INQUINAMENTO AMBIENTALE. Per i nitrati vale la concentrazione complessiva. T.A.R. Napoli n. 7779/2022.

T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. n. 7779 del 13 dicembre 2022 (ud. del 22 novembre 2022)

Pres. F.F. Raiola, Est. Maffei

Inquinamento ambientale. Inquinamento da nitrati. Concentrazione complessiva. Direttiva 91/676/CEE.

ln tema di inquinamento da nitrati, l’elemento determinante ai fini della tutela ambientale è la concentrazione complessiva di nitrati presenti nei terreni, indipendentemente dalla loro provenienza antropica o agricola, poiché un suolo contaminato in modo rilevante, quand’anche i nitrati ivi presenti abbiano una fonte diversa da quella agricola, non può sopportare un ulteriore carico di azoto proveniente da attività agricola.

T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. n. 7779 del 13 dicembre 2022 (ud. del 22 novembre 2022)

07779/2022 REG.PROV.COLL.

00836/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 836 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da
OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Alfredo Contieri, Paolo Rinaldi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv. Alfredo Contieri in Napoli, via Raffaele De Cesare, 7;

contro

Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Angelo Marzocchella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Santa Lucia 81;

Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cristina Uccello, Fabrizio Renna, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fabrizio Renna in Napoli, via Vicinale S. Maria del Pianto;

per l’annullamento

per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

a) della Delibera di Giunta Regionale n. 762 del 5.12.2017, pubblicata sul B.U.R.C. al n. 89 l’11.12.2017, avente ad oggetto la nuova delimitazione delle Zone Vulnerabili ai Nitrati di Origine Agricola, elaborata sulla base dei dati della rete di monitoraggio ARPAC dell’ultimo quadriennio 2012-2015;

b) della relazione tecnica di accompagnamento alla designazione delle Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola allegata alla deliberazione n. 762/2017 di cui al punto a);

c) di ogni atto presupposto, conseguente o connesso a quello in precedenza indicato, anche se non noto.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Confagricoltura Campania il 9/3/2021

a) della Delibera della Giunta Regionale n. 585 del 16.12.2020, pubblicata sul B.U.R.C. al n. 585 del 21.12.2020, avente ad oggetto l’approvazione della “Disciplina per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, dei digestati e delle acque reflue e Programma d’azione per le Zone Vulnerabili all’inquinamento da Nitrati di Origine agricola”;

b) del Rapporto Ambientale integrato con lo Studio di Incidenza e la Sintesi non tecnica, allegati al provvedimento di cui alla lett. a);

c) di ogni altro atto presupposto, conseguente o connesso a quelli in precedenza indicati, anche se non noto.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e dell’Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Campania;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore nell’udienza di smaltimento del giorno 22 novembre 2022, tenuta da remoto a termini dell’art. 87, comma 4-bis c.p.a., il dott. Fabio Maffei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Con l’atto introduttivo del presente giudizio, i ricorrenti, gli allevatori bufalini campani ed associazioni di categoria, hanno esposto:

la Regione Campania, con la delibera n. 762 del 5.12.2017, in base al concorde parere favorevole sia del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (n. 14007 del 4.7.2017) che dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino meridionale (nota prot. n. 7991 del 2.11.2017), aveva approvato la nuova delimitazione delle Zone vulnerabili ai nitrati di origini agricola (ZVNOA), come imposto dalla Direttiva comunitaria 91/676/CEE per la protezione delle acque dall’inquinamento, recepita con la L. 6 Agosto 2013, n. 97;

la nuova definizione delle aree vulnerabili era stata necessaria alla luce delle note del 12 marzo e del 20 aprile 2015 rese dalla Commissione Europea – Direzione Generale Ambiente -, successive alla chiusura di una precedente procedura di infrazione intentata contro lo Stato Italiano per la violazione della direttiva c.c. Nitrati (2013/2032);

con le predette note era stato contestato alla Regione Campania la mancata designazione di aree vulnerabili comprendenti 14 punti di campionamento di acque sotterranee e 10 punti di campionamento di acque superficiali;

la delibera era stata elaborata nell’ambito del tavolo tecnico istituito con la determina del 5.8.2016, formato dai rappresentanti delle Direzioni Regionali e dalle Autorità di Bacino nonché sulla base delle verifiche effettuate da ISPRA in base ai dati di monitoraggio forniti dall’ARPAC relativamente al quadriennio 2012-2015, da cui era emerso il superamento del limite massimo di concentrazione di 50 mg/L di nitrati per talune aree a causa dei carichi zootecnici.

Tanto premesso, avverso tale delibera sono insorti gli odierni ricorrenti onde censurarne illegittimità in forza di due motivi di ricorso così rubricati:

I)Violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 8, lett. b), del d. lgs.152/2006; Violazione del contraddittorio e del diritto alla partecipazione dei portatori degli interessi coinvolti ai processi decisionali in materia ambientale; Violazione del principio di precauzione e proporzionalità; Violazione del principio di buon andamento della P.A.; eccesso di potere per irragionevolezza; ingiustizia manifesta; illogicità; perplessità: la Regione in violazione del comma 8, lett. b), dell’art. 92 del Codice dell’Ambiente (d. lgs. 152/06), in spregio del principio di precauzione come interpretato dalla Comunità Europea (Comunicazione COM/2000/0001), non avrebbe garantito la partecipazione dei soggetti interessati ai processi decisionali in materia ambientale. Quest’ultimi, infatti, avrebbero avuto conoscenza dei dati di monitoraggio effettuati dall’ARPAC soltanto con la pubblicazione nel BURC della Delibera n. 767/2017, allorquando la decisione di approvare la nuova delimitazione delle ZVNOA era stata ormai assunta.

II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 5, d. lgs.152/06; Eccesso di potere; difetto di istruttoria; carenza di motivazione; Violazione del principio di proporzionalità; Violazione del principio di buon andamento della P.A.; irragionevolezza; ingiustizia manifesta; illogicità; perplessità: l’Amministrazione procedente avrebbe adottato la delibera gravata sulla base di una istruttoria incompleta e superficiale, al solo fine di ottemperare alle sollecitazioni provenienti dalla Comunità Europea. Nel dettaglio avrebbe utilizzato dati obsoleti, in violazione dell’obbligo di monitoraggio continuo delle condizioni ambientali e di aggiornamento, a cadenza “almeno” quadriennale, delle zone vulnerabili ex art dell’art. 92, comma 5, del d. lgs.152/06. Gli stessi dati, inoltre, sarebbero stati raccolti attraverso tecniche che non avrebbero consentito l’individuazione delle fonti di diffusione di nitrati (ad es. le normali pratiche agricole di concimazione o le colture foraggere). Nel dettaglio la P.A. non avrebbe considerato la possibile provenienza urbana degli stessi e l’incidenza dei diversi fattori ambientali sugli esiti del monitoraggio, principalmente quelli pedoclimatici; non avrebbe contestualizzato i risultati del campionamento attraverso la ripetizione della misurazione sminuendo l’apporto della fonte antropica nella eutrofizzazione delle acque soprattutto nella stagione estiva.

In violazione del principio di proporzionalità, secondo la prospettazione di parte ricorrente, la p.a. non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza di soluzioni idonee alla riduzione dell’impatto ambientale, alternative all’abbattimento dei capi di bestiame.

Si è costituita in giudizio la Regione Campania che, nel merito, ha eccepito l’infondatezza delle censure relative alla violazione delle garanzie partecipative. Nel dettaglio ha evidenziato come le Organizzazioni Professionali Agricole sarebbero state convocate all’incontro del 3 novembre 2017, previo invio della nota n. 701806 del 25.10.2017, per esprimere osservazioni in merito alla nuova delimitazione ZVNOA, sebbene le stesse abbiano poi deciso di restare silenti.

In secondo luogo, ha contestato la pertinenza del richiamo al comma 8, lett. b), dell’art. 92 del Codice dell’Ambiente (d. lgs. 152/06), che disciplinava gli interventi di formazione e di informazione degli agricoltori sull’attività di programmazione dell’attività agricola e non su quella di pianificazione o di delimitazione delle zone vulnerabile, come previste dal comma 5.

In ultimo, ha evidenziato che i dati dell’ARPAC, posti a fondamento della decisione, sarebbero stati resi disponibili ai soggetti interessati mediante la loro pubblicazione sui siti istituzionali degli enti.

Con riferimento al secondo ordine di censure, relative alla erroneità della metodologia applicata per la caratterizzazione delle zone vulnerabili, la P.A. resistente ha eccepito che, coerentemente con le disposizioni comunitarie, le tecniche di campionamento utilizzate avrebbero consentito l’individuazione delle zone in cui l’attività agricola, pur non essendo fonte esclusiva di inquinamento, avrebbe avuto un impatto significativo sulla produzione di nitrati. Di contro il criterio isotopico, – come suggerito dai ricorrenti -, non avrebbe dato risultati certi.

In relazione alla obsolescenza dei dati esaminati, ha rilevato che i tempi richiesti per l’attività dei Dipartimenti Provinciali deputati alla raccolta, trattamento e valutazione dei contestati dati non avrebbero consentito di ottenere informazioni più aggiornate; a titolo esemplificativo e con successivo memoria, ha rappresentato che il monitoraggio del quadriennio 2016-2019 sarebbe potuto essere oggetto di relazione, ex art. 10 della Direttiva Nitrati, non prima del giugno 2020.

Con Decreto Dirigenziale n. 2 del 12.02.2018, la Regione ha dato mandato di provvedere alla revisione del Programma d’azione per le zone vulnerabili all’inquinamento da nitrati di origine agricola, con conseguente sospensione della delibera gravata per il tempo utile all’adozione della Valutazione Strategica (VAS), integrata con la Valutazione di Incidenza (VI) ai sensi dell’art. 6 e dell’art. 10 del d. lgs.152/2010.

In data 9 marzo 2018, si è costituita l’ARPAC che, preliminarmente, ha eccepito il difetto di legittimazione passiva. Nel dettaglio l’ente ha precisato che, avendo reso un parere non vincolante per l’amministrazione procedente, non sarebbe stata titolare della legittimazione a resistere in giudizio, essendosi limitata ad adottare un atto meramente endoprocedimentale, inidoneo a produrre uno stallo procedimentale e comunque non in grado di incidere nella sfera giuridica dei ricorrenti.

Nel merito ha ribadito la pubblicità dei dati elaborati a seguito del monitoraggio delle acque e la periodicità dell’attività di campionamento, effettuata con cadenza mensile, trimestrale e semestrale. Ciò avrebbe consentito da un lato la partecipazione effettiva dei soggetti interessati al procedimento amministrativo, dall’altro la valorizzazione delle variabili stagionali, contrariamente a quanto censurato da parte ricorrente. Inoltre, ha evidenziato che, come risulterebbe dalla relazione tecnica -depositata il 18 marzo 2020-, la derivazione della presenza di nitrati dall’attività agricola sarebbe stata dimostrata dalla rilevazione degli stessi oltre il limite consentito, anche nelle acque sotterranee e non soltanto in quelle superficiali. Al fine di ribadire la correttezza delle operazioni effettuate, ha riconosciuto la legittimità della scelta operata dalla P.A, coerente con gli standard nazionali, di avvalersi di dati raccolti lungo il quadriennio piuttosto che con riferimento ad un più circoscritto periodo temporale, esposto, in tal caso, a variazioni più marcate.

In data 2 febbraio 2020 i ricorrenti hanno fatto istanza di adozione di misure cautelari ex art. 56 c.p.a.

Per vero, non avendo contezza dello stato effettivo del procedimento di valutazione ambientale in corso, perfezionatosi in data 1° marzo 2020, i ricorrenti hanno lamentato il rischio che in attuazione della delibera n. 762 del 2017, la Regione in qualsiasi momento avrebbe potuto disporre, in assenza di siti idonei allo spandimento degli allevamenti, l’abbattimento di più del 50 % dei capi di bestiame con grave e irreparabile pregiudizio dei loro interessi.

Con ordinanza n 1025/2020, il Collegio ha respinto la domanda cautelare ritenendo non sussistenti i requisiti del fumus bonis juris e periculum in mora. Nel dettaglio, ad un sommario esame della vicenda, ha ritenuto che i livelli di concentrazione di nitrati nelle ZVNOA approvate con la delibera impugnata fossero stati attuali ed esaustivi, essendo stati confermati dalla relazione depositata dall’Arpac in data 18 marzo 2020, con riferimento al primo semestre 2019, senza che assumesse rilevanza l’omessa considerazione di fonti inquinanti alternative.

Con successivo ricorso, depositato il 9 marzo 2020, per motivi aggiunti i ricorrenti hanno impugnato la Delibera della Giunta Regionale n. 585 del 16.12.2020 e gli atti presupposti.

Tale delibera contemplava le disposizioni obbligatorie del nuovo Programma d’Azione per le zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola della Regione Campania, indicate con D.G.R. n. 762 del 05.12.2017, così fissando i criteri e le norme tecniche generali per l’utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, acque reflue e digestati, la cui cogenza era stata assicurata da un apparato sanzionatorio immediatamente operativo.

Secondo parte ricorrente la predetta delibera presenterebbe un’intrinseca irragionevolezza, posto che alla necessità di un’applicazione graduale degli obblighi previsti per le zone di nuova designazione, come suggerito dalla previsione di una disciplina transitoria, sul piano sostanziale, contrapporrebbe l’irrogazione immediata di sanzioni di tipo pecuniario.

All’udienza straordinaria del 22 novembre 2022, tenuta da remoto secondo le vigenti disposizioni processuale, la causa è stata riservata in decisione.

2.- Il ricorso introduttivo è infondato.

3.- Prima di procedere alla disamina del merito delle questioni poste, è opportuno rammentare che con la direttiva 91/676/CEE, recante “Direttiva del Consiglio relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole” (cd. Direttiva Nitrati), il Consiglio europeo, “considerando che i nitrati di origine agricola sono la causa principale dell’inquinamento proveniente da fonti diffuse che colpisce le acque comunitarie;…che per tutelare la salute umana, le risorse viventi e gli ecosistemi acquatici e per salvaguardare altri usi legittimi dell’acqua è pertanto necessario ridurre l’inquinamento idrico causato o provocato da nitrati provenienti da fonti agricole ed impedire un ulteriore inquinamento di questo tipo; che a tal fine è importante prendere provvedimenti riguardanti l’uso in agricoltura di composti azotati e il loro accumulo nel terreno e riguardanti talune prassi di gestione del terreno”, al dichiarato fine di “ridurre l’inquinamento delle acque causato direttamente o indirettamente dai nitrati di origine agricola” e di “prevenire qualsiasi ulteriore inquinamento di questo tipo” (art. 1) ha ritenuto indispensabile l’individuazione da parte degli Stati membri delle “Zone vulnerabili”, ossia “le zone note del loro territorio che scaricano nelle acque individuate in conformità del paragrafo 1 e che concorrono all’inquinamento” (cfr. art. 3).

La Direttiva mira a creare gli strumenti necessari perché sia garantita nell’UE la protezione delle acque dall’inquinamento provocato da nitrati di origine agricola; a tal fine, gli Stati membri sono tenuti ad implementare programmi di monitoraggio su tutto il territorio nazionale; sulla base dei dati di monitoraggio, ai sensi dell’art. 3, gli Stati membri sono chiamati a designare le Zone Vulnerabili ai Nitrati di origine agricole (ZVN), corrispondenti alle porzioni di territorio che drenano verso le acque inquinate da nitrati o interessate dal fenomeno dell’eutrofizzazione o che potrebbero divenire inquinate, se non si interviene.

Con cadenza quadriennale gli Stati membri sono, inoltre, tenuti a redigere ed inviare alla Commissione Europea una specifica Relazione sull’attuazione della Direttiva (art. 10), contenente i dati di monitoraggio delle acque del periodo di riferimento con identificazione delle acque inquinate da nitrati, le azioni intraprese per il riesame e l’eventuale revisione delle ZVN sulla base dei risultati di monitoraggio, le informazioni sull’applicazione dei Codici di buona pratica agricola, le modifiche apportate dalle Regioni ai programmi di azione e le relative attività di controllo.

Va evidenziato che, ai sensi dell’art. 3, par. 5, è prevista la possibilità per gli Stati membri di applicare i piani di azione indistintamente sull’intero territorio nazionale, senza necessità di specifica individuazione delle ZVN.

L’Italia non ha inteso avvalersi di tale facoltà e ha recepito gli obblighi della direttiva nitrati da ultimo con il d. lgs.n. 152 del 2006, che, all’art. 92, assegna alle Regioni la competenza circa la designazione delle ZVN sul proprio territorio secondo i criteri elencati all’All. 7, parte AI e AII; alle stesse Regioni è rimesso il periodico riesame e, se necessario, la revisione delle designazioni delle ZVN, nonché l’obbligo di adottare ed applicare nelle ZVN le misure contenute nei programmi d’azione, che devono essere rivisti ogni quattro anni.

Va sottolineato che, ai sensi dell’All. 1 della Direttiva nitrati, le “acque inquinate e quelle che potrebbero essere inquinate se non si interviene” (art. 3, par. 1) “sono individuate adottando, tra l’altro, i criteri seguenti:

1) qualora le acque dolci superficiali, in particolare quelle utilizzate o destinate alla produzione di acqua potabile, contengano o possano contenere, se non si interviene ai sensi dell’articolo 5, una concentrazione di nitrati superiore a quella stabilita secondo le disposizioni della direttiva 75/440/CEE;

2) qualora le acque dolci sotterranee contengano oltre 50 mg/l di nitrati o possano contenere più di 50 mg/l di nitrati se non si interviene ai sensi dell’articolo 5;

3) qualora i laghi naturali di acqua dolce o altre acque dolci, estuari, acque costiere e marine, risultino eutrofiche o possano diventarlo nell’immediato futuro se non si interviene ai sensi dell’articolo 5″.

Conformemente alla normativa comunitaria, l’art. 74, lett. pp), del d. lgs. n. 152 del 2006 definisce le Zone Vulnerabili ai Nitrati (ZVN): “zone del territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati di origine agricola o zootecnica in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali tipi di scarichi”.

4.- Tanto premesso, si può passare a scrutinare il primo motivo, con cui la parte ricorrente ha dedotto l’illegittimità dei provvedimenti gravati per violazione delle garanzie partecipative, di cui alla legge n. 241/1990 ed all’art. 92, comma 8, lett. b), del D. lgs.152/2006.

L’assunto non può essere condiviso, poiché oltre che infondato in diritto, è apertamente smentito dalla ricostruzione documentale dell’iter procedimentale che ha condotto all’adozione della delibera impugnata.

In primo luogo, rammenta il Collegio come l’art. 13 della legge n. 241/1990 esclude l’applicazione degli artt. 7 e ss. della medesima legge all’attività dell’Amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, fra cui deve annoverarsi l’impugnata delibera regionale.

Orbene, la delibera impugnata, quale atto rivolto ad una generalità ex ante indeterminata di destinatari e quindi presentando un contenuto non scindibile, va inquadrata come atto amministrativo generale di programmazione e non, invece, come sembrano opinare gli esponenti, come atto plurimo (sulle differenze fra i quali cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 18 aprile 2013, n. 2152).

In secondo luogo, com’è dato evincere dallo stesso tenore della DGR 762/2017, sulla proposta di delimitazione delle aree erano state preventivamente sentite le Organizzazioni Professionali Agricole nello ambito dell’incontro svolto il giorno 3 novembre 2017, convocato della Direzione Generale Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in ragione dell’invio a ciascuna di esse della nota n. 701806 del 25.10.2017. Tali associazioni, tuttavia, non avevano successivamente inoltrato alcuna osservazione prima dell’adozione della delibera.

5.- Analoga sorte merita anche la seconda delle articolate censure con cui le parti ricorrenti hanno dedotto l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, disparità di trattamento, illogicità e ingiustizia manifesta, violazione e falsa applicazione dell’art. 92 del d. lgs.3 aprile 2006, n. 152 in cui sarebbe incorsa la resistente amministrazione nell’adottare la delibera de qua. In particolare, la proposta di ARPAC, recepita dalla Regione Campania nell’impugnata delibera, si paleserebbe, a loro avviso, insufficiente in quanto impostata su dati oramai obsoleti (monitoraggio 2012-2015), basata su una valutazione di rischio solamente potenziale, priva di ogni carattere di concretezza e attualità, e redatta sulla base di un impianto metodologico espressamente ritenuto affetto da limiti oggettivi legati a lacune informative o al mancato aggiornamento del dato, i quali, altrettanto esplicitamente, vengono indicati come causa dell’inaffidabilità del risultato in ordine all’individuazione delle aree contribuenti alla produzione di nitrati.

Inoltre l’Amministrazione avrebbe omesso di tenere in considerazione ed indagare possibili altre fonti dell’inquinamento da nitrati, in particolare derivanti dagli scarichi civili.

Orbene, prive di pregio, proprio alla luce dei successivi sviluppi procedimentali come puntualmente documentate dall’Arpac nella relazione datata 17 marzo 2020, si presentano le censure sopra riportate. Come emerge dal succitato documento istruttorio, l’Amministrazione, preso atto delle criticità evidenziate dalle associazioni di categoria, ha svolto un’ulteriore attività istruttoria, consistita nel completamento delle campagne di monitoraggio con l’acquisizione di nuovi elementi conoscitivi per i corpi idrici superficiali e sotterranei nonché nell’aggiornamento del quadro conoscitivo sulle condizioni di trofia e sui carichi antropici gravanti nei bacini dei corpi idrici superficiali, pervenendo alla sostanziale conferma dei dati precedentemente rilevati.

Si legge, infatti, nella relazione istruttoria: “il monitoraggio regolarmente svolto dall’ARPAC per i corpi idrici sotterranei nel 2016, 2017, 2018 e 2019 conferma gli esiti dell’inquinamento da nitrati. Alla luce di quanto brevemente richiamato si ritiene che la Deliberazione in esame abbia contenuti coerenti con le indicazioni della normativa tecnica e sia fondata su dati di riferimento del monitoraggio delle acque pubblici consolidati e significativi, confermati anche nel periodo successivo all’elaborazione delle nuove zone vulnerabili”.

In ordine, poi, alle critiche involgenti la metodologia impiegata per le perimetrazioni delle nuove ZVN da parte di ARPAC, le censure non sono parimenti meritevoli di accoglimento.

Occorre in primo luogo evidenziare che, come del resto emergente dalle contrapposte prospettazioni, non sussiste allo stato una metodologia condivisa a livello comunitario o nazionale per la perimetrazione delle zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola.

Le stesse indicazioni dall’All. VII d. lgs. n. 152 del 2006 non delineano puntualmente una metodologia operativa fornendo piuttosto una serie di indicazioni generali, senza prevedere i criteri di dettaglio utili per procedere alla perimetrazione (grandezze rappresentative dei fattori ambientali, relative soglie di significatività, pesi da attribuire e metodo da utilizzare per l’integrazione dei diversi parametri considerati).

In questo quadro, è indubbio che si riespanda la discrezionalità dell’Amministrazione regionale circa la scelta della concreta metodologia operativa volta all’individuazione delle zone che presentano caratteri di vulnerabilità connesse alla presenza di nitrati nei corpi idrici, anche con riferimento alla valutazione della “pressione agricola significativa”.

In tema di sindacato del giudice amministrativo sull’esercizio della discrezionalità tecnica, la giurisprudenza amministrativa ha più volte specificato che “anche materie o discipline connotate da un forte tecnicismo settoriale, infatti, sono rette da regole e principi che, per quanto “elastiche” o “opinabili”, sono pur sempre improntate ad una intrinseca logicità e ad un’intima coerenza, alla quale anche la p.a., al pari e, anzi, più di ogni altro soggetto dell’ordinamento in ragione dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, non può sottrarsi senza sconfinare nell’errore e, per il vizio che ne consegue, nell’eccesso di potere”. Pertanto ed a prescindere dalla denominazione del sindacato intrinseco – debole o forte – che viene effettuato in tali materie, si ritiene che il giudice possa “solo verificare la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della deliberazione” (cfr. Cons. St., sez. III, 2 aprile 2013 n. 1856, in tal senso, più di recente, anche Cons. St., sez. IV, 22 dicembre 2014 n. 6313). Per quanto attiene al merito amministrativo, viceversa, il sindacato del giudice deve arrestarsi dopo aver verificato la legittimità delle regole tecniche sottostanti alla scelta dell’amministrazione, poiché “diversamente vi sarebbe un’indebita sostituzione del giudice all’amministrazione, titolare del potere esercitato” (C.d.S., sez. IV, 26 febbraio 2015, n. 966; cfr. C.d.S., sez. VI, 13 settembre 2012 n. 4873). Per cui il controllo giurisdizionale “al di là dell’ormai sclerotizzata antinomia sindacato forte/sindacato debole, deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della Pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo” (Consiglio di Stato, sez. III, 25 marzo 2013, n. 1645), senza, cioè, poter far luogo a sostituzione di valutazioni in presenza di interessi “la cui cura è dalla legge espressamente delegata ad un certo organo amministrativo, sicché ammettere che il giudice possa auto-attribuirseli rappresenterebbe quanto meno una violazione delle competenze, se non addirittura del principio di separazione tra i poteri dello Stato” (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 settembre 2012 n. 4872; cfr., inoltre, T.A.R. per il Lazio – sede di Roma, sez. II bis, 11 luglio 2018, n. 7746). Quest’ultimo orientamento appare idoneo a declinare il principio di effettività della tutela giurisdizionale nello specifico settore delle valutazioni tecniche, pur senza trasformare il controllo in un’indebita sovrapposizione del giudizio espresso dall’organo di verifica del corretto esercizio della legalità sostanziale a quello effettuato dal competente plesso amministrativo” (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 8 ottobre 2018, n. 2228).

Alla luce dei richiamati principi non può censurarsi per manifesta illogicità o incongruità la scelta dell’Amministrazione di far riferimento all’analisi geostatistica delle concentrazioni di nitrati nei corpi idrici sotterranei per valutare la distribuzione spaziale delle concentrazioni di nitrati in falda ed individuare le aree effettivamente vulnerate e vulnerabili incluse nei corpi idrici sotterranei, al fine dell’individuazione delle aree con concentrazioni medie superiori ai limiti indicati.

Emerge dagli atti di causa che l’analisi geostatistica ha consentito di ricostruire, all’interno di ciascun corpo idrico sotterraneo preso in considerazione dalla delibera impugnata, la distribuzione delle concentrazioni medie annue di nitrati in falda a partire dai dati rilevati. La formulazione della proposta di perimetrazione delle aree vulnerate e vulnerabili ha tenuto conto dei valori limite fissati dalla Direttiva nitrati nonché delle indicazioni fornite nell’ambito della procedura di infrazione n. 2018/2249 dalla Commissione Europea, ove si individua come critici tutti i punti di monitoraggio delle acque sotterranee che nel reporting 2012-2015 avevano presentato concentrazioni medie annue superiori a quelli consentiti.

Priva di pregio appare la censura per la quale la Regione avrebbe dovuto effettuare una ulteriore istruttoria tecnica e una nuova valutazione critica di quanto attestato da ARPAC, atteso che il coinvolgimento istruttorio di tale Agenzia è giustificato proprio dalla necessità di avvalersi dell’elevato grado di competenze tecnico-scientifiche di cui la stessa dispone.

Per quanto attiene alla lamentata mancata considerazione dei carichi derivanti da scarichi urbani, va, in primo luogo, evidenziato come risulti essere stato condotto un apposito supplemento di istruttoria riferito alle incidenze sui corpi idrici superficiali, come documentato dalla succitata relazione. Tale approfondimento ha evidenziato la loro collocazione in aree “prevalentemente suburbane e non agricole e considerato il tenore trascurabile di nitrati che il monitoraggio quadriennale rivela, questi specchi d’acqua ricadono in ogni caso nelle zone già designate come vulnerabili ai nitrati di origine agricola in considerazione della contaminazione delle acque sotterranee e fluviali”.

Da tali approfondimenti emerge che, benché il contributo da fonte urbana sia presente nei bacini esaminati, i carichi agro-zootecnici rappresentano comunque un’aliquota significativa, confermando così la necessità di sottoporre tali corsi d’acqua a misure di tutela, rivedendo la perimetrazione delle ZVN dei corpi idrici superficiali.

Ciò posto, va altresì evidenziato come al riguardo la Corte di Giustizia UE abbia già in più occasioni affermato che “affinché talune acque siano considerate “inquinate”, ai sensi, in particolare, dell’art. 3, n. 1, della direttiva 91/676, e sia obbligatoria la loro designazione come zone vulnerabili, in applicazione dell’art. 3, n. 2, della detta direttiva, non è necessario che i composti azotati di origine agricola contribuiscano in modo esclusivo all’inquinamento, ma basta che essi vi contribuiscano significativamente” (Corte giustizia UE, sez. III, 8 settembre 2005, n. 416). Difatti, “dal testo di detta disposizione non risulta che gli Stati membri abbiano l’obbligo di determinare con precisione la quota ascrivibile ai nitrati di origine agricola nell’inquinamento delle acque né che la causa di tale inquinamento debba essere esclusivamente agricola….Sarebbe quindi incompatibile con la direttiva limitare l’individuazione delle acque inquinate ai casi nei quali le sorgenti agricole provochino, da sole, una concentrazione di nitrati superiore a 50 mg/l, laddove, nell’ambito del detto procedimento, la direttiva prescrive espressamente che, al momento della fissazione dei programmi di azione previsti dall’art. 5, siano prese in considerazione le quantità rispettive di azoto di origine agricola e di azoto di altra origine…35 Per quanto riguarda la questione se la direttiva si applichi ai soli casi nei quali lo scarico di composti azotati di origine agricola contribuisce significativamente all’inquinamento, essa va risolta in senso affermativo, considerando lo scopo perseguito dal legislatore comunitario, che consiste nel ridurre e nel prevenire l’inquinamento delle acque provocato direttamente o indirettamente dai nitrati di origine agricola, e la portata delle misure a questo scopo previste dall’art. 5” (Corte giustizia UE sez. V, 29 aprile 1999, causa C-293/97).

Pertanto, l’elemento determinante ai fini della tutela ambientale è la concentrazione complessiva di nitrati presenti nei terreni, indipendentemente dalla loro provenienza antropica o agricola, poiché un suolo contaminato in modo rilevante, quand’anche i nitrati ivi presenti abbiano una fonte diversa da quella agricola, non può sopportare un ulteriore carico di azoto proveniente da attività agricola.

D’altronde, è ben noto che “nella materia della tutela ambientale, trova immediata applicabilità anche il principio di precauzione, ogniqualvolta sussistano incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, non occorrendo attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi; tale principio assume carattere di principio generale, di criterio interpretativo del sistema giuridico, e non consente, in sede di bilanciamento fra protezione della salute e libertà economica, di esonerare le imprese dall’adottare a loro spese le indispensabili misure di cautela” (T.A.R. Umbria, 10 novembre 2011, n. 360; cfr. C.d.S. sez. II, 11 maggio 2020 n. 2964).

Ne consegue che la valutazione tecnico-discrezionale al riguardo espressa dalle Amministrazioni non possa essere sostituita da una differente valutazione del giudice amministrativo, anche mediante l’ausilio di un verificatore o consulente tecnico d’ufficio, trattandosi di un giudizio che scaturisce da una ponderazione dei vari interessi coinvolti tra cui l’interesse alla salute pubblica e alla salubrità e tutela dell’ambiente (cfr. ex multis, C.d.S., sez. II, 11 maggio 2020 n. 2964).

Infine, a conferma dell’impianto istruttorio fondativo dell’impugnata delibera, il Collegio non può sottrarsi dal richiamare la costante giurisprudenza unionale, univoca nell’affermare che “l’art. 3, n. 5, della direttiva, concedendo agli Stati membri la possibilità di non definire le acque inquinate e di designare come zona vulnerabile ai nitrati l’intero loro territorio, implica che essi possono stabilire programmi di azione anche se l’inquinamento da nitrati di origine esclusivamente agricola non supera il limite di 50 mg/l. Tuttavia la direttiva non osta a che gli Stati membri, se il loro diritto nazionale lo consente, applichino le disposizioni della medesima nei casi da questa non contemplati. 37 Nel sindacare la legittimità degli atti che individuano le acque inquinate, ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva, così interpretata, i giudici nazionali devono tener conto dell’ampio potere discrezionale di cui dispongono gli Stati membri, potere che è inerente alla complessità delle valutazioni che essi devono compiere in tale contesto. 38 Il diritto comunitario non può, tuttavia, fornire criteri precisi che consentano di verificare in ciascun caso concreto se lo scarico di composti azotati di origine agricola concorra significativamente all’inquinamento. 39 La direttiva può quindi essere applicata dagli Stati membri in maniera diversa. Tuttavia, tale conseguenza non contrasta con la natura della direttiva, giacché questa non persegue l’armonizzazione delle normative nazionali in materia, ma mira a creare gli strumenti necessari perché sia garantita, nella Comunità, la protezione delle acque dall’inquinamento provocato da nitrati di origine agricola. Il legislatore comunitario ha necessariamente accettato tale conseguenza riconoscendo agli Stati membri, nell’allegato I della direttiva, un ampio potere discrezionale nell’individuazione delle acque contemplate dall’art. 3, n. 1. …46 Per quanto riguarda il principio di proporzionalità, va ricordato anzitutto che la direttiva prescrive, all’art. 5, n. 3, che i programmi d’azione da applicare alle zone vulnerabili tengano conto dei dati scientifici e tecnici disponibili, con riferimento agli apporti azotati rispettivamente di origine agricola o di altra origine nonché delle condizioni ambientali nelle regioni interessate. 47 Si deve poi rilevare che le misure obbligatorie adottate nell’ambito di detti programmi devono tener conto delle caratteristiche della zona vulnerabile interessata (allegato III, n. 1, punto 3) e che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento sparsi nelle zone vulnerabili, gli Stati membri possono stabilire quantitativi diversi da quelli previsti se tali quantitativi sono giustificati in base a criteri obiettivi e non compromettono la realizzazione degli scopi della direttiva [allegato III, n. 2, lett. b)]” (Corte giustizia UE sez. V, 29 aprile 1999, causa C-293/97).

Alla luce di tutte le superiori argomentazioni, il ricorso introduttivo dev’essere respinto.

6.- Passando ad esaminare il gravame aggiuntivo, – con cui i ricorrenti hanno impugnato la Delibera n. 585 del 16.12.2020, recante le disposizioni obbligatorie del nuovo Programma d’Azione per le zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola della Regione Campania come approvate con la D.G.R. n. 762 del 05.12.2017, oggetto del gravame introduttivo -, il Collegio deve rilevare l’infondatezza del secondo gruppo di censure, in quanto meramente replicative di quelle originariamente sollevate, essendo il gravame aggiuntivo volto a far valere l’invalidità derivata dell’atto ivi impugnato.

7.- Per contro, come previamente rilevato dal Collegio all’esito dell’udienza del 22 novembre 2022, deve dichiararsi l’inammissibilità delle censure autonomamente sollevate avverso la delibera consequenziale con specifico riferimento al sistema sanzionatorio predisposto dall’amministrazione onde garantire l’attuazione dell’adottato piano, stante l’evidente carenza di un interesse attuale e concreto.

In generale, va ribadito che i regolamenti e gli atti amministrativi generali, cui appartiene l’atto gravato, sono impugnabili in via diretta solo ove contengano disposizioni in grado di ledere in via diretta ed immediata le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari; negli altri casi, come nella specie in cui l’atto si limita a determinare l’apparato sanzionatorio applicabile in relazione alle condotte da accertare come violative delle imposte disposizioni, divengono impugnabili solo quando sorga l’interesse a ricorrere, ovvero assieme all’atto applicativo che produca una lesione effettiva, e non solo ipotetica o futura; l’identificazione dei destinatari di un regolamento o di un atto generale non comporta peraltro ancora che a loro carico sussistano conseguenze sfavorevoli che ne legittimino l’immediata impugnazione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 27 gennaio 2020, n. 665).

In relazione alla tipologia di atto generale in questione, è dunque evidente che l’interesse diretto, concreto ed attuale alla relativa contestazione sorgerà unitamente al conseguente atto applicativo, rispetto alla specifica condotta contestata dall’amministrazione.

7.- Le spese di giudizio, in ragione sia del difficile contemperamento tra gli interessi implicati dall’azione amministrativa sia della generale complessità della materia in esame, possono essere interamente compensate tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui proposti motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, così provvede;

respinge il ricorso introduttivo;

dichiara i proposti motivi aggiunti in parte infondati e in parte inammissibili;

spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2022, tenuta da remoto con modalità Microsoft Teams, con l’intervento dei magistrati

Ida Raiola, Presidente FF

Roberto Michele Palmieri, Consigliere

Fabio Maffei, Primo Referendario, Estensore

Scarica in pdf il testo della sentenza: t.a.r. napoli, sez. 5, sent. n. 7779-2022