (lett. a), inserendo anche l’inciso “senza la prescritta autorizzazione”, così specificando compiutamente l’imputazione originariamente ascritta, ma è altrettanto vero che, nel caso di specie, nessuna violazione delle garanzie difensive si è avuta nel caso di specie, in quanto la contestazione, nella sua compiuta descrizione, era nota al ricorrente sin dal primo atto di indagine.

È agevole, infatti, rilevare dagli stessi atti allegati dalla difesa dell’imputato al ricorso, che, non solo all’atto del sequestro preventivo disposto d’iniziativa dalla PG in data 15.10.2021, ma anche successivamente, in sede di interrogatorio eseguito in data 18.03.2022, l’imputato era stato perfettamente reso edotto dell’accusa mossa nei suoi confronti. Nel verbale di sequestro preventivo, infatti, i verbalizzanti avevano precisato che il sequestro dell’automezzo si era reso necessario in quanto “il mezzo viene utilizzato ai fini professionali, ovvero alla raccolta di rifiuti senza autorizzazione”. Analogamente, dal verbale di interrogatorio reso dall’imputato, emerge chiaramente a pag. 2 dello stesso la contestazione mossagli ossia “trasportava all’interno del veicolo….. materiale ferroso vario riconducibili ai codici CER/EER … in assenza di autorizzazioni”.

Tanto premesso, dunque, la circostanza che il PM abbia provveduto alla modifica del capo di imputazione, integrandolo nei termini predetti, non ha determinato alcun pregiudizio all’esercizio del diritto di difesa dell’imputato, che sin dalla fase delle indagini preliminari aveva approntato le sue difese sulla contestazione mossagli in maniera chiara e precisa in tale fase, ossia l’aver svolto attività di raccolta rifiuti ferrosi senza autorizzazione.

Trova dunque applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (per tutte, Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 – 01).

L’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può dunque ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione strutturale di “fatto” contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 4, n. 10103 del 15/01/2007, Rv. 236099 – 01).

E, nel caso di specie, il “fatto” contestato era ben noto all’imputato a prescindere dalla modifica eseguita dell’imputazione, in quanto sin dal primo atto di indagine gli era stata mossa l’accusa di aver raccolto rifiuti ferrosi senza autorizzazione, “fatto” per il quale egli ha approntato le sue difese nel corso del giudizio – si noti, dunque, in una fase antecedente alla modifica dell’imputazione, intervenuta all’esito dell’istruttoria dibattimentale, a dimostrazione di come egli fosse perfettamente consapevole dell’accusa mossagli – ed è stato condannato.

4. Posponendo l’esame del terzo motivo (su cui si v. infra), può procedersi quindi ad esaminare il quarto motivo, parimenti inammissibile.

Il motivo è infatti manifestamente infondato. Ed invero, non vi è dubbio dalle emergenze in atti che il trasporto di rottami metallici avvenuto alla rinfusa, qualifica indubbiamente gli stessi come rifiuti, qualificabili nelle categorie 19.12.03 metalli non ferrosi, 19.12.02 metalli ferrosi e 19.10.01 rifiuti di ferro e acciaio.

Le deduzioni difensive, segnatamente quelle relative alla riutilizzabilità dei rifiuti, segnatamente della motozappa, oltre ad introdurre in questa sede di legittimità valutazioni di merito, incompatibili con la cognizione di questa Corte, collidono all’evidenza con le stesse emergenze processuali, che danno atto di come si trattasse di resti cannibalizzati di una vecchia motozappa senza liquidi, destituendo di qualsiasi fondamento la tesi sostenuta dall’imputato in sede di interrogatorio. A ciò va poi aggiunto che in tema di gestione di rifiuti, l’accertamento della natura di un oggetto quale rifiuto ai sensi dell’art. 183 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 costituisce una “quaestio facti”, come tale demandata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici (Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Rv. 276009 – 02). Circostanza della quale non è lecito dubitare dalla lettura della sentenza impugnata.

Quanto, infine, alla prospettata necessità di operare un accertamento in merito al funzionamento della motozappa – il cui peso, nell’ottica difensiva, ove funzionante, avrebbe dovuto essere detratto dal peso complessivo accertato -, si tratta di doglianza priva di pregio, tenuto conto che, quand’anche ciò fosse avvenuto, il peso complessivo della motozappa rispetto al materiale trasportato, pari, come si legge nel verbale di sequestro preventivo, a kg. 3.240, non sarebbe stato certo determinante al fine di escludere l’applicabilità della normativa sui rifiuti.

Deve, in ogni caso, essere qui ribadito peraltro che l’applicazione della disciplina dettata dal D.lgs. n. 152 del 2006 per i “non rifiuti” relativamente ai materiali destinati ad essere riutilizzati, è subordinata alla prova positiva, gravante sull’imputato, della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività, in quanto ipotesi di esclusione da responsabilità, fondata su una disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria (v., tra le tante applicazioni del principio, Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Rv. 244784).

Onere, nella specie, non assolto.

5. Anche il quinto motivo espone il fianco al giudizio di inammissibilità.

Ed infatti, il motivo è manifestamente infondato. Ed invero, è lo stesso ricorrente ad asserire, richiamando la deposizione del teste, che sarebbero state interamente adempiute le prescrizioni atte all’elisione del danno e del pericolo mediante condotte ripristinatorie. Nulla, tuttavia, emerge – e di ciò nemmeno il ricorrente fornisce alcuna indicazione in ricorso – circa l’esaurimento della relativa procedura prevista dagli artt. 318-bis e segg. d. lgs. n. 152 del 2006, segnatamente con riferimento al pagamento della somma prescritta dalla legge al fine di poter ottenere la successiva estinzione del reato contravvenzionale. Inapplicabile, pertanto, era la disciplina in esame, difettando una delle condizioni fondamentali prescritte dalla legge, ossia il pagamento previsto dall’art. 318-quater, comma 2, d. lgs. n. 152 del 2006.

5.1. Il motivo sarebbe comunque inammissibile per le convincenti argomentazioni svolte dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta.

Questa sezione (Sez. 3, n. 49718 del 25/09/2019, Fulle, Rv. 277468 – 01), ha infatti chiarito che la procedura di cui agli articoli 318-bis e ss. d. lgs. 152/2006 non è obbligatoria, e che «l’omessa indicazione all’indagato, da parte dell’organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza è necessaria per l’estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell’azione penale».

L’obbligatorietà della speciale procedura in esame non può, del resto, «essere dedotta neppure dall’uso dell’indicativo utilizzato dal legislatore nella disposizione di cui all’art. 318-ter d.lgs. 152/06 (“… impartisce al contravventore un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente … “), poiché si tratta di una mera scelta di stile espositivo, atteso che, nei casi concreti, si possono verificare situazioni analoghe a quelle già esaminate nella disciplina della prevenzione degli infortuni sul lavoro, come nel caso in cui l’organo di vigilanza decida di non impartire alcuna prescrizione, perché non vi è alcunché da regolarizzare o perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua (Sez. 3, n. 24633 del 27/01/2021, Porrati, Rv. 281730 – 01). Ancora, Sez. 3, n. 24483 del 04/12/2020, Feronia S.r.l., Rv. 281575 – 01 ha precisato che «la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l’esercizio dell’azione penale nei casi in cui, legittimamente, l’organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l’imputato può comunque richiedere di essere ammesso all’oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata. Tale principio è stato espressamente applicato da Sez. 3, n. 49718 del 25/09/2019, Rv. 259140, anche alla procedura estintiva disciplinata dagli artt. 318-bis e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, ancorché – si badi – l’oblazione assolta in sede giudiziaria ai sensi dell’art. 318-septies, comma 3, comporti il pagamento di una somma maggiore di quella dovuta in caso di corretto e tempestivo adempimento della prescrizione impartita ai sensi dell’art. 318-ter.

Pertanto, in caso di eventuale omessa attivazione della procedura di estinzione agevolata, l’imputato avrebbe potuto attivare il meccanismo di cui all’art. 162-bis cod. pen. per definire il procedimento (Sez. 3, n. 24633 del 27/01/2021, cit.: «la facoltà di cui all’art. 162-bis cod. pen. di richiedere l’oblazione speciale non è alternativa a quella prevista dagli artt. 318-bis e ss.del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, potendo essere esercitata non solo quando non ricorrano le condizioni per l’esperimento della procedura estintiva di settore, ma anche quando il contravventore abbia ritenuto di non avvalersene»; Sez. 3, n. 7678 del 13/1/2017, Bonanno, Rv. 269140), ma non può invocare la speciale causa estintiva in parola.

6. Inammissibile, ancora, è il sesto motivo.

Il motivo è manifestamente infondato. Il giudice ha escluso l’applicabilità dell’art. 131-bis, cod. pen., ritenendo ostativa l’esistenza dell’abitualità della condotta, desumendola dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, ma, per quanto qui rileva, dalle dichiarazioni rese dallo stesso imputato in sede di interrogatorio, avendo questi infatti riferito che l’attività doveva considerarsi come complementare rispetto alla sua attività principale, ovvero quella di vendita di tessuti ed abbigliamento, asserendo che già altre volte si era portato in Castiglione del Lago per effettuare la raccolta di materiali ferrosi in compagnia di alcuni suoi amici che conoscevano la zona.

Quanto sopra è sufficiente ad escludere la fondatezza della tesi difensiva che, al netto di quanto dichiarato dai verbalizzanti, è sconfessata dalle stesse dichiarazioni rese dall’imputato, rispetto alle quali l’affermazione – basata sull’assenza di precedenti penali e di polizia, che costituirebbero prova della non abitualità – pretende di provare troppo, essendo evidente che la fortunosa circostanza di non essere stato in precedenza sottoposto a controllo in compagnia degli altri “conoscitori della zona” (che si tratti di soggetti autorizzati è frutto peraltro di una mera affermazione contenuta in ricorso, laddove in sede di interrogatorio l’imputato aveva genericamente parlato di “amici”), non esclude che tali episodi, come del resto ammesso dallo stesso imputato, si fossero verificati, integrando quindi quella ripetitività della condotta illecita caratterizzante l’abitualità nel reato di trasporto non autorizzato di rifiuti.

Del resto, questa stessa Sezione ha affermato il principio, cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., non può essere applicata ai reati eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante la reiterazione della condotta tipica (in applicazione del principio, la Corte ha escluso la ricorrenza della particolare tenuità del fatto con riferimento al reiterato trasporto non autorizzato di notevoli quantità di materiale ferroso, di cui al reato eventualmente abituale previsto dall’art. 256, comma primo, D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152: Sez. 3, n. 30134 del 05/04/2017, Rv. 270255 – 01).

7. Deve, infine, essere esaminato il terzo motivo, il cui esame era stato differito, che invece merita di essere accolto in quanto fondato.

Occorre, anzitutto, premettere la normativa applicabile. Il commercio dei rifiuti implica l’obbligo dell’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali. Tuttavia, l’art. 266, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006 prevede che: «le disposizioni di cui agli articoli 189, 190, 193 e 212 non si applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio».

Le condizioni necessarie per il commercio ambulante di rifiuti, già indicate da questa Sezione (Sez. 3, n. 29992 del 24/06/2014, Lazzaro, Rv. 260266 – 01) sono state recentemente riprese e chiarite dalla giurisprudenza (Sez. 3, n. 5442 del 13/01/2023, Vela, non massimata; Sez. 3, n. 42297 del 13/10/2022, Piersanti, non massimata): a) il soggetto deve essere in possesso del titolo abilitativo previsto per il commercio ambulante dal D.lgs. 31 marzo 1998, n. 114; b) deve trattarsi di rifiuti che formano oggetto del suo commercio ma non riconducibili, per le loro peculiarità, a categorie autonomamente disciplinate; c) in caso di trasporto di rifiuti effettuato da soggetti abilitati al commercio ambulante, non si deve operare mai un trasporto di rifiuti pericolosi (per esempio apparecchiature elettriche e batterie di autoveicoli esauste, trattandosi di rifiuti pacificamente pericolosi).

7.1. Nella specie, è emerso (v. verbale di sequestro in atti; sentenza impugnata), che il materiale trasportato rientrasse esclusivamente nelle categorie 19.12.03 metalli non ferrosi, 19.12.02 metalli ferrosi e 19.10.01 rifiuti di ferro e acciaio, costituito in particolare da materiale ferroso di risulta formato da due reti da letto ossidate, resti cannibalizzati di una vecchia motozappa senza liquidi, rottami di lamiera di elettrodomestici, vari pezzi di materiale ferroso e non ferroso.
Risulta dai predetti atti (e del resto il capo di imputazione modificato dal PM inequivocabilmente ha dato atto che si trattava di rifiuti non pericolosi, essendo stata contestata la lett. a) del comma 1 dell’art. 256 TU Ambientale), che si trattava di rifiuti che formavano oggetto del commercio ambulante, non riconducibili, per le loro peculiarità, a categorie autonomamente disciplinate.
Alla luce di quanto sopra, dunque, l’indicazione, risultante dalla visura camerale della ditta individuale OMISSIS, con attività secondaria esercitata nella sede di “commercio ambulante itinerante di materiali ferrosi”, avrebbe richiesto, da parte del giudice, un più attento esame della questione, al fine di valutare, in particolare, se l’attività svolta rientrasse nella disciplina derogatoria prescritta dall’art. 266, comma 5, d. lgs. n. 152 del 2006. Che tale circostanza, oggetto del denunciato travisamento probatorio, avesse carattere di decisività, non può essere messo in dubbio. Pacifico è, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte che, in tema di ricorso per cassazione, ai fini della deducibilità del vizio di “travisamento della prova”, che si risolve nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti, è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell’omissione nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, Rv. 280117 – 01).
E, nel caso di specie, la difesa non si è limitata semplicemente ad asserire che l’omessa considerazione della predetta circostanza si sarebbe sostanziata in un vizio motivazionale per travisamento della prova e per la sua omessa valutazione, ma ha chiarito che ciò avrebbe comportato la diversità del fatto per l’essere stato superato il limite di 30 kg. giornalieri o, eventualmente, l’aver trattato rifiuti senza il documento accompagnatorio, elementi, questi, che all’evidenza rivestivano il carattere di “decisività” richiesto ai fini della deducibilità del vizio, comportando una diversa qualificazione giuridica del fatto, in particolare ai sensi del comma 4 dell’art. 256 citato.

8. L’impugnata sentenza dev’essere conclusivamente annullata, con rinvio al Tribunale di Perugia, attesa la fondatezza del terzo motivo, dovendosi nel resto dichiarare inammissibile il ricorso.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al dedotto travisamento probatorio di cui al terzo motivo, con rinvio al Tribunale di Perugia in diversa composizione personale. Dichiara inammissibile, nel resto, il ricorso.

Così deciso, il 14 dicembre 2023

Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen., sez. 3, sent. n. 685-2024