Rifiuti. Edificazione di manufatti, discarica abusiva, risarcimento del danno. Cassazione Penale n. 11568/2018.

Cass. Pen, Sez. III, sent. n. 11568 del 14 marzo 2018 (ud. del 14 novembre 2017)
Pres. Rosi, Est. Andronio
Rifiuti. Discarica abusiva. Edificazione di manufatti finalizzati all’esercizio della discarica abusiva. Danno ambientale. Risarcimento del danno nei confronti della Città metropolitana di Milano. Artt. 212, 256 d. lgs. n.152/2006.
 Deve essere ricompresa nel concetto di discarica abusiva anche la realizzazione di quei manufatti che sono funzionalmente destinati alla discarica stessa. Va infatti rilevato che, nel concetto di discarica – come individuato dall’art. 2, comma 1, lettera g), del d. lgs. n. 36 del 2003 – non devono essere ritenuti compresi solo i rifiuti depositati, ma anche il suolo, eventualmente oggetto di trasformazioni finalizzate al suo utilizzo, e le opere edilizie, permanenti o precarie, realizzate per la collocazione e la gestione dei rifiuti e del sito. Si tratta, infatti, di elementi la cui presenza, consentendo in linea di massima una maggiore capacità di smaltimento, contribuisce in modo significativo alla compromissione dell’ambiente che la norma penale intende evitare. Nella specie, l’imputato era stato condannato, anche al risarcimento del danno nei confronti della Città metropolitana di Milano, per: A) il reato di cui agli artt. 256, commi 1, lettera a), in relazione all’art. 212, del d. lgs. n 152 del 2006, perché, in qualità di proprietario di un autocarro, effettuava il trasporto di rifiuti non pericolosi, prodotti da un’attività di costruzione e demolizione, in mancanza dell’iscrizione all’albo dei gestori ambientali; B) il reato di cui all’art. 256, comma 3, del d. lgs. n 152 del 2006, perché, in qualità di titolare di una ditta individuale, realizzava e gestiva una discarica in mancanza di autorizzazione su un’area sottoposta a tutela paesaggistica, attraverso l’accumulo di terre da scavo miste a rifiuti da attività di demolizione, pneumatici, ulteriori rifiuti di demolizione, generando un degrado ambientale per la presenza e le modalità di accumulo dei suddetti rifiuti, destinati a permanere nel luogo con carattere di definitività; C) il reato di cui all’art. 181, comma 1, del d. lgs. n. 42 del 2004, per avere realizzato la discarica di cui sopra in area sottoposta a vincolo paesaggistico in mancanza di autorizzazione.
 
Cass. Pen, Sez. III, sent. n. 11568 del 14 marzo 2018 (ud. del 14 novembre 2017)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA 
sul ricorso proposto da PICCERI ORAZIO ANTONIO nato il 20/04/1968 a GELA
avverso la sentenza del 26/05/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PAOLA FILIPPI che ha concluso per //
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore presente, Avvocato Alessandra Zimitti, si associa alle conclusioni del Proc. Gen. e chiede la conferma della sentenza di I grado.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 26 maggio 2017, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 17 gennaio 2017, con la quale l’imputato era stato condannato, anche al risarcimento del danno nei confronti della Città metropolitana di Milano, per: A) il reato di cui agli artt. 256, commi 1, lettera a), in relazione all’art. 212, del d.lgs. n 152 del 2006, perché, in qualità di proprietario di un autocarro, effettuava il trasporto di rifiuti non pericolosi, prodotti da un’attività di costruzione e demolizione, in mancanza dell’iscrizione all’albo dei gestori ambientali; B) il reato di cui all’art. 256, comma 3, del d.lgs. n 152 del 2006, perché, in qualità di titolare di una ditta individuale, realizzava e gestiva una discarica in mancanza di autorizzazione su un’area sottoposta a tutela paesaggistica, attraverso l’accumulo di terre da scavo miste a rifiuti da attività di demolizione, pneumatici, ulteriori rifiuti di demolizione, generando un degrado ambientale per la presenza e le modalità di accumulo dei suddetti rifiuti, destinati a permanere nel luogo con carattere di definitività; C) il reato di cui all’art. 181, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, per avere realizzato la discarica di cui sopra in area sottoposta a vincolo paesaggistico in mancanza di autorizzazione.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di impugnazione, si lamenta la mancata assunzione di una prova contraria avente il carattere di decisività, relativa alla quantità di rifiuti insistenti nell’area. Non si sarebbe considerato che l’imputato aveva affermato che, in ottemperanza dell’ordine di sgombro della pubblica amministrazione, i materiali erano stata da lui inviati in altra discarica, con l’ausilio di un’impresa che aveva emesso regolare fattura. Considerando gli importi relativi – secondo la prospettazione difensiva – emergerebbe che dal terreno dell’imputato erano state mosse 9 t di rifiuti e non 332, come risultante dalla testimonianza dell’ufficiale di polizia giudiziaria che aveva proceduto all’accertamento. Alla luce di tale precisazione, la difesa aveva chiesto, al fine di verificare l’esatta consistenza dei rifiuti insistenti sul sito, di acquisire la fattura attestante le operazioni di sgombro dell’area. La Corte d’appello aveva invece negato tale acquisizione, pur trattandosi di una prova contraria, finalizzata anche alla determinazione della gravità del reato e, dunque, della pena.
2.2. – In secondo luogo, si deduce la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza quanto al reato di cui al capo C. Secondo la prospettazione difensiva, si è contestato all’imputato di avere realizzato una discarica in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, mentre lo stesso era stalepot condannato per avere indebitamente edificato dei manufatti atti a ricoverare i propri attrezzi e mezzi sul terreno di sua proprietà. Egli non avrebbe comunque esercitato il suo diritto di difesa quanto a tali manufatti.
2.3. – Con un terzo motivo di doglianza, riferito al capo A dell’imputazione, si deduce l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice, sul rilievo che l’imputato aveva regolarmente presentato domanda di iscrizione all’Albo dei gestori ambientali – sezione regionale della Sicilia ed era stato ivi iscritto a far data dal 30 ottobre 2006. Aveva poi presentato domanda di rinnovo di iscrizione il 24 dicembre 2011 e la domanda era stata rigettata dalla sezione regionale della Sicilia per mancanza dei requisiti. Non si sarebbe considerato che la cancellazione dell’impresa individuale dell’imputato dall’Albo dei gestori ambientali era intervenuta solo con un provvedimento del 5 settembre 2013, quindi in data successiva alla presunta commissione del fatto illecito contestato. In particolare, secondo la difesa, il rigetto della domanda di aggiornamento dell’iscrizione all’albo, avvenuto il 21 marzo 2012, non era causa automatica di cancellazione dell’impresa, ma, al più, motivo per fondare la legittimità di un susseguente provvedimento di cancellazione. Tale interpretazione emergerebbe dal tenore letterale del provvedimento in questione nel quale si “dispone” la cancellazione per vari motivi, tra i quali è menzionato il rigetto della domanda di aggiornamento dell’iscrizione. Il provvedimento di cancellazione del 5 settembre 2013 reca, inoltre, l’indicazione dei mezzi e dei tempi per l’eventuale impugnazione; e tale indicazione avrebbe senso solo se fosse questo il provvedimento effettivamente incidente sulla sfera giuridica dell’interessato.
2.4. – Si denunciano, in quarto luogo, vizi della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di discarica abusiva. Non si sarebbe considerato che: il terreno occupato della discarica era di modeste dimensioni; il quantitativo di rifiuti rinvenuti era scarso; il materiale era molto omogeneo, tanto che era stato effettuato un unico campionamento; i 36 pneumatici rinvenuti nell’area erano finalizzati al ricambio degli autocarri dell’imputato e non erano, dunque, rifiuti; mancava il degrado anche solo tendenziale dello stato dei luoghi, trattandosi di rimanenze edili facilmente rimovibili; in ogni caso, l’area si trovava a circa 1 km da una discarica autorizzata; mancava il requisito dell’abbandono dei rifiuti in tempi diversi e reiterati, perché si trattava di un deposito temporaneo e occasionale di rimanenze da riutilizzare in un prossimo futuro.
2.5. – Si lamenta, infine, quanto alla determinazione della pena in misura superiore ai minimi edittali, la mancata considerazione degli elementi a favore dell’imputato, quali: il fatto che egli si era prontamente attivato per la rimozione delle rimanenze edili; la circostanza che la presunta discarica si trovava a poca distanza da una discarica autorizzata e, comunque, in un’area poco pregevole; il fatto che i rifiuti erano stati depositati dall’imputato poco prima e in via temporanea.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è infondato.
3.1. – Il primo motivo di ricorso – con cui si lamenta, in sostanza, la mancata acquisizione della la fattura attestante le operazioni di sgombro dell’area – è infondato.
La motivazione fornita dalla Corte d’appello a sostegno del diniego della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale risulta, infatti, pienamente logica e coerente, laddove evidenzia che il quadro probatorio relativo all’entità della discarica abusiva risulta sufficientemente chiaro e che la fattura, in quanto documento di natura meramente fiscale, non può certo assurgere a prova del quantitativo di rifiuti rinvenuti, già accertato in modo puntuale degli operanti, ben potendo essere che lo smaltimento degli stessi per realizzare lo sgombro della discarica abusiva sia stato effettuato in maniera, a sua volta abusiva o, comunque, fiscalmente irregolare.
Si tratta, perciò, di una prova che risulta del tutto priva del requisito della necessarietà ai fini della decisione (art. 603 cod. proc. pen.), perché del tutto incerta ed avente per oggetto un profilo già ampiamente coperto da univoche risultanze istruttorie.
3.2. – Infondato è anche il secondo motivo di doglianza, con cui si deduce la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza quanto al reato di cui al capo C. Non vi è dubbio che l’imputazione si riferisca alla realizzazione di una discarica abusiva. Nondimeno – come ben evidenziato dai giudici d’appello – deve essere ricompresa nel concetto di discarica abusiva anche la realizzazione di quei manufatti che sono funzionalmente destinati alla discarica stessa, ancorché non espressamente menzionati nel capo d’imputazione. Va infatti rilevato che, nel concetto di discarica – come individuato dall’art. 2, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 36 del 2003 – non devono essere ritenuti compresi solo i rifiuti depositati, ma anche il suolo, eventualmente oggetto di trasformazioni finalizzate al suo utilizzo, e le opere edilizie, permanenti o precarie, realizzate per la collocazione e la gestione dei rifiuti e del sito. Si tratta, infatti, di elementi la cui presenza, consentendo in linea di massima una maggiore capacità di smaltimento, contribuisce in modo significativo alla compromissione dell’ambiente che la norma penale intende evitare. Anche a prescindere dalle considerazioni appena svolte in punto di diritto, deve in ogni caso osservarsi che, dalla semplice lettura della pag. 8 della sentenza di primo grado, emerge che l’imputato non è stato condannato soltanto per l’edificazione di manufatti finalizzati all’esercizio della discarica abusiva, ma, più in generale, per la discarica stessa, comprensiva di tali manufatti. Egli ha dunque pienamente esercitato anche in concreto il suo diritto di difesa quanto alla fattispecie oggetto dell’imputazione, la quale corrisponde pienamente a quella oggetto della condanna.
3.3. – Anche il terzo motivo di doglianza è infondato. La prospettazione difensiva si basa sull’assunto che l’iscrizione dell’imputato all’Albo dei gestori ambientali – sezione regionale della Sicilia sarebbe venuta meno solo con il provvedimento di cancellazione del 5 settembre 2013 e, quindi, in data successiva alla presunta commissione del fatto illecito contestato. Tale prospettazione si scontra, però, con la ricostruzione dei fatti proposta dalla stessa difesa, laddove nel ricorso si afferma che l’imputato, iscritto all’Albo dei gestori ambientali – sezione regionale della Sicilia a far data dal 30 ottobre 2006, aveva poi presentato domanda di rinnovo di iscrizione il 24 dicembre 2011; domanda che era stata rigettata il 21 marzo 2012. L’imputato ammette, cioè, di avere richiesto il rinnovo del suo titolo dopo cinque anni, come previsto dell’art. 212, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, anche nella formulazione vigente all’epoca dei fatti; e la ragione di tale richiesta era proprio la scadenza dell’iscrizione, verificatasi il 30 ottobre 2011, ovvero cinque anni dopo rispetto alla data di iscrizione indicata dallo stesso ricorrente. La condotta contestata è abusiva, perché successiva rispetto a tale scadenza e nessuna rilevanza possono assumere, in senso contrario, né il provvedimento di rigetto dell’istanza di rinnovo né il successivo provvedimento di cancellazione dall’Albo. Il primo ha infatti per oggetto il diniego del rinnovo dell’iscrizione e, dunque presuppone che l’iscrizione dell’imputato all’albo fosse già scaduta prima della presentazione della domanda di rinnovo; ed è comunque un provvedimento negativo, che esclude, anche sul piano meramente soggettivo, che l’imputato potesse fare affidamento incolpevole sulla permanenza di una sua iscrizione all’Albo. Il secondo ha per oggetto il provvedimento, meramente formale, di cancellazione dall’albo; provvedimento che non ha natura costitutiva, rappresentando la semplice presa d’atto dell’avvenuta scadenza dell’iscrizione e del mancato rinnovo della stessa in epoca precedente.
3.4. – Il terzo motivo di doglianza – con cui si denunciano vizi della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di discarica abusiva – è inammissibile, perché basato su considerazioni di fatto in parte generiche e in parte puntualmente smentite, con conforme valutazione, dai giudici di primo secondo grado. È sufficiente qui richiamare sinteticamente le considerazioni già svolte nella sentenza d’appello circa: l’entità dell’area occupata (maggiore di quella indicata della difesa); il quantitativo dei rifiuti (determinato con precisione dalla polizia giudiziaria in misura ben superiore a quella indicata dalla difesa); la mescolanza degli stessi (rispetto alla quale, la circostanza che sia stato effettuato un unico campionamento nulla conferma e nulla smentisce); lo stato di degrado e le modalità di conservazione dei pneumatici rinvenuti nell’area (la cui destinazione a un successivo utilizzo risulta, pertanto, impossibile); il degrado dello stato dei luoghi (la cui insussistenza era asserita già nell’atto di appello in via del tutto generica); l’abbandono dei rifiuti in tempi diversi (visti i quantitativi, le modalità di accatastamento e la non inutilizzabilità dei materiali). Del tutto erronea risulta, poi, la prospettazione difensiva secondo cui l’area era priva di pregio perché si trovava a circa 1 km da una discarica autorizzata. Risulta infatti pacifico che l’area stessa era sottoposta a vincolo paesaggistico; vicolo che ben può riguardare luoghi già urbanizzati o addirittura “compromessi”, al fine di evitarne l’ulteriore “compromissione”.
3.5. – Del pari generiche sono le doglianze difensive relative alla determinazione della pena in misura superiore ai minimi edittali, a fronte delle analitiche considerazioni svolte nella sentenza di primo grado, e confermate nella sentenza di appello, circa la gravità del fatto e la natura dolosa delle condotte contestate. E risultano manifestamente insussistenti gli elementi dedotti dalla difesa, che non sarebbero stati valutati dai giudici di merito. In particolare, la circostanza che l’imputato si sia prontamente attivato per la rimozione delle rimanenze edili non può essere valutata a suo favore, avendo egli semplicemente dato esecuzione ad una parte dei provvedimenti amministrativi rivoltigli in tal senso. Mentre risulta smentita dai fatti – come visto – l’asserzione secondo cui i rifiuti erano stati depositati dall’imputato poco prima e in via temporanea.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Il ricorrente deve essere altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Città metropolitana di Milano, liquidate in euro 1755,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Città metropolitana di Milano, che liquida in euro 1755,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2017.
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