RIFIUTI. Abbandono, proprietario incolpevole, responsabilità soggettiva e principio “chi inquina paga”: la mera titolarità sull’area non basta per l’accertamento della responsabilità. Consiglio di Stato n. 4248/2020.

Cons. di Stato, Sez. II, sent. n. 4248 del 2 luglio 2020 (ud. del 30 giugno 2020)

Pres. Taormina, Est. Politi

Rifiuti. Abbandono e responsabilità soggettiva. Bonifica dei siti inquinati.  Oneri di riparazione del danno. Proprietario non responsabile. Principio comunitario “chi inquina paga”. Privilegio speciale immobiliare. Direttiva 2004/35/CE. Art. 191 T.F.U.E. . Artt. 244, 245 e 253 d. lgs. n. 152/2006.

Non è configurabile (in via automatica, come responsabilità oggettiva o per fatto altrui) una responsabilità in capo al proprietario dell’area inquinata e da bonificare per il solo fatto di rivestire tale qualità, ove non si dimostri che questi abbia provocato, o contribuito a provocare, il danno ambientale: dimostrandosi necessario che l’autorità competente accerti il nesso causale tra l’azione d’uno o più agenti individuabili ed il danno ambientale concreto e quantificabile, onde sia possibile imporre loro misure di riparazione, a prescindere dal tipo d’inquinamento di cui trattasi. In altri termini, la mera qualifica di proprietario del suolo non determina, di per sé sola, alcuna responsabilità conseguente al ritrovamento di rifiuti e il loro smaltimento nell’area di appartenenza: ai fini della configurabilità degli obblighi di rimozione e smaltimento, rivelandosi insufficiente la mera titolarità del diritto reale o di godimento sulle aree interessate dall’abbandono dei rifiuti, atteso che il legislatore richiede la sussistenza dell’elemento psicologico, e la necessità dell’accertamento della responsabilità soggettiva, in contraddittorio con i soggetti interessati, da parte degli organi preposti al controllo.

 

Cons. di Stato, Sez. II, sent. n. 4248 del 2 luglio 2020 (ud. del 30 giugno 2020)
N. 04248/2020REG.PROV.COLL.
N. 01298/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1298 del 2011, proposto da
Cer.Pi. s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Novelio Furin, Angelo Di Lorenzo e Salvatore Di Mattia, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, alla Via Giuseppe Avezzana, n. 3;
contro
Comune di Este, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) n. 3513 del 10 dicembre 2009, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 (convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27), il Cons. Roberto Politi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. Con ricorso N.R.G. 2044 del 1999, proposto innanzi al T.A.R. del Veneto, l’odierna appellante Cer.Pi. s.r.l. chiedeva l’annullamento:
– dell’ordinanza del Sindaco di Este, n. 56 del 28 maggio 1999, con la quale le veniva ordinato di presentare, nei tempi e con le procedure previste dall’art. 17 del D.Lgs. 22/1997, un progetto di bonifica per la messa in sicurezza dell’area inquinata;
– dell’ordinanza del Sindaco di Este, n. 81 del 5 luglio 1999, redante proroga del termine per la presentazione dell’anzidetto progetto al 15 ottobre 1999;
– della deliberazione del Consiglio comunale di Este n. 11 del 19 maggio 2005, di approvazione del Piano di caratterizzazione generale dell’area denominata ex Montedison e delle aree adiacenti, nella parte in cui disponeva che, nel caso in cui il responsabile dell’inquinamento o il proprietario del sito non avessero provveduto al ripristino ambientale e/o alla messa in sicurezza permanente, il Comune avrebbe proceduto in via sostitutiva, ponendo le spese inerenti a carico del responsabile dell’inquinamento o del proprietario stesso, nonché nella parte in cui autorizzava il Settore competente del Comune ad indicare nel certificato di destinazione urbanistica, l’onere reale sulle aree inquinate, di cui all’art. 17 del D.Lgs. 22/1997;
– della comunicazione del Dirigente dell’Area III prot. n. 7981 dell’8 aprile 2005, con la quale è stata alla ditta partecipata l’anzidetta deliberazione.
2. A sostegno della proposta impugnativa, ha dedotto dinanzi all’adito T.A.R. Veneto le seguenti doglianze:
– Violazione di legge (artt. 14 e 17 del D.Lgs. 22/1997; art. 23 della Costituzione). Eccesso di potere per perplessità e carenza di potere;
– Ulteriore violazione di legge (art. 38 della legge 142/1990). Eccesso di potere per difetto di presupposto e di motivazione.
Nelle more del giudizio, veniva alla ricorrente comunicata l’approvazione, ad opera del Consiglio comunale di Mestre, del Piano di caratterizzazione per il risanamento dell’Area ex Montedison.
Il relativo deliberato consiliare veniva dalla parte avversato con motivi aggiunti, oltre che per invalidità derivata, anche in ragione dei seguenti vizi propri:
– Incompetenza. Violazione di legge (art. 107 del D.Lgs. 267 del 2000);
– Violazione di legge (art. 17 del D.Lgs. 22/1997). Eccesso di potere per difetto di presupposto ed illogicità manifesta;
– Violazione di legge (artt. 14 e 17 del D.Lgs. 22/1997; art. 23 della Costituzione). Eccesso di potere per perplessità e carenza di potere;
– Ulteriore violazione di legge (art. 38 della legge 142/1990). Eccesso di potere per difetto di presupposto e di motivazione.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale intimata, il Tribunale ha:
– rilevato l’improcedibilità del ricorso introduttivo, “in quanto gli atti con esso impugnati sono stati sostituiti con quelli impugnati col ricorso per motivi aggiunti”;
– ritenuto infondata la censura di incompetenza del Consiglio comunale, atteso che “gli atti di programmazione, tra i quali rientra l’impugnato Piano di caratterizzazione generale dell’area denominata ex Montedison, devono essere assunti dal Consiglio Comunale ex art. 42 D. Lgs. 267/2000”;
– ritenute infondate le censure articolate con il secondo e terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti, “perché nella fattispecie concreta non è stato individuato il soggetto responsabile dell’inquinamento dell’area. Il soggetto indicato dalla ricorrente come responsabile (Veneta mineraria S.p.A.) è stato assolto da ogni responsabilità con la sentenza penale n. 101/04 del 16.5.2004. Pertanto, in base al dominante orientamento giurisprudenziale, l’art. 17, in specie ai commi 10 e 11, del D. Lgs. n. 22/97, prevede che il disinquinamento sia eseguito da parte del Comune, se non provvede il proprietario dell’area, con oneri – restando sconosciuto il soggetto responsabile – a carico del proprietario stesso, come previsto nel Piano impugnato. Sono quindi a suo carico l’onere reale ed il privilegio per il recupero delle spese. Quanto sopra si estende anche alla impugnazione della lettera di comunicazione della suddetta deliberazione consiliare”;
– dichiarato inammissibile il “quarto ed ultimo motivo aggiunto … perché riferibile solo agli atti impugnati col ricorso introduttivo, dichiarato improcedibile”.
4. Avverso tale pronuncia, Cer.Pi. s.r.l., in liquidazione, ha interposto appello, notificato il 25 gennaio 2011 e depositato il successivo 21 febbraio, lamentando che avrebbe errato il Tribunale nel dichiarare l’improcedibilità del ricorso introduttivo (e, derivativamente, l’inammissibilità del quarto profilo di censura di cui ai motivi aggiunti), atteso che il deliberato consiliare n. 11 del 2005, nell’approvare il Piano di caratterizzazione dell’area ex Montedison, avrebbe confermato (ma non sostituto, né superato) la precedente ordinanza sindacale n. 56 del 1999, assumendola a presupposto.
Inoltre, nel rilevare d’ufficio la questione circa l’improcedibilità del ricorso introduttivo, il Tribunale di prime cure avrebbe omesso di dare alle parti avviso, con vulnerazione del principio di effettività del contraddittorio (ora, sancito dall’art. 73, comma 3, c.p.a.).
Quanto al merito della controversia, nel riproporre gli argomenti di doglianza già articolati in primo grado, l’appellante rappresenta la propria estraneità – in quanto attuale proprietaria dell’area – alle condotte che hanno dato luogo all’inquinamento del sito (ascrivibili a Veneta Mineraria ed a Montedison), per l’effetto escludendo che su di essa incomba l’obbligo di presentare un progetto di bonifica della stessa.
Se, con riferimento alle determinazioni gravate con l’atto introduttivo del giudizio di prime cure, non ricorrerebbero i presupposti per l’adozione, da parte del Sindaco, di provvedimento contingibile e urgente, quanto alle censure dedotte con motivi aggiunti, la parte ribadisce la già esposta incompetenza del Consiglio comunale a porre gli oneri della bonifica a carico del proprietario dell’area; escludendo, sul punto, che – come, invece, sostenuto nell’appellata sentenza – il Piano di caratterizzazione sia qualificabile quale atto di programmazione.
Avrebbe, poi, errato il Tribunale nel ritenere che l’esclusa responsabilità, in sede penale, del soggetto dall’odierna appellante indicato quale responsabile dell’inquinamento, possa condurre a porre a carico di Cer.Pi. gli oneri connessi alla bonifica del sito.
Conclude, pertanto, l’appellante per l’accoglimento dell’appello e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
5. L’appellata Amministrazione comunale di Este non si è costituita in giudizio.
6. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 30 giugno 2020.

DIRITTO
1. Contesta, in primo luogo, parte appellante la gravata pronunzia del T.A.R. Veneto, nella parte in cui è stata dichiarata l’improcedibilità del ricorso introduttivo (con il quale è stata impugnata l’ordinanza sindacale 56 del 28 maggio 1999, recante ordine di presentazione di progetto di bonifica dell’Area ex Montedison), in ragione della sopravvenienza della deliberazione consiliare n. 11 del 19 gennaio 2005 (recante approvazione del Piano di caratterizzazione dell’Area stessa).
L’atto da ultimo indicato (gravato da Cer.Pi. con motivi aggiunti) avrebbe, a dire del giudice di prime cure, sostituto la precedente ordinanza: per l’effetto, assumendosi il venir meno dell’interesse alla delibazione delle doglianze avverso quest’ultima proposte.
1.1 Se è vero che l’intervento, in via sostitutiva, dell’Amministrazione comunale trae fondamento dall’inottemperanza prestata, da parte dei soggetti destinatari, alle precedenti ordinanze con le quali veniva ordinata la bonifica dell’area, deve tuttavia escludersi che, in ragione dell’attualità degli obblighi imposti con l’approvazione del suindicato Piano di caratterizzazione, sia ravvisabile, in capo all’odierna appellante, alcun perdurante interesse alla trattazione dell’atto introduttivo; e ciò in quanto, quand’anche l’ordinanza con esso gravata venga dichiarata illegittima, comunque il Piano, come sopra successivamente approvato, manterrebbe attitudine alla produzione di effetti giuridicamente rilevanti.
Il richiamo, in esso operato, ai precedenti ordini di bonifica (rimasti inadempiuti) integra l’evocazione di un mero antecedente logico ai fini della caratterizzazione dell’area.
1.2 Del resto, il Piano di caratterizzazione può (non necessariamente deve) trovare il proprio fondamento logico-giuridico nell’ordine di bonifica dello stato dei luoghi.
Come stabilito nell’Allegato 4 al Regolamento di cui D.M. 25 ottobre 1999 n. 471 (recante “criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”; operante, ratione temporis, quanto alla vicenda in esame, il cui verificarsi è anteriore all’entrata in vigore del Codice dell’Ambiente di cui al D.Lgs. 152/2006), il Progetto di bonifica e ripristino ambientale, contenente le eventuali misure di sicurezza, è articolato secondo i seguenti tre livelli di successivi approfondimenti tecnici:
I. Piano della caratterizzazione
II. Progetto preliminare
III. Progetto definitivo.
Il Piano della caratterizzazione, in particolare, “descrive dettagliatamente il sito e tutte le attività che si sono svolte o che ancora si svolgono; individua le correlazioni tra le attività svolte e tipo, localizzazione ed estensione della possibile contaminazione; descrive le caratteristiche delle componenti ambientali sia all’interno del sito che nell’area da questo influenzata; descrive le condizioni necessarie alla protezione ambientale e alla tutela della salute pubblica; presenta un piano delle indagini da attuare per definire tipo, grado ed estensione dell’inquinamento.
Si articola nelle seguenti sezioni:
1. Raccolta e sistematizzazione dei dati esistenti
2. Caratterizzazione del sito e formulazione preliminare del Modello Concettuale
3. Piano di investigazione iniziale”.
Può, quindi, fondatamente sostenersi (sempre, si ripete, nel quadro normativo precedente all’entrata in vigore del Codice dell’Ambiente) che lo scopo del Piano di caratterizzazione sia quello di definire l’assetto geologico e idrogeologico, verificare la presenza o meno di contaminazione nei suoli e nelle acque (superficiali e sotterranee) e sviluppare un modello concettuale del sito.
Tale strumento viene, per l’effetto, ad integrare la presenza di uno snodo procedimentale – evidentemente preordinato all’adozione del piano di bonifica – volto al puntuale accertamento della realtà del sito, al fine di meglio – e più compiutamente – orientare gli interventi propri della fase progettuale (preliminare e definitiva) che connota la strutturazione del piano.
Ne deriva che la scelta dell’Amministrazione comunale di approvare il Piano di caratterizzazione, lungi dall’integrare mero sviluppo attuativo del precedente ordine di presentazione del piano di bonifica, è, piuttosto, configurabile quale decisione di informare il concreto contenuto di quest’ultimo al previo svolgimento di dettagliate ed analitiche indagini (dall’applicabile normativa, come si è visto, demandate appunto alla caratterizzazione del sito), al fine di individuare i più corretti ed incisivi interventi preordinati a sanarne le condizioni.
1.3 Va, per l’effetto, confermata sul punto la decisione di prime cure, dal momento che l’adozione del suindicato Piano di caratterizzazione rivela valenza integralmente sostitutiva del precedente ordine di bonifica dell’area, con riveniente sopravvenuta carenza di interesse, in capo all’originaria parte ricorrente, alla delibazione delle doglianze avverso quest’ultimo articolate con l’atto introduttivo del giudizio dinanzi al T.A.R. Veneto.
2. Assume ulteriormente parte appellante la propria estraneità a condotte suscettibili di aver determinato l’inquinamento del sito.
Rappresenta, al riguardo, che il deposito di sostanze inquinanti (ceneri di pirite) nell’area di proprietà sarebbe collocabile in epoca risalente, e riconducibile alle attività in essa condotte da Veneta Mineraria e da Montedison.
E contesta, conseguentemente, l’applicazione nella fattispecie data dall’Amministrazione alle disposizioni di cui agli artt. 14 e 17 del D.Lgs. 22 del 1997, nella parte in cui l’obbligo di presentazione del progetto di bonifica viene indirizzato al proprietario dell’area, piuttosto che al soggetto responsabile dell’inquinamento della stessa.
Tali considerazioni non meritano condivisione.
2.1 Va, in primo luogo, osservato come il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (recante il Codice dell’ambiente), abbia confermato la scelta (già presente nella pregressa disciplina della materia contenuta nel citato art. 17 del D.Lgs. 22 del 1997) afferente l’allocazione del titolo di responsabilità e delle conseguenze sul piano degli oneri di riparazione del danno, nel senso della responsabilità solo patrimoniale del proprietario non responsabile, salvi gli oneri relativi agli interventi di urgenza e salva la facoltà di eseguire spontaneamente gli interventi di bonifica ambientale.
Come in giurisprudenza acquisito, non è configurabile (in via automatica, come responsabilità oggettiva o per fatto altrui) una responsabilità in capo al proprietario dell’area inquinata e da bonificare per il solo fatto di rivestire tale qualità, ove non si dimostri che questi abbia provocato, o contribuito a provocare, il danno ambientale: dimostrandosi necessario che l’autorità competente accerti il nesso causale tra l’azione d’uno o più agenti individuabili ed il danno ambientale concreto e quantificabile, onde sia possibile imporre loro misure di riparazione, a prescindere dal tipo d’inquinamento di cui trattasi (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21 marzo 2017, n. 1260).
In altri termini, la mera qualifica di proprietario del suolo non determina, di per sé sola, alcuna responsabilità conseguente al ritrovamento di rifiuti e il loro smaltimento nell’area di appartenenza: ai fini della configurabilità degli obblighi di rimozione e smaltimento, rivelandosi insufficiente la mera titolarità del diritto reale o di godimento sulle aree interessate dall’abbandono dei rifiuti, atteso che il legislatore richiede la sussistenza dell’elemento psicologico, e la necessità dell’accertamento della responsabilità soggettiva, in contraddittorio con i soggetti interessati, da parte degli organi preposti al controllo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 9 maggio 2018, n. 2786).
2.2 Dalle disposizioni contenute nel D.Lgs. 152/2006 (così come da quelle, previgenti ed operanti quanto alla dedotta vicenda, di cui al D.Lgs. 22 del 1997) possono ricavarsi le seguenti regole:
– gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento;
– ove il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultino necessari sono adottati dalla P.A. competente;
– le spese sostenute per effettuare tali interventi potranno essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero quella di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), a mezzo di azione in rivalsa verso il proprietario, che risponderà nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi;
– a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare.
La scelta del Legislatore nazionale, desumibile dall’applicazione delle richiamate regole, è stata adottata in applicazione, nel nostro ordinamento, del principio comunitario “chi inquina paga”, ormai confluito in una specifica disposizione (art. 191) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nel quale rientra come uno degli obiettivi principali sui quali si basa l’azione europea in materia ambientale ed in attuazione della direttiva 2004/35/CE.
2.3 Il vigente sistema normativo, come precedentemente sottolineato, riproduce lo schema dispositivo già contenuto nell’art. 17 del D.Lgs. n. 22 del 1997; ed è stato sottoposto a critica da una parte della dottrina e della giurisprudenza amministrativa, che vi ha ravvisato dei possibili profili di incompatibilità con i principi comunitari di precauzione e di prevenzione.
Di tali considerazioni critiche rispetto all’impianto normativo recato dal Codice dell’ambiente, si è fatta carico l’Adunanza plenaria di questo Consiglio; che, con ordinanza 25 settembre 2013 n. 21, ha rimesso alla Corte di Giustizia UE la seguente questione interpretativa:
– “se i princìpi dell’Unione europea in materia ambientale sanciti dall’art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla direttiva 2004/35/U.E. del 21 aprile 2004 (articoli 1 ed 8 n. 3; 13° e 24° considerando) – in particolare, il principio per cui “chi inquina, paga”, il principio di precauzione, il principio dell’azione preventiva, il principio, della correzione prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente – ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244, 245 e 253 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che, in caso di accertata contaminazione di un sito e d’impossibilità d’individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità amministrativa d’imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica”.
Con sentenza del 4 marzo 2015 (resa nella causa C-534/13), la Corte di Lussemburgo ha confermato il proprio orientamento (già espresso con sentenza 9 marzo 2010, C-378/08), non diverso da quello preponderante emerso nell’ordinamento italiano e richiamato dalla stessa ordinanza di rinvio dell’Adunanza plenaria, secondo cui “la direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale (…) la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi”.
2.4 Per quanto la sentenza della Corte di Giustizia appena citata si riferisse alla legittimità “comunitaria” delle citate disposizioni del Codice dell’ambiente, nondimeno i principi ivi espressi sono utili a chiarire, attraverso il principio dell’interpretazione conforme, i contenuti dell’art. 17 del citato D.Lgs. 22 del 1997, applicabile ratione temporis alla fattispecie in oggetto, ed ispirato allo stesso principio comunitario del “chi inquina paga”.
Del resto, la stessa sentenza della Corte di Lussemburgo ha ricordato come il diritto dell’Unione non sia di ostacolo ad una normativa nazionale che non consenta di imporre misure riparatorie al proprietario del sito non responsabile dell’inquinamento, di tal che la pronuncia non riguarda soltanto le disposizioni particolari del Codice dell’ambiente applicabili in quel giudizio (che vengono utilizzate in quanto poste a base della controversia davanti al giudice a quo), ma si riferisce evidentemente a tutte le disposizioni nazionali, antecedenti o susseguenti a quelle scrutinate, che siano ispirate al medesimo criterio di riparto della responsabilità e degli oneri consequenziali tra il proprietario del sito inquinato ed il responsabile dell’inquinamento.
Ciò detto, vale osservare che, nel caso di specie, non potendo determinarsi in capo alla società appellante la responsabilità dell’inquinamento del sito (risalente, come detto, ad epoca nella quale quest’ultima non vantava diritti dominicali sull’area), la stessa società:
– se non è tenuta (ma è meramente facoltizzata) ad eseguire la caratterizzazione dell’area;
– sarà tuttavia, in qualità di proprietaria dell’area, responsabile sul piano patrimoniale; ed a tale titolo sarà tenuta, ove occorra, al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito determinato dopo l’esecuzione di tali interventi, secondo quanto desumibile dal contenuto del citato art. 17 del D.Lgs. 22 del 1997.
2.5 Quanto sopra esposto conduce ad escludere che la deliberazione consiliare n. 11 del 2005 sia illegittima, per come dalla parte appellante sostenuto.
In essa, di seguito all’approvazione del Piano di caratterizzazione dell’Area ex Montedison, viene stabilito che, in difetto di ripristino ambientale o messa in sicurezza da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero del proprietario dell’area, a tanto l’Amministrazione avrebbe provveduto d’ufficio (ed in via sostitutiva), con conseguente addebito degli oneri a tal fine incontrati a carico di quest’ultimo.
Se la diretta attuazione delle misure ripristinatorie può sempre essere realizzata anche dal soggetto (proprietario dell’area) pur non responsabile dell’inquinamento (laddove tale intervento possa rivelarsi, in ipotesi, economicamente più vantaggioso, rispetto all’assoggettamento dell’area alle misure di garanzie come sopra previste e preordinate ad assicurare che gli oneri non gravino a titolo definitivo sull’Amministrazione procedente in via sostitutiva), si rivela corretta la previsione, contenuta nel deliberato sottoposto a critica, dell’assoggettamento dell’attuale titolare dell’area alle conseguenze di carattere patrimoniale rivenienti dall’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino.
2.6 Né, altrimenti, la mancata individuabilità del responsabile dell’abuso (come puntualizzato nella pronunzia appellata, il giudizio penale svoltosi nei confronti di Veneta mineraria S.p.A., soggetto dalla stessa Cer.Pi. indicato come responsabile, si è concluso con pronunzia di assoluzione da ogni responsabilità) rivela concludenza al fine di escludere che, a carico dell’appellante, vengano legittimamente posti (e presidiati dalle garanzie di legge) gli oneri per le operazioni di bonifica.
L’esigenza di manleva della procedente Amministrazione – appunto, presidiata da una disciplina (confermata nel passaggio dal testo normativo di cui al D.Lgs. del 1997 all’attuale Codice dell’Ambiente; e la cui legittimità ha trovato, e trova, costante conferma nella giurisprudenza, come precedentemente osservato) – non preclude infatti al soggetto a carico del quale, in ragione della titolarità di posizione dominicale sull’area, vengano poste le conseguenze economiche della bonifica, di intentare, avverso il responsabile dell’inquinamento, le eventuali azioni di rivalsa suscettibili di consentire una finale, e corretta, allocazione degli oneri.
3. Quantunque, come precedentemente osservato, le doglianze formulate con l’atto introduttivo del giudizio di prime cure siano improcedibili, intende tuttavia il Collegio soffermarsi sulla sostenuta assenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri contingibili ed urgenti (che parte appellante con il secondo motivo articolato tale atto, asserisce inficiare l’ordinanza sindacale gravata in prime cure).
Ciò non soltanto per una finalità di mera completezza nella disamina del proposto thema decidendum, ma anche nel quadro di una necessaria puntualizzazione delle attribuzioni in subiecta materia ripartite nell’ambito dell’Amministrazione comunale.
Va ribadito, sul punto, come, tenuto conto del quadro normativo applicabile all’epoca dei fatti, l’ordinanza contingibile e urgente, con cui il Sindaco imponga al proprietario di un’area di risolvere una situazione di degrado che attenti alla salute pubblica, non rivesta carattere sanzionatorio (di tal che non è dipendente dall’individuazione della responsabilità del proprietario in relazione alla situazione inquinante), ma solo ripristinatorio, per essere diretta esclusivamente alla rimozione dello stato di pericolo e prevenire danni alla salute pubblica (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 7 settembre 2007, n. 4719).
Conseguentemente, il provvedimento incontra legittimo destinatario nel titolare dell’area (ossia, in colui che si trovi con questa in rapporto tale da consentirgli di eliminare la riscontrata situazione di pericolo), ancorché tale situazione non possa essergli imputata, trattandosi del soggetto avente la concreta disponibilità (e titolarità) dei luoghi (si confronti, in argomento, Cons. Stato, Sez. V, 16 novembre 2005, n. 6406, secondo cui l’ordinanza contingibile e urgente può essere legittimamente indirizzata all’attuale proprietario dell’area, cioè a colui che si trova con quest’ultima in un rapporto tale da consentirgli di eseguire gli interventi ritenuti necessari al fine di eliminare la riscontrata situazione di pericolo, ancorché quest’ultima sia da imputarsi ad altro soggetto o al precedente proprietario).
Quanto alla sussistenza dei presupposti della contingibilità ed urgenza, vanno rammentati:
– l’art. 117 del D.Lgs. 112 del 1998, a mente del quale “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, le ordinanza contingibili e urgenti sono adottate dal Sindaco, quale rappresentante della comunità locale”;
– e l’art. 217 del R.D. 1265 del 1934 (Testo Unico delle leggi sanitarie), secondo cui, in presenza di emissioni provenienti da manifatture o fabbriche pericolose o dannose per la salute pubblica, il Sindaco “prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno e il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficienza”.
Se, ai fini della legittimità del provvedimento, è necessario che esso dia conto delle ragioni che hanno determinato l’Amministrazione ad adottarlo, all’esito di adeguata istruttoria, anche con riferimento all’impossibilità di ricorrere agli ordinari rimedi di legge, deve allora escludersi che la gravata ordinanza riveli profili suscettibili di consentire un positivo apprezzamento delle doglianze avverso essa proposte, atteso che la conclamata presenza, in situ, di sostanze suscettibili di arrecare compromissione alla salute pubblica – impregiudicata, si ripete, l’individuazione della responsabilità della contaminazione dell’area – integra idoneo presupposto per l’esercizio dei poteri di urgenza, in ragione della indifferibilità del provvedere.
4. Sempre con riferimento alla distribuzione delle attribuzioni al fine dell’adozione degli atti di spettanza comunale, va esclusa la fondatezza della censura con la quale è stata denunciata l’incompetenza del Consiglio comunale, quanto dell’approvazione del Piano di caratterizzazione, nella parte in cui gli oneri derivanti dall’attuazione degli interventi in esso contemplati vengono posti a carico dell’appellante in qualità di proprietaria dell’area.
Se è incontroversa la connotazione, in termine di atto di programmazione, del Piano di che trattasi (come correttamente rilevato dal giudice di primo grado), va soggiunto come l’individuazione del titolare dell’area quale soggetto a carico del quale vanno posti i relativi oneri discenda direttamente dalla legge: per l’effetto, dovendosi escludere che il gravato deliberato consiliare, a tale riguardo, riveli l’esercizio di poteri gestori demandati alla funzione dirigenziale.
5. La riscontrata infondatezza delle doglianze articolate con il presente mezzo di tutela, ne impone la reiezione.
Non si fa luogo a pronunzia sulle spese di lite in considerazione della mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con Sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 30 giugno 2020, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Roberto Politi, Consigliere, Estensore

Scarica in pdf il testo della sentenza: cons. di stato, sez. 2, sent. n. 4248-2020