AMBIENTE. La concreta applicazione del principio di precauzione (art. 19 TFUE) comporta l’apprezzamento di un rischio fondato su basi scientifiche. Consiglio di Stato n. 4545/2020.

Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 4545 del 14 luglio 2020 (ud. del 2 luglio 2020)

Pres. Castiglia, Est. Spisani

Ambiente. VIA. AIA. Principio di precauzione. Applicazione concreta. Art. 191 TFUE. D. lgs. n. 334/1999.

Tutta la normativa di cui al d. lgs. 152/2006 è ispirata al rispetto del principio di precauzione, e pertanto affermare che le procedure di VIA ed AIA ivi previste sono state rispettate significa anche che il principio stesso è stato presuntivamente rispettato. Ciò posto, non si può a priori escludere che il rispetto di tali procedure non sia sufficiente, e che quindi uno spazio per l’ulteriore applicazione del principio rimanga, ma nel far ciò si devono tenere conto i criteri individuati dalla giurisprudenza, conformi del resto alla comune logica. Infatti, l’applicazione del principio non si può fondare sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici.

L’applicazione del principio non si può fondare sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici (cfr. Corte di Giustizia UE 9 settembre 2003 C-236/01 Monsanto, e conformi, fra le molte, Corte UE 5 febbraio 2004 C- 24/00 Commissione vs. Repubblica Francese, nonché, nella giurisprudenza nazionale, da C.d.S. sez. VI 19 gennaio 2010 n°183).

 

 

Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 4545 del 14 luglio 2020 (ud. del 2 luglio 2020)

N. 04545/2020REG.PROV.COLL.

N. 10507/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10507 del 2019, proposto dalla Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli e Stefania Valeri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Cerulli Irelli in Roma, via Dora 1;

contro

la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dello sviluppo Economico, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
il Comune di Sulmona, la Provincia di L’Aquila, l’Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente, il Gruppo di Intervento Giuridico ONLUS non costituiti in giudizio;

nei confronti

della Snam Rete Gas S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fabio Todarello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone 44;

per l’annullamento ovvero la riforma

previa sospensione

della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione III, 11 giugno 2019 n.7563, che ha respinto il ricorso n.3219/2018 R.G. integrato da motivi aggiunti proposto per l’annullamento:

(ricorso principale)

a) della nota 10 gennaio 2018 prot. n. 490 Dipartimento per il coordinamento amministrativo – DICA della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di trasmissione della deliberazione 22 dicembre 2017, con la quale il Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’articolo 14-quater, comma 3, seconda parte, della legge 7 agosto 1990, n. 241, ha deliberato di far proseguire il procedimento di autorizzazione alla costruzione ed esercizio dell’opera denominata “centrale di compressione gas di Sulmona” proposta dalla società Snam Rete Gas S.p.a. come parte del metanodotto Sulmona – Foligno di 169,2 Km, compreso nella “rete adriatica” dei gasdotti e inserito nella rete nazionale dei gasdotti come da decreto del Ministero delle attività produttive del 30 giugno 2004;

(motivi aggiunti)

b) del decreto 7 marzo 2018, conosciuto in data imprecisata, con il quale il del Ministero dello sviluppo economico – Direzione generale per la sicurezza dell’approvvigionamento e le infrastrutture energetiche: 1) ha approvato il progetto definitivo della centrale di compressione suddetta; 2) ha autorizzato la costruzione e l’esercizio dell’opera; 3) ne ha dichiarato la pubblica utilità; 4) ne ha riconosciuto la conformità agli strumenti urbanistici vigenti, con apposizione del vincolo preordinato all’esproprio; 5) ha fatto obbligo alla Società Snam Rete Gas S.p.a. di adempiere alle prescrizioni impartite nel decreto di valutazione di impatto ambientale del 7 marzo 2011, nei pareri espressi nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica, nonché derivanti dai nulla osta, pareri e atti di assenso comunque denominati acquisiti nell’ambito della conferenza dei servizi e dettate dalle amministrazioni competenti;

e in ogni caso di ogni atto presupposto ovvero consequenziale;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti suindicate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 luglio 2020 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Dania Aniceti su delega dichiarata di Stefania Valeri e Federico Novelli su delega di Fabio Todarello e l’avvocato dello Stato Ruggero Di Martino, che partecipano alla discussione orale ai sensi dell’art. 4 d.l. 28/2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. Si controverte dei provvedimenti meglio indicati in epigrafe, intesi a far realizzare un centrale di compressione gas a Sulmona.

1.1 Una centrale di compressione gas è in generale un’infrastruttura che serve ad aumentare la pressione entro le tubature del gas naturale, nel caso del nostro Paese proveniente in massima parte da giacimenti che si trovano all’estero, e fornirgli in questo modo la necessaria spinta per percorrere la rete nazionale dei metanodotti e arrivare agli utilizzatori, ovvero alle famiglie e alle industrie.

1.2 La centrale per cui è processo dovrebbe essere realizzata in Abruzzo, in Comune di Sulmona, in località Case Pente, come parte del metanodotto Sulmona – Foligno di 169,2 Km, metanodotto che a sua volta è parte della c.d. “Rete adriatica”. La Rete adriatica in questione, in origine prevista appunto lungo la costa adriatica, ma successivamente spostata nell’entroterra, nella zona degli Appennini, è poi composta da cinque lotti funzionali – corrispondenti ai metanodotti Massafra – Biccari di 194,7 Km; Biccari – Campochiaro di 70,6 Km; Campochiaro – Sulmona di 94,0 Km; Sulmona – Foligno di 169,2 Km; Foligno – Sestino di 113,8 Km; Sestino –Minerbio di 142,6 Km- e deve servire, in sintesi, a trasportare in tutta Italia, come alternativa alla già esistente Rete tirrenica, che si sviluppa sulla costa corrispondente, il gas naturale importato attraverso metanodotti transnazionali, in particolare dalla Libia attraverso il “punto di entrata” di Gela, e dall’Algeria attraverso il “punto di entrata” di Mazara del Vallo. I lotti indicati e in particolare quello per cui è causa sono poi inseriti nella Rete nazionale dei gasdotti come da D.M. dell’allora Ministero delle attività produttive 30 giugno 2004.

1.3 Titolare dell’opera in questione e del progetto relativo è la controinteressata, com’è noto la società che nel nostro Paese gestisce la rete nazionale di tutti i gasdotti, la quale, come si evidenzia per migliore comprensione, ha proceduto a realizzarla presentando distinte istanze, corrispondenti ai vari lotti, per ottenere per ciascuno la necessaria valutazione di impatto ambientale- VIA e le autorizzazioni ad essa conseguenti. È processo appunto per le vicende del lotto sopraindicato e più specificamente per la realizzazione della singola opera costituita dalla centrale (fatti storici non contestati; si vedano la motivazione della sentenza impugnata ai §§ 1 e 2).

2. Le fasi di procedimento rilevanti, a loro volta non contestate come fatti storici, si possono riassumere così come segue (si vedano la motivazione della sentenza impugnata ai §§ da 2 a 6 nonché 9, fatti storici appunto non contestati, e i documenti di volta in volta citati).

2.1 La vicenda ha inizio il giorno 31 gennaio 2005, allorquando la controinteressata ha presentato all’allora Ministero dell’ambiente la domanda per ottenere la pronuncia di compatibilità ambientale, ovvero la valutazione di impatto ambientale – VIA favorevole, relativa sia al tratto di metanodotto Sulmona – Foligno di cui si è detto, sia alla centrale di compressione di Sulmona.

2.2 Su questa domanda, con atto 7 ottobre 2010 n.535, la Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale – CTVIA presso il Ministero dell’ambiente, ha espresso parere favorevole con 46 prescrizioni, ritenendo in sintesi adeguate le soluzioni tecniche proposte e soffermandosi in particolare sulla necessità dell’opera per collegare e rendere funzionali i settori nord e sud della Rete adriatica, pur dando atto che il sito prescelto si trova in zona ad alta pericolosità sismica.

2.3 Sulla stessa domanda, ha espresso parere favorevole con atto 24 novembre 2010 n.35527, condizionato al rispetto di tutte le prescrizioni imposte, anche il Ministero dei beni e delle attività culturali – MIBACT.

2.4 Di conseguenza, richiamati i predetti pareri della CTVIA e del MIBACT, il Ministero dell’ambiente, di concerto con il MIBACT stesso, ha rilasciato la VIA con il decreto 7 marzo 2011 n.70.

2.5 Sulla base della VIA, ha ripreso corso il procedimento attivato il giorno 22 dicembre 2005 dalla controinteressata per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale – AIA relativamente alla sola centrale di compressione di Sulmona presso la Regione Abruzzo, che il giorno 31 agosto 2011 lo ha avviato (doc. 13 in I grado ricorrente appellante, diniego 22 marzo 2013 di cui oltre).

2.6 Nelle more, la Regione Abruzzo ha approvato la l.r. 19 giugno 2012 n.28, nella quale ha stabilito per quanto qui interessa all’art. 3: “Dopo l’art. 1 della L.R. 10 marzo 2008, n. 2 (Provvedimenti urgenti a tutela del territorio regionale) è inserito il seguente: “Art. 1 bis (Competenza della Regione nell’ambito della localizzazione di opere di interesse statale)

Al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 1 dell’art. 1 nel rilascio, da parte della Regione Abruzzo, dell’intesa ai sensi del comma 5 dell’art. 52 quinquies del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, come integrato dal d. lgs. 27 dicembre 2004, n. 330, la localizzazione e la realizzazione di oleodotti e gasdotti che abbiano diametro superiore o uguale a 800 millimetri e lunghezza superiore a 40 km e di impianti termoelettrici e di compressione a gas naturale connessi agli stessi, è incompatibile nelle aree di cui alla lettera d), del comma 2, dell’art. 1 (comma 1). Per la localizzazione e la realizzazione delle opere di cui al comma 1, ricadenti nelle aree di cui alla lettera d), del comma 2, dell’art. 1, la Regione nega l’intesa con lo Stato e si applicano le procedure di cui al comma 6, dell’art. 52 quinquies del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (comma 2). La Regione nega, altresì, l’intesa qualora si tratti di opere in contrasto con il Piano regionale di tutela della qualità dell’aria, approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 79/4 del 25 settembre 2007 (comma 3)”. In altre parole, la legge regionale non consente di realizzare opere come la centrale per cui è causa, ove esse siano localizzate in aree sismiche di prima categoria.

2.7 In tal caso, la Regione non dà la propria intesa allo Stato, e l’interessato a realizzare comunque l’opera deve promuovere la procedura di cui al citato art. 52 quinquies comma 6 del T.U. 327/2001, dettato appunto in materia di “infrastrutture lineari energetiche facenti parte delle reti energetiche nazionali”, per cui “In caso di mancata definizione dell’intesa con la Regione o le Regioni interessate nel termine prescritto per il rilascio dell’autorizzazione, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione, si provvede, entro i successivi sei mesi, a mezzo di un collegio tecnico costituito d’intesa tra il Ministro delle attività produttive e la Regione interessata, ad una nuova valutazione dell’opera e dell’eventuale proposta alternativa formulata dalla Regione dissenziente. Ove permanga il dissenso, l’opera è autorizzata nei successivi novanta giorni, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, integrato con il Presidente della Regione interessata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro competente, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”.

2.8 Sulla base della citata l.r. 28/2012, la Regione Abruzzo ha quindi negato il rilascio dell’AIA per la centrale in questione con provvedimento 22 marzo 2013 n.235 (doc. 13 in I grado ricorrente appellante).

2.9 A questo punto, la controinteressata, per portare avanti l’opera, non aveva altra possibilità che avvalersi appunto della citata procedura di cui all’art. 52 quinquies del T.U. 327/2001. Per far ciò, ha anzitutto fatto la scelta consentita dall’art. 57 bis dello stesso T.U. che stabilisce: “(Applicazione della normativa ai procedimenti in corso relativi alle infrastrutture lineari energetiche) Per le infrastrutture lineari energetiche per le quali, alla data del 31 dicembre 2004, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità ovvero siano decorsi i termini previsti per la formulazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati a seguito degli avvisi di cui alle norme vigenti, non si applicano le disposizioni del presente testo unico a meno che il beneficiario dell’espropriazione o il proponente dell’opera infrastrutturale lineare energetica, abbia optato espressamente per l’applicazione del presente testo unico ai procedimenti in corso relativamente alle fasi procedimentali non ancora concluse.”.

2.10 Fatta la scelta, la controinteressata ha quindi presentato al Ministero dello sviluppo economico – MISE due distinte istanze ai sensi dell’art. 52 quinquies del T.U., l’una relativa al tratto di metanodotto in quanto tale – le vicende relative sono estranee a questo processo- e l’altra relativa alla centrale di compressione per cui è causa.

2.11 Sull’istanza relativa alla centrale, che qui interessa, il MISE, con provvedimento 10 febbraio 2015 prot. n. 2711 ha adottato la determinazione conclusiva della conferenza di servizi a tal fine convocata, attestandone l’esito negativo per il dissenso espresso dalla Regione Abruzzo.

2.12 Contestualmente, sempre il MISE, trattandosi di dissenso di una regione su materia di competenza concorrente, ha attivato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per il coordinamento amministrativo – DICA la procedura per superare il dissenso stesso prevista dall’art. 14 quater, comma 3 ultima parte, della l. 7 agosto 1990 n.241 nel testo allora vigente, che prevedeva a sua volta la convocazione di un’apposita conferenza di servizi. Per chiarezza, si riporta il testo della norma, sostanzialmente equivalente all’attuale art. 14 quinquies della stessa legge: “Se il motivato dissenso è espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, ai fini del raggiungimento dell’intesa, entro trenta giorni dalla data di rimessione della questione alla delibera del Consiglio dei Ministri, viene indetta una riunione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la partecipazione della regione o della provincia autonoma, degli enti locali e delle amministrazioni interessate, attraverso un unico rappresentante legittimato, dall’organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’amministrazione sulle decisioni di competenza. In tale riunione i partecipanti debbono formulare le specifiche indicazioni necessarie alla individuazione di una soluzione condivisa, anche volta a modificare il progetto originario, motivando un’eventuale decisione in contrasto con il motivato dissenso. Se l’intesa non è raggiunta nel termine di ulteriori trenta giorni, è indetta una seconda riunione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con le medesime modalità della prima, per concordare interventi di mediazione, valutando anche le soluzioni progettuali alternative a quella originaria. Ove non sia comunque raggiunta l’intesa, in un ulteriore termine di trenta giorni, le trattative, con le medesime modalità delle precedenti fasi, sono finalizzate a risolvere e comunque a individuare i punti di dissenso. Se all’esito delle predette trattative l’intesa non è raggiunta, la deliberazione del Consiglio dei Ministri può essere comunque adottata con la partecipazione dei Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate.

2.13 Nel caso di specie, l’intesa non è stata effettivamente raggiunta, anche se nel corso delle riunioni si sono esplorate soluzioni alternative, in particolare la delocalizzazione della centrale nel territorio del Comune di Castiglione a Casauria, sito risultato però tecnicamente non idoneo, e la sostituzione con motori elettrici dell’alimentazione a gas prevista per il macchinario, soluzione respinta dalla Regione. Di conseguenza, il Consiglio dei Ministri, con la deliberazione 22 dicembre 2017 di cui in epigrafe, ha stabilito “in considerazione della rilevanza energetica dell’opera ai fini della diversificazione delle fonti e delle rotte dell’approvvigionamento energetico, nonché in considerazione dell’interesse comunitario e della strategicità dell’infrastruttura in termini di sicurezza degli approvvigionamenti, di superare il dissenso emerso in conferenza di servizi, consentendo la prosecuzione del procedimento di autorizzazione alla costruzione ed esercizio dell’opera denominata centrale di compressione gas di Sulmona nel rispetto delle prescrizioni fornite dagli enti coinvolti nel procedimento.” (doc. 1 in I grado ricorrente appellante).

2.14 Contro questa deliberazione, il Comune ha proposto il ricorso principale.

2.15 Di seguito, il MISE, con il decreto 7 marzo 2018 di cui in epigrafe ha autorizzato l’opera ai sensi del citato art. 52 quinquies D.P.R. n. 327/2001. In particolare, il MISE – dopo aver affermato l’importanza strategica dell’opera, consistente nella “realizzazione di un impianto di compressione del gas della potenza di circa 33 MW e di quattro condotte della lunghezza complessiva di 1.880 metri e diametro DN 1200, da realizzare sul territorio del Comune di Sulmona”, volta ad “assicurare la copertura del fabbisogno energetico del Paese …”; “aumentare la sicurezza ed affidabilità del sistema di trasporto del gas”; “assicurare l’aumento delle prestazioni del campo di stoccaggio di gas in sotterraneo Fiume Trieste …”, ha disposto di approvare “il progetto definitivo dell’opera denominata “Centrale di compressione gas di Sulmona e quattro linee di collegamento alla rete Snam Rete Gas esistente”, ne ha autorizzato “la costruzione e l’esercizio”, ne ha dichiarato “la pubblica utilità … per la durata di cinque anni, riconoscendone …l’urgenza e l’indifferibilità (art. 3). Il MISE ha inoltre riconosciuto la conformità dell’opera “agli strumenti urbanistici vigenti” (art. 4), ha precisato che il decreto citato “esplica gli effetti di cui all’articolo 52-quinquies, comma 2 del Testo unico e costituisce quindi … autorizzazione unica …” (art. 8), e che “la presente autorizzazione costituisce, ove necessario, variante agli strumenti urbanistici e dei piani di gestione e di tutela del territorio comunque denominati” (art. 9). Infine, nell’allegato 1 al decreto il MISE ha riportato le principali prescrizioni da rispettare per la costruzione e l’esercizio della centrale (doc. 1 a motivi aggiunti in I grado ricorrente appellante).

2.16 Contro quest’ultimo provvedimento, il Comune ha proposto motivi aggiunti.

3. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto sia il ricorso principale, sia i motivi aggiunti, ritenendo in sintesi estrema i provvedimenti legittimamente emanati.

4. Contro questa sentenza, la Regione ha proposto impugnazione, con appello che contiene i seguenti cinque motivi, di riproposizione dei corrispondenti motivi di I grado e di critica alla sentenza impugnata per non averli accolti:

– con il primo di essi, deduce violazione dell’art. 6 commi 2 e 3 del d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152, perché a suo avviso l’opera si sarebbe dovuta assoggettare a valutazione ambientale strategica – VAS. In proposito, critica in primo luogo l’affermazione del Giudice di I grado per cui la VAS non sarebbe applicabile perché il procedimento sarebbe incominciato prima del 31 luglio 2007, data di entrata in vigore della relativa disciplina. Ad avviso della ricorrente appellante, infatti, bisognerebbe valorizzare non la data del 31 gennaio 2005 considerata dal Giudice di I grado, ma quella successiva del 17 giugno 2011, in cui, come dal decreto di autorizzazione del MISE impugnato coi motivi aggiunti, la controinteressata ha chiesto l’applicazione della disciplina di cui all’art. 52 quinquies del T.U. 327/2001. Nel merito, sostiene poi che l’asserita natura di progetto e non di piano o programma dell’iniziativa non rileverebbe, perché si tratterebbe comunque di progetto che determina modifiche al Piano regolatore generale del Comune di Sulmona e al Piano regionale della qualità dell’aria. Sul punto, la ricorrente appellante ricorda quanto deciso dal Giudice di I grado, ovvero che le modifiche al Piano regionale per la qualità dell’aria, discenderebbero in via diretta dell’autorizzazione unica ex art. 52 quinquies T.U. 327/2001, resa in conferenza di servizi, mentre le modifiche al PRG non richiederebbero VAS in base all’art. 6, comma 12 del d. lgs. n. 152/2006, che la esclude per i provvedimenti di autorizzazione di opere singole che hanno per legge l’effetto di variante ai piani e programmi di pianificazione territoriale. Secondo la ricorrente appellante, ciò non sarebbe corretto in quanto si tratterebbe, in sintesi, di modifica che determina effetti significativi sull’ambiente. In subordine, invita il Giudice a sollevare la questione di compatibilità con la normativa europea dell’art. 52 quinquies citato nella parte in cui esso esclude dal previo svolgimento della VAS le variazioni “degli strumenti urbanistici e dei piani di gestione e tutela del territorio comunque denominati” derivanti dall’autorizzazione unica alla costruzione ed all’esercizio delle infrastrutture lineari energetiche;

– con il secondo motivo, deduce propriamente eccesso di potere per falso presupposto, per asserita mancata “ponderazione” del rischio sismico che graverebbe sull’opera (appello, p. 23 ottavo rigo dal basso);

– con il terzo motivo, deduce violazione del principio di precauzione di cui all’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea- TFUE;

– con il quarto motivo deduce violazione dei d. lgs. 17 agosto 1999 n. 334 e 26 giugno 2015 n. 105, in materia di controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose. Ad avviso della ricorrente appellante, l’impianto comporterebbe la manipolazione di metano, ovvero di una sostanza classificata come pericolosa, per la quale la normativa in materia richiede in linea di principio specifiche autorizzazioni rilasciate dal competente Comitato tecnico regionale e nel caso di specie pacificamente mancanti. Sul punto, il Giudice di I grado ha invece escluso l’applicabilità delle norme citate in base all’art. 4 del d. lgs. 334/1999, per cui esse non valgono per il “trasporto di sostanze pericolose in condotta, comprese le stazioni di pompaggio”, nei termini già affermati da C.d.S. sez. IV 27 marzo 2017 n.1392;

– con il quinto motivo, deduce eccesso di potere per falso presupposto, in quanto, a suo dire e contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di I grado, la delibera del Consiglio dei Ministri non avrebbe autorizzato la costruzione delle quattro linee di collegamento della centrale con la rete, alle quali invece si riferisce il decreto finale del MISE.

5. Hanno resistito le amministrazioni statali, con atto 9 gennaio e memoria 20 gennaio 2020, e la controinteressata, con atto 10 gennaio e memoria sempre 20 gennaio 2020, ed hanno chiesto che l’appello sia dichiarato irricevibile, perché proposto oltre il termine di tre mesi dal deposito contro una sentenza pronunciata con il rito abbreviato di cui all’art. 119 c.p.a. e comunque respinto nel merito.

6. Con memoria 21 gennaio 2020, la ricorrente appellante ha risposto all’eccezione di rito di cui sopra: ha affermato che il rito speciale sarebbe applicabile solo a provvedimenti tassativamente previsti, tra i quali non vi sarebbe la delibera del Consiglio dei Ministri di cui si tratta; ha quindi affermato che l’irricevibilità si potrebbe configurare solo quanto all’impugnazione della decisione sui motivi aggiunti ed ha chiesto comunque la rimessione in termini per errore scusabile.

7. Alla camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2020, la domanda cautelare è stata riunita al merito.

8. Con memorie 3 febbraio 2020 per le amministrazioni statali e 16 giugno 2020 per la controinteressata, le parti hanno insistito sulle rispettive posizioni.

9. All’udienza del 2 luglio 2020, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.

10. L’eccezione preliminare di irricevibilità dell’appello perché tardivo proposta dall’amministrazione e dalla controinteressata è fondata, ma in proposito va riconosciuto l’errore scusabile, nei termini ora esposti.

10.1 Per chiarezza, va ricostruita la normativa applicabile a questo processo. Le parti si sono infatti riferite a due distinte ipotesi di applicazione del rito abbreviato di cui all’art. 119 c.p.a. Ad avviso dell’amministrazione statale (memoria 3 febbraio 2020, p. 2), la controversa rientrerebbe in quelle previste dalla lettera l) di tale articolo, in quanto compresa fra quelle “relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti”. Ad avviso invece della controinteressata (memoria 20 gennaio 2020 p. 8), seguita in questo dalla ricorrente appellante (memoria 21 gennaio 2020), la controversia rientrerebbe invece in quelle previste dalla lettera f) dello stesso articolo, perché concerne “provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità”.

10.2 Scegliere l’una ovvero l’altra tesi condurrebbe sempre ad una conclusione nel senso dell’irricevibilità dell’appello perché tardivo, ma come si vedrà attraverso due percorsi logici diversi, che vanno delineati tenendo conto della regola interpretativa stabilita da costante giurisprudenza – per tutte C.d.S. IV 19 settembre 2019 n.6240 e sez. VI 28 maggio 2015 n.2679: le norme dell’art. 119 c.p.a. in quanto norme speciali che prevedono decadenze più rigorose delle norme comuni sono di stretta interpretazione.

10.3 Accogliere la tesi dell’applicabilità dell’art. 119 lettera l) porta all’evidenza a ritenere l’appello tardivo in via diretta, perché entrambi i provvedimenti impugnati si possono considerare come relativi ad un gasdotto della rete nazionale. Di contro, ritenere applicabile l’art. 119 lettera f) porterebbe allo stesso risultato, ma attraverso un percorso più complesso, quello lealmente delineato dalla ricorrente appellante nella citata memoria 21 gennaio 2020, rispetto al quale ha presentato istanza di errore scusabile. Infatti, nella previsione dell’art. 119 lettera f) non rientrerebbe la delibera del Consiglio dei Ministri 22 dicembre 2017, che non è a rigore un provvedimento in materia di “espropriazione” ovvero di “occupazione”, dato che si limita, nei termini esposti, a superare il dissenso e a far proseguire il procedimento. Tale delibera, isolatamente considerata, si sarebbe quindi impugnata secondo il rito ordinario, applicabile ovviamente all’appello contro la sentenza di I grado. Diversamente, l’impugnazione del decreto MISE 7 marzo 2018, che per legge vale dichiarazione di pubblica utilità nonché di indifferibilità e urgenza dell’opera, è astrattamente sussumibile nella lettera f) dell’art. 119 c.p.a., perché riguarda un’espropriazione. Dall’applicabilità del rito speciale al ricorso per motivi aggiunti, sarebbe quindi seguita l’applicabilità dello stesso a tutta la controversia, ai sensi dell’art. 32 comma 1 c.p.a.: in tal senso, per tutte, C.d.S. sez. V 23 febbraio 2012 n. 1058.

10.4 Ciò posto, il Collegio osserva che la soluzione corretta è quella che conduce all’applicazione dell’art. 119 lettera l) a tutta la controversia, trattandosi del criterio più semplice per il cittadino che deve impugnare un atto – secondo la regola di interpretazione delineata in termini di principio già da C.d.S. a.p. 30 luglio 2007 n°9 (§ 1 in fine del “considerato in diritto”). Il Collegio osserva però che la soluzione nel caso di specie non era comunque immediata, perché le norme della lettera l) e della lettera f) dell’art. 119 c.p.a. sono nel rapporto che, se pure ad altro proposito, è stato descritto come “specialità reciproca”: i provvedimenti in materia di gasdotti che però dispongano in tema di espropriazione potrebbero essere ricondotti ad entrambe le fattispecie, e si è visto sopra che gli esiti potrebbero essere diversi nel percorso logico che porta ad individuarli. Per conseguenza, data l’obiettiva non chiarezza delle norme descritte, il Collegio ritiene senz’altro di riconoscere l’errore scusabile e decidere il merito della controversia.

11. Tanto premesso, l’appello è infondato nel merito, per le ragioni ora esposte.

12. Il primo motivo dedotto, che ipotizza l’applicabilità della VAS all’opera di cui si tratta è infondato in fatto, nel senso che il relativo procedimento si deve ritenere iniziato 31 gennaio 2005, così come affermato dal Giudice di I grado, e quindi anteriormente al 31 luglio 2007, data di entrata in vigore della disciplina sulla VAS in questione. La data del 31 gennaio 2005 è riportata nel decreto VIA 7 marzo 2011 come inizio del relativo procedimento (doc. 9 in I grado controinteressata), ed è quella corretta: la successiva data del 17 giugno 2011 presa in considerazione dalla ricorrente appellante è quella in cui la controinteressata, come si è detto, ha optato per la procedura speciale di cui al citato art. 52 quinquies del T.U. 327/2001, che però non costituisce nuovo procedimento, ma presuppone, come dalla rubrica dell’articolo di legge, proprio un “procedimento in corso” (si veda per la data citata il decreto MISE doc. 1 a motivi aggiunti in I grado ricorrente appellante).

13. Il secondo e il terzo motivo prospettano questioni analoghe, relative in sintesi alla presunta inadeguatezza delle soluzioni tecniche seguite per progettare l’opera, che rappresenterebbe comunque un pericolo per l’ambiente; di conseguenza, vanno esaminati congiuntamente, e risultano entrambi infondati.

13.1 Va premesso quanto segue. Per principio giurisprudenziale del tutto pacifico, che come tale non necessità di puntuali citazioni, le scelte adottate dall’amministrazione nel programmare e progettare opere come quelle per cui è causa sono scelte tecniche soggette ad ampia discrezionalità, e come tali non sono sindacabili dal Giudice amministrativo se non in casi di esito abnorme o manifestamente illogico, esito che secondo logica deve essere dimostrato da chi contesta le scelte stesse. In tali termini, occorre allora osservare che la ricorrente appellante si è limitata ad asserire che l’opera sarebbe inadeguata, in particolare sotto il profilo del rischio sismico, ma non ha reso concreta tale affermazione. In altre parole, non ha dato la specifica dimostrazione di quali sarebbero le scelte manifestamente illogiche compiute nel progettare la centrale in questione. Di conseguenza, il terzo motivo va respinto.

13.2 Alla considerazione sopra esposta, sui caratteri del potere discrezionale, se ne aggiunge un’altra. Come correttamente sottolineato dal Giudice di I grado, tutta la normativa di cui al d. lgs. 152/2006 è ispirata al rispetto del principio di precauzione, e pertanto affermare, come fatto nella sentenza impugnata, e come è incontestato, che le procedure di VIA ed AIA ivi previste sono state rispettate significa anche che il principio stesso è stato presuntivamente rispettato. Ciò posto, non si può a priori escludere che il rispetto di tali procedure non sia sufficiente, e che quindi uno spazio per l’ulteriore applicazione del principio rimanga, ma nel far ciò si devono tenere conto i criteri individuati dalla giurisprudenza, conformi del resto alla comune logica. Infatti, l’applicazione del principio non si può fondare sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici: così Corte di Giustizia UE 9 settembre 2003 C-236/01 Monsanto, e conformi, fra le molte, Corte UE 5 febbraio 2004 C- 24/00 Commissione vs. Repubblica Francese, nonché, nella giurisprudenza nazionale, da C.d.S. sez. VI 19 gennaio 2010 n°183. La ricorrente appellante quindi, anche in questo caso, avrebbe dovuto offrire con criteri scientifici la specifica dimostrazione di criticità del progetto lasciate per così dire scoperte dalle procedure espletate.

14. Il quarto motivo di appello è a sua volta infondato, in base a quanto già ritenuto da questo Giudice nella propria precedente sentenza 1392/2017 citata sopra, dalla quale il Collegio non ritiene di discostarsi: le norme della cd. Direttiva Seveso in base all’art. 4 del d. lgs. 334/1999, non valgono per il “trasporto di sostanze pericolose in condotta, comprese le stazioni di pompaggio”, e all’evidenza la struttura per cui è causa rientra fra gli impianti di quest’ultimo tipo.

15. Da ultimo, il quinto motivo è infondato in fatto, perché gli atti del procedimento relativo alla centrale di compressione si riferiscono sia alla struttura come tale sia alle condotte che la devono collegare al gasdotto: così per tutti la nota del MATTM che dà atto dell’applicazione della procedura speciale, il primo verbale della conferenza di servizi ed il primo verbale di riunione presso il DICA (doc. ti 12, 13 e 14 in I grado controinteressata appellata). Non vi è quindi alcuna ragione per ipotizzare che la delibera del Consiglio dei Ministri abbia inteso escludere le condotte citate, che fra l’altro sono parte integrante della centrale, all’evidenza del tutto inutile se non vi è possibilità di collegarla a rete: un’interpretazione della delibera in tal senso sarebbe, in ultima analisi, contraria alla buona fede di cui all’art. 1366 c.c., pacificamente applicabile anche all’atto amministrativo.

16. La particolarità e complessità delle questioni trattate è giusto motivo per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n.10507/2019), lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2020 costituita ai sensi dell’art. 84 comma 5 d.l. 17 marzo 2020 n.18 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Castiglia, Presidente FF

Daniela Di Carlo, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

Roberto Caponigro, Consigliere

Giuseppa Carluccio, Consigliere

Scarica in pdf il testo della sentenza: cons. di stato, sez. 4, sent. n. 4545-2020