RIFIUTI: spetta esclusivamente allo Stato stabilire cosa non è rifiuto, le Regioni non hanno poteri di definizione. Consiglio di Stato n. 1229/2018.

Cons. di Stato, Sez. IV, sent. n. 1229 del 28 febbraio 2018 (ud. del 21 settembre 2017)

Pres. Patroni Griffi, Est. Forlenza

Rifiuti. End of Waste. Individuazione delle tipologie non costituenti rifiuti. Compentenza esclusiva dello Stato. Ministero dell’Ambiente. Diritto amministrativo. Consiglio di Stato. Direttiva n. 2008/98/CE. Art. 184-ter d. lgs. n. 152/2006.

La disciplina della cessazione della qualifica di “rifiuto” è riservata alla normativa comunitaria, nondimeno questa ha consentito che, in assenza di proprie previsioni, gli Stati membri possano valutare caso per caso tale possibile cessazione – si ripete, solo in assenza di indicazioni comunitarie e, dunque, non in contrasto con le stesse – dandone informazione alla Commissione.

Il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la Direttiva, lo “Stato”, che assume anche obbligo di interlocuzione con la Commissione.

La stessa Direttiva UE, quindi, non riconosce il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro.

Ciò è quanto ha fatto il legislatore statale, attribuendo tale potere al Ministero dell’Ambiente, ed anzi fornendo una lettura del “caso per caso”, non già riferito al singolo materiale da esaminare ed (eventualmente) declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come “tipologia” di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria.

COMMENTO:

La Competenza in materia di determinazione degli End of Waste è esclusivamente dello Stato. Il Consiglio di Stato ribalta infatti una sentenza del TAR Veneto statuendo che, alla luce della corretta applicazione delle normative comunitarie e dell’art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione, che attribuisce potestà legislativa esclusiva per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, allo Stato, le Regioni non possono statuire su tale tematica, essendo loro preclusa qualsiasi determinazione in tema di criteri definitori per la cessazione della qualifica di rifiuto ai sensi dell’art. 184-ter del d. lgs. n. 152/2006.

E’ peraltro pur vero che l’Unione europea ha consentito agli Stati membri, in assenza di proprie previsioni, di poter valutare “caso per caso” i criteri di cessazione dalla qualifica di rifiuto, dandone informazione alla Commissione; ma tale prerogativa può essere esercitata solo tramite legislazione statale o decreto ministeriale, senza possibilità di interpretare la Direttiva 2008/98/CE nel senso di consentire anche alle altre articolazioni dello Stato membro (e quindi alle Regioni) il potere definitorio degli EoW.

E’ stato obiettato che l’art. 9-bis del d.l. n. 172/2008, convertito in Legge n. 210/2008, prevedesse alla sua lett. a) quanto segue:

“fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 181-bis, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le caratteristiche dei materiali di cui al citato comma 2 si considerano altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59”.

Anche tralasciando il fatto che l’art. 181-bis è stato abrogato, e che sia stato introdotto l’art. 184-ter nel d. lgs. n. 152/2006, giova precisare, secondo il COnsiglio di Stato, che la disposizione citata prende in considerazione i materiali (di cui al co. 2 dell’art. 181-bis) per dichiararli “conformi” alle autorizzazioni già rilasciate (in linea con il dichiarato carattere emergenziale e transitorio della disposizione medesima), ma non attribuisce un potere di declassificazione ex novo in sede di rilascio di nuove autorizzazioni; né, d’altra parte, un potere così conformato potrebbe essere ritenuto conforme al quadro normativo di livello comunitario e costituzionale.

A margine – ma non tanto – di queste considerazioni ne deriva anche l’ulteriore conseguenza che tale statuizione pone nel nulla la recente Deliberazione 7 febbraio 2018 n. 120 della Regione Veneto, nella quale erano stati indicati indirizzi operativi “caso per caso” per la determinazione degli End of Waste ai sensi dell’art. 184-ter d. lgs. n. 152/2006. Con buona pace ulteriore della circolare 1° luglio 2016 dello stesso Ministero dell’Ambiente, la quale aveva determinato che esistessero 3 modalità gerarchicamente ordinate di determinazione degli EoW a seconda della sussistenza o meno di provvedimenti comunitari o nazionali.

Leggi qui:

END OF WASTE : i chiarimenti della deliberazione giunta regionale Veneto n. 120 del 7 febbraio 2018

Cons. di Stato, Sez. IV, sent. n. 1229 del 28 febbraio 2018 (ud. del 21 settembre 2017)

N. 01229/2018REG.PROV.COLL.

N. 01976/2017 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1976 del 2017, proposto da:
Regione del Veneto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Manzi, Emanuele Mio, Ezio Zanon, Cristina Zampieri, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via F. Confalonieri, 5;

contro

Contarina S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Lorenzo Lamberti, Francesco Fonderico, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Fari’ in Roma, via Vittorio Veneto, 108;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. VENETO – SEZ. III n. 01422/2016, resa tra le parti, concernente INQUINAMENTO: AUTORIZZAZIONE IMPIANTO PER IL TRATTAMENTO ED IL RECUPERO DI RIFIUTI URBANI E ASSIMILABILI

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Contarina S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 settembre 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati P. Caruso su delega di A. Manzi, F. Fonderico;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.Con l’appello in esame, la Regione Veneto impugna la sentenza 28 dicembre 2016 n. 1422, con la quale il TAR per il Veneto, sez. III, in accoglimento del ricorso proposto dalla società Contarina s.p.a., ha annullato la deliberazione della Giunta Regionale del Veneto 16 agosto 2016 n. 1319.

Con tale atto la Giunta Regionale, recependo il parere reso dalla Commissione tecnica regionale, sez. ambiente, aveva respinto la richiesta di qualificare le attività svolte in impianto come attività di recupero “R3”, finalizzate alla produzione di materie prime secondarie (MPS), e le ha invece classificate come “R13: messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12” e “R12: scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R! a R11”.

Tale decisione riguarda l’attività della società Contarina, che era già stata autorizzata ad una attività sperimentale per il trattamento ed il recupero di rifiuti urbani e assimilabili, costituiti da pannolini, pannoloni ed assorbenti igienici, per un periodo di due anni.

In sede di autorizzazione, le due frazioni recuperate dal processo di sanificazione dei pannolini (1.frazione composta di cellulosa in fiocchi; 2.frazione composta di plastica in foglia) sono state in origine classificate come rifiuti con codice CER.

La società ha quindi presentato domanda di modifica dell’autorizzazione al fine di ottenere la classificazione delle frazioni riciclabili, recuperate attraverso il processo di trattamento, come materie prime secondarie.

La Commissione tecnica, in sede di parere – con particolare riferimento alla richiesta di classificare le operazioni di recupero oggetto di sperimentazione “R3” con conseguente cessazione della qualifica di “rifiuto” – ha rilevato che l’art. 184-ter d. lgs. n. 152/2006 “non contempla la discrezionalità per le Autorità competenti al rilascio dell’autorizzazione, riguardo la definizione di criteri specifici per la cessazione della qualifica di rifiuto, ad oggi disciplinati solo da precisi regolamenti comunitari e da decreti del Ministero dell’Ambiente”.

Tale parere è stato recepito dalla impugnata deliberazione della Giunta Regionale, la quale ha autorizzato la società ad effettuare le modifiche all’impianto sperimentale e ad esercitate l’attività nel rispetto delle prescrizioni contenute nel parere, ma senza modificare la classificazione delle operazioni di recupero consentite all’impianto, e cioè da R12 e R13 a R3.

1.1.La sentenza impugnata afferma, in particolare:

– “la mancanza di regolamenti comunitari o di decreti ministeriali relativi alle procedure di recupero di determinati rifiuti, lungi dal precludere sic et simpliciter il potere dell’Autorità competente di valutare comunque, caso per caso, l’eventuale rilascio (nel rispetto delle quattro condizioni previste dall’art. 184-ter, co. 1, d. lgs. n. 152/2006) delle relative autorizzazioni, comporta al contrario il potere e il dovere appunto di procedere ad una analisi, ad una valutazione e ad una decisione casistica, rilasciando l’autorizzazione integrata ambientale qualora la sostanza che si ottiene dal trattamento e dal recupero del rifiuto soddisfi le quattro condizioni”;

– anche alla luce della circolare del Ministero dell’Ambiente 1 luglio 2016, “le Regioni possono definire criteri EoW, in sede di rilascio delle autorizzazioni di cui agli artt. 208, 209 e 211. . . sempre che, per la stessa tipologia di rifiuto, tali criteri non siano stati definiti con regolamento comunitario o con un decreto ministeriale, emanato ai sensi del co. 2 del citato art. 184-ter”;

– nel provvedimento della Giunta Regionale e nel parere “non viene affatto chiarito se, ed eventualmente in che termini, la disciplina contenuta nella suddetta decretazione consenta o meno di qualificare le attività svolte nell’impianto in oggetto come attività di recupero R3 per la produzione di materie prime secondarie”.

1.2.Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) erroneità e ingiustizia della sentenza appellata; violazione ed errata interpretazione art. 184-ter, co. 1 e 2, d. lgs. n. 152/2006; errata interpretazione della normativa di settore con conseguente errata individuazione della competenza in capo alle Regioni di definire criteri EoW, in sede di rilascio delle autorizzazioni; ciò in quanto, in base all’art. 6 della Direttiva n. 98/2008, in mancanza di provvedimenti comunitari, sono gli Stati membri a definire i criteri EoW, limitatamente al “caso per caso”, con la supervisione della Commissione Europea; ed in senso conforme dispone l’art. 184-ter, co. 2, cit., che prevede che quanto innanzi esposto avvenga “attraverso uno o più decreti del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare”;

b) erroneità della sentenza; violazione art. 117 Cost. e 196 del Testo Unico ambiente; poiché “nessuna norma attribuisce alle Regioni potestà legislativa in materia di EoW che, pertanto, rimane attratta nella competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117 Cost.”; peraltro, “in assenza di un provvedimento di armonizzazione di livello statale, deferendo alle Regioni la potestà decisionale sui criteri di EoW non verrebbe garantito in modo uniforme sul territorio nazionale lo stesso livello di tutela per l’ambiente e la salute umana”;

c) erroneità ed ingiustizia della sentenza per mancata valutazione dell’istruttoria espletata; poiché la sentenza non ha tenuto conto dell’attività svolta e della necessità di ulteriori informazioni da parte della ditta.

1.3.Si è costituita in giudizio Contarina s.p.a., che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con riferimento ai primi due motivi proposti (sub lett. a) e b) dell’esposizione in fatto).

2.1. L’art. 6 della direttiva 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE, rubricato “cessazione della qualifica di rifiuto”, con particolare riguardo ai casi di cessazione non previsti dalla normativa UE, prevede (co. 4):

“Se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile. Essi notificano tali decisioni alla Commissione in conformità della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, ove quest’ultima lo imponga”.

La Direttiva prevede, dunque, che, nelle sole ipotesi in cui difettino indicazioni a livello comunitario, è possibile una valutazione “caso per caso” dello Stato membro, con notifica della decisione assunta alla Commissione.

A sua volta, l’art. 184-ter d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152, per quel che interessa nella presente sede, prevede in particolare:

“1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

2. L’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto.

3. Nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l’art. 9-bis, lett. a) e b), del decreto legge 6 novembre 2008 n. 172, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell’ambiente 28 giugno 1999, prot. n. 3402/V/MIN si applica fino a sei mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione”.

L’art. 184-ter innanzi riportato, nel dare attuazione a quanto previsto dalla direttiva n. 98 cit., prevede dunque – per ciò che concerne la possibile cessazione “caso per caso” della qualifica di rifiuto in assenza di criteri comunitari – sia una disciplina “a regime”, sia una disciplina “transitoria”:

– quanto alla prima, viene riservata allo Stato, e precisamente a regolamenti del Ministero dell’Ambiente, l’individuazione di “specifiche tipologie di rifiuto”, prevedendosi altresì “se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti” e considerando “i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto”;

– quanto alla seconda, viene riaffermata la vigenza di una pluralità di disposizioni (di rango diverso), nelle more dell’adozione dei regolamenti ministeriali.

2.2. Alla luce delle disposizioni innanzi riportate, può, dunque, affermarsi che se, in linea generale, la disciplina della cessazione della qualifica di “rifiuto” è riservata alla normativa comunitaria, nondimeno questa ha consentito che, in assenza di proprie previsioni, gli Stati membri possano valutare caso per caso tale possibile cessazione – si ripete, solo in assenza di indicazioni comunitarie e, dunque, non in contrasto con le stesse – dandone informazione alla Commissione.

Il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la Direttiva, lo “Stato”, che assume anche obbligo di interlocuzione con la Commissione.

La stessa Direttiva UE, quindi, non riconosce il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro.

Ciò è quanto ha fatto il legislatore statale, attribuendo tale potere al Ministero dell’Ambiente, ed anzi fornendo una lettura del “caso per caso”, non già riferito al singolo materiale da esaminare ed (eventualmente) declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come “tipologia” di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria.

D’altra parte, la previsione della competenza statale in materia di declassificazione “caso per caso” del rifiuto appare del tutto coerente, oltre che con la citata Direttiva UE, anche con l’art. 117, comma secondo, lett. s) della Costituzione che, come è noto, attribuisce alla potestà legislativa esclusiva (e, dunque, anche alla potestà regolamentare statale), la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

E’ del tutto evidente che, laddove si consentisse ad ogni singola Regione, di definire, in assenza di normativa UE, cosa è da intendersi o meno come rifiuto, ne risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni.

2.3. Alla luce di quanto esposto, non può essere condivisa la sentenza impugnata laddove essa afferma che “la mancanza di regolamenti comunitari o di decreti ministeriali relativi alle procedure di recupero di determinati rifiuti, lungi dal precludere sic et simpliciter il potere dell’Autorità competente di valutare comunque, caso per caso, l’eventuale rilascio (nel rispetto delle quattro condizioni previste dall’art. 184-ter, co. 1, d. lgs. n. 152/2006) delle relative autorizzazioni, comporta al contrario il potere e il dovere appunto di procedere ad una analisi, ad una valutazione e ad una decisione casistica, rilasciando l’autorizzazione integrata ambientale qualora la sostanza che si ottiene dal trattamento e dal recupero del rifiuto soddisfi le quattro condizioni”.

Né può essere condiviso quanto sostenuto dalla società appellata, secondo la quale la Direttiva UE n. 98/2008, andrebbe interpretata nel senso di consentire “allo Stato membro, in tutte le sue articolazioni, incluse le Regioni (a ciò delegate dallo stesso Stato membro) e gli enti eventualmente delegati dalle stesse Regioni per le procedure di autorizzazione” di stabilire i criteri EoW (cioè i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto (memoria del 7 aprile 2017, pag. 13).

Ed infatti, la stessa “Guida” all’interpretazione della Direttiva – citata dalla appellata – prevede che “gli Stati membri possono decidere a livello nazionale se certi rifiuti possono cessare di essere rifiuti”, il che, lungi dall’intendersi come la possibilità di individuare qualsiasi Ente (anche non statale) come attributario della competenza, deve essere invece inteso – in modo più coerente e ragionevole – come un riferimento all’ambito di efficacia della declassificazione, la quale deve intervenire, appunto, a livello nazionale, cioè per tutto l’ambito territoriale dello Stato membro.

Fermo quanto ora affermato, occorre comunque osservare che, in ogni caso, la scelta fatta dal legislatore nazionale con l’art. 184-ter cit., in legittimo esercizio di potestà legislativa esclusiva, è stata quella di individuare nel regolamento ministeriale l’atto idoneo ad intervenire ai fini della declassificazione “caso per caso”, il che – ove anche si volesse sostenere una interpretazione diversa della Direttiva n. 98/2008 – rende superflua ogni ulteriore considerazione.

Né assume alcun rilievo la circostanza, sottolineata dalla società appellata, secondo la quale “autorizzazioni ordinarie recanti criteri EoW ex art. 184-ter, comma 3, TUA, risultano rilasciate non soltanto da altre Regioni ma anche da qualche Provincia facente parte della Regione Veneto” (pag. 14 memoria cit.). Infatti, in disparte ogni considerazione in ordine alla apoditticità dell’affermazione, appare evidente come atti difformi dalla corretta applicazione di legge non possono costituire sotto alcun profilo parametro di riferimento.

2.4. Non può giungersi a conclusioni diverse da quelle innanzi esposte nemmeno argomentando dall’art. 9-bis , d.l. n. 172/2008, conv. in l. n. 210/2008, disposizione che il comma 3 dell’art. 183-ter espressamente indica tra le disposizioni applicabili, nelle more dell’emanazione dei regolamenti ministeriali.

In particolare, la lett. a) dell’art. 9-bis prevede che:

“fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 181-bis, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le caratteristiche dei materiali di cui al citato comma 2 si considerano altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59”.

In disparte ogni considerazione in ordine alla intervenuta abrogazione dell’art. 181-bis ed alla introduzione dell’art. 184-ter del d. lgs. n. 152/2006, occorre osservare che la disposizione citata prende in considerazione i materiali (di cui al co. 2 dell’art. 181-bis) per dichiararli “conformi” alle autorizzazioni già rilasciate (in linea con il dichiarato carattere emergenziale e transitorio della disposizione medesima), ma non attribuisce un potere di declassificazione ex novo in sede di rilascio di nuove autorizzazioni; né, d’altra parte, un potere così conformato potrebbe essere ritenuto conforme al quadro normativo di livello comunitario e costituzionale.

Tanto precisato, non possono assumere rilevanza eventuali diverse considerazioni desumibili da circolari emanate dal Ministero dell’Ambiente, cui compete, più propriamente, l’esercizio del potere regolamentare in materia.

3. Per le ragioni esposte, l’appello della Regione Veneto deve essere accolto, in relazione ai primi due motivi di impugnazione proposti (sub lett. a) e b) dell’esposizione in fatto) e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso instaurativo del giudizio di I grado.

Stante la natura, novità e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tea le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),

definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla Regione Veneto (n. 1976/2017 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso instaurativo del giudizio di I grado.

Compensa tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

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